[CE24] Il tempo per ogni cosa
Posted: Tue Aug 06, 2024 10:48 pm
Traccia 2 "Ma è ovvio! No?"
Adele era una bambina di sei anni. Una mattina di un giorno d'estate, dopo essersi svegliata, chiese alla mamma: “Dobbiamo morire anche noi?”
Colta di sorpresa, la mamma non sapeva cosa rispondere: “Ma, Adele... non ci pensare, sei una bambina.”
“Però dobbiamo morire. Ho paura di morire” ripeteva.
La mamma fece una pausa. Imbarazzata, spiazzata, si sentiva una stupida; non riusciva a dare una risposta a una delle poche certezze sulla vita. Le uscirono alcune parole, le prime che le vennero in mente.
“Non ti devi preoccupare, la morte non esiste finché c'è la vita. E poi io sarò sempre al tuo fianco e ti proteggerò.”
“E quando morirai come la nonna?”
“Beh... vorrà dire che sarai diventata mamma anche tu e dovrai preoccuparti soprattutto della cura dei tuoi piccolini.”
“Oh sì, ne vorrei avere almeno dieci.”
“Ma perché dobbiamo morire?” continuava la figlia.
Ancora una pausa.
“Perché non facciamo una bella colazione con la torta al cioccolato che ti piace tanto? Poi, dopo il centro estivo andiamo a prenderci un bel gelato .
“Sììì” rispose contenta Adele.
La giornata trascorse lentamente, sembrava infinita. Pensieri come macigni la tenevano sospesa in uno stato catatonico sul divano. Sudava come non le era mai capitato trasudando liquidi sui cuscini. Si prese una giornata di riposo, non aveva la forza di muoversi. Quelle semplici domande l'avevano messa in uno stato di crisi esistenziale, oltre al momento particolare che stava vivendo.
Sempre indaffarata, un'unica figlia alla quale dedicava mille attenzioni, nata quando aveva 45 anni dopo tanto dolore per la perdita prematura di altre due creature che non avevano fatto in tempo a staccarsi da cordone ombelicale. Poi il miracolo.
Con il lavoro di programmatrice, estenuante per occhi e mente, la figlia, le faccende di casa, il marito quasi sempre in trasferta: Maria alla sera era sfinita.
Non aveva tempo di pensare alla morte.
Si confidò al telefono con la sua amica Giusy, mamma di un compagno di Adele.
“Caspita! È una bimba molto sensibile e profonda per aver espresso queste riflessioni. Giuseppe pensa solo al calcio e a rubarmi il cellulare per giocare.”
“Lo penso anch'io, ma il problema è che mi sento così ridicola, inadeguata, sembra quasi che debba essere io a cercare risposte da lei.”
“La saggezza dei bambini.”
“Tu cosa faresti al mio posto?”
“Le direi che la morte è un passaggio a una vita migliore.”
“A sei anni, dirle che ci sarà una vita migliore...”
“Hai ragione. E farle capire che la morte fa parte della vita?”
“Non è così facile da accettare. Il problema è che ne ho paura anch'io, ora che Adele mi ha tramesso questo pensiero. Tu non ce l'hai?”
“Sinceramente no, con la vita noiosa che faccio, sacrifici, sclerate, pensare che un giorno sarà finita mi dà quasi sollievo.”
Maria rimase tutto il giorno sdraiata in un bagno di sudore, seminuda, fortuna che aveva una bottiglia d'acqua a portata di mano; sentiva un bollore su tutto il corpo con la pelle arrossata. Mai avuto aria condizionata, non la sopportava, e poi quella casa era invidiata da tutti per il clima fresco che si respirava. Si sventolò con il Guerin sportivo, rivista sportiva lasciata in giro dal marito, unica utilità che aveva riscontrato in dieci anni di abbonamento del periodico.
“Porca miseria sono le già le quattro!”
Si infilò la veste più leggera che aveva trovato e via a prendere Adele.
“Questo è il gelato più buono del mondo” disse Adele dopo aver dato l'ultima leccata al cono: “Ne possiamo prendere un altro domani?”
“Mm... considerato il caldo eccezionale di questi giorni... direi di sì”
“Evviva!”
Maria non aveva una fede religiosa che potesse darle delle risposte confortanti. Non aveva neanche una gran cultura filosofica, nessun interesse verso l'esoterismo o pratiche di meditazione. Ricorda però che un'amica, da quando era diventata buddhista, era molto più serena, affrontava la vita con entusiasmo. Le ritornò alla mente un episodio in cui rimase colpita: di fronte a uno scarafaggio la esortò a non compiere qualsiasi azione cruenta, affermando che avrebbe potuto reincarnarsi in quell'insetto.
Al rientrò del marito, alla sera, dopo aver messo a letto Adele, decise di condividere l'esperienza vissuta con la figlia.
“Posso dirti una cosa riguardo Adele?”
“Certo.”
“Ieri mattina, dopo che si è svegliata mi ha detto una cosa.”
“Cosa?” rispose come se la questione non lo interessasse più di tanto, a differenza della partita che stava guardando.”
“Mi ha detto che ha paura di morire.”
“Ah. Fa bene. Ci sono ancora quelle crocchette di ieri? Erano squisite.”
“Ok, domani le dico di affrontare la questione con te, visto che ti interessa molto.”
“Eh... scusa, cos'hai detto? Porca miseria. Palo!”
Maria aprì il divano letto.
Mentre cercava un po' di conforto nella lettura le tornò in mente la sua amica buddhista e le mandò un messaggio.
“Ciao Luisella, come stai? Ci possiamo incontrare? Volevo chiederti un consiglio riguardo Adele.”
“Certo, ma è successo qualcosa?”
“No, niente di particolare, mi interessava il punto di vista buddhista nell'affrontare certe tematiche.”
“Oh! Certo, se sono in grado. Domani alle 19 al Bar Colonna?”
“Ok, dovrei trovar qualcuno che stia con Adele.”
“Carlo?”
“Buonanotte! Però... domani finisce prima. Ma sì, per una volta ci può stare. A domani.
Quella notte Maria non riusciva proprio a dormire. Un senso di soffocamento con un'oppressione allo stomaco la attanagliava. Si girava di continuo come se le mancasse il respiro. Sudava ormai da ventiquattro ore ininterrottamente: giorno e notte non facevano differenza. Si sarà alzata almeno dieci volte con sosta in bagno controllando ogni volta la camera di Adele, che dormiva placidamente.
Stremata, spaventata all'idea che la figlia potesse rifarle le stesse domande: sarebbe rimasta al punto del giorno precedente.
Non successe. Si svegliò assonnata come sempre, pronta per andare al centro estivo, anzi per lamentarsi di doverci andare. Ne fu sollevata, da un lato; dall'altro continuava a essere spossata.
Al lavoro tutti a chiederle se stava bene, la vedevano con una faccia pallida e due profonde occhiaie.
“Prenditi un'altra giornata di riposo” si rivolse il capoufficio.
“Grazie, ma a casa sto peggio.”
“Infatti non devi stare a casa” intervenne Gianna, la sua cara collega. “Vai a farti un giro da qualche parte. Anzi, quasi, quasi, mi prendo una giornata anch'io e andiamo insieme.”
“Cosa prendi?” borbottò il capo che aveva ascoltato la conversazione.
Poi un boato. Lampadari che ondeggiavano, cataloghi e raccoglitori che cadevano a terra, computer in tilt, pareti che oscillavano.
TERREMOTO.
Uscirono di corsa per le scale. Il pensiero era solo per Adele. Cellulari bloccati. Si diresse di corsa verso la scuola, quando iniziò a piovere. Una pioggia fitta, di vermicelli. Cadevano e ricoprivano ogni cosa, come se il mondo stesse andando in putrefazione, Non si poteva evitare di schiacciarli. Le loro budella erano gialle fosforescenti. Creavano una poltiglia che ricopriva ogni cosa.
L'unica preoccupazione era per la figlia ma Maria non riconosceva le strade attorno: le case erano tutte uguali e dello stesso colore. “Ma dove sono finita!” Disperata chiese a un signore: “Scusi, dove si trova la scuola elementare Rodari?”
Le sorrise senza pronunciare parola.
Il cellulare riprese a fare bip.
Maria, io sono al bar Colonna, ti aspetto.
“L'appuntamento buddhista! Me n'ero dimenticata. Ma allora è già sera!” pensò preoccupata.
“Oddio!”
Riprese a correre schiacciando i vermicelli che schizzavano liquidi a mezz'aria. Un signore con un elegante cappotto di cashmere venne inondato trasformando il paltò a pois giallo acido. Ma non si scompose e commentò: “È inutile che corre, si arriva sempre al punto di partenza.”
“Adeleeee! Adeleee!” Urlò a squarciagola. Ma nessuno sembrava sentirla. Una vecchia raccoglieva la poltiglia gialla con scopa e paletta immersa fino alle caviglie.
Il blob fluorescente si stava alzando di livello, arrivava ormai alle ginocchia. Poi dal nulla emerse una colonna greco romana: il bar dell'appuntamento.
Un Buddha, nella posizione del loto galleggiava a livello della superficie gialla, aveva la faccia di Luisella. “Vieni, ti stavo aspettando” le disse.
“Non posso, devo trovare Adele.”
“Qui troverai tutte le risposte.”
Si sedettero su un tappeto e il Buddha, incarnato nel corpo della donna, o viceversa, tirò fuori tre carte.
“Ass de bastoni vince. U re e la donne perdone. Statte accourt che se pesche u re o la donne, tu ha murì.
È semplece, l'ass se sposte de qua e mò de là. A do sta l'ass?” disse il buddha.
“Ma se indovino, cosa vinco?”
“A creature.”
“Qua!” pose la mano sulla carta alla sua destra.
“È sicure?”
“Sicuro!”
Il buddha girò la carta a rallentatore... e l'asso di bastoni apparve accompagnato da un applauso che non si sa da dove provenisse.
La melma gialla venne risucchiata verso le viscere della terra. Una porta stagliata nel cielo si aprì e un pettirosso ne uscì adagiandosi sulla spalla di Maria.
“Siamo destinati a fluttuare” disse il Buddha prima di pietrificarsi.
Maria provò a scuoterlo: “Luisella, Luisella!” Era di granito.
Si diede uno schiaffo, ma la sua mano passò attraverso il viso, tra le gambe e il petto. Era inconsistente. La terra la vedeva dall'alto.
Stava fluttuando.
“Aveva ragione” dovette riconoscere. Ora riusciva a vedere tutto. Non resse all'emozione quando vide un gruppo di bambini che giocava e riconobbe Adele.
La chiamò, urlò a squarciagola ma lei non sentiva. Non riusciva a scendere a terra, come se il suo corpo fosse sospeso a mezz'aria, al di là di una barriera invisibile. Versò lacrime su lacrime, sperando che almeno queste potessero farle alzare lo sguardo. Sentiva di perdere altri liquidi: urina, ma evaporava prima che potesse giungere a terra.
Vedeva la sua figlioletta e non poteva farci nulla. Poi per un attimo alzò gli occhi e fece un sorriso. Maria si rasserenò e si sciolse tutta la tensione.
Il letto era bagnato, non solo di sudore. Ebbe così tanta vergogna che appallottolò subito le lenzuola per infilarle in lavatrice. Fortuna che era sul divano letto. Era arrivata. La stava ormai aspettando da tanto, giusto in tempo per aver portato alla luce la sua splendida figlia.
Si svegliò anche Adele, stranamente fu quasi contenta di andare al campo estivo: “Non vedo l'ora di mangiarmi un altro bel gelato fragola e cioccolato.”
“Oh... anch'io.” Le diede un bacio.
“Mamma, perché quando si muore si finisce in cielo?”
“Perché il cielo è immenso e c'è posto per tutti. Ritroviamo le persone a noi care. Ci guardano da lassù e vegliano su di noi. È un posto speciale dove si vive in pace e in armonia.”
“Che bello! Andremo anche noi?”
“Certo, ma prima dobbiamo ancora passare un sacco di tempo insieme qui.”
“Ciao Maria, perdonami ma per stasera ho avuto un imprevisto. Ci possiamo incontrare domani?”
“Non c'è problema Luisella, comunque credo di aver risolto il dubbio. Ti richiamo io. Un abbraccio.”
Adele era una bambina di sei anni. Una mattina di un giorno d'estate, dopo essersi svegliata, chiese alla mamma: “Dobbiamo morire anche noi?”
Colta di sorpresa, la mamma non sapeva cosa rispondere: “Ma, Adele... non ci pensare, sei una bambina.”
“Però dobbiamo morire. Ho paura di morire” ripeteva.
La mamma fece una pausa. Imbarazzata, spiazzata, si sentiva una stupida; non riusciva a dare una risposta a una delle poche certezze sulla vita. Le uscirono alcune parole, le prime che le vennero in mente.
“Non ti devi preoccupare, la morte non esiste finché c'è la vita. E poi io sarò sempre al tuo fianco e ti proteggerò.”
“E quando morirai come la nonna?”
“Beh... vorrà dire che sarai diventata mamma anche tu e dovrai preoccuparti soprattutto della cura dei tuoi piccolini.”
“Oh sì, ne vorrei avere almeno dieci.”
“Ma perché dobbiamo morire?” continuava la figlia.
Ancora una pausa.
“Perché non facciamo una bella colazione con la torta al cioccolato che ti piace tanto? Poi, dopo il centro estivo andiamo a prenderci un bel gelato .
“Sììì” rispose contenta Adele.
La giornata trascorse lentamente, sembrava infinita. Pensieri come macigni la tenevano sospesa in uno stato catatonico sul divano. Sudava come non le era mai capitato trasudando liquidi sui cuscini. Si prese una giornata di riposo, non aveva la forza di muoversi. Quelle semplici domande l'avevano messa in uno stato di crisi esistenziale, oltre al momento particolare che stava vivendo.
Sempre indaffarata, un'unica figlia alla quale dedicava mille attenzioni, nata quando aveva 45 anni dopo tanto dolore per la perdita prematura di altre due creature che non avevano fatto in tempo a staccarsi da cordone ombelicale. Poi il miracolo.
Con il lavoro di programmatrice, estenuante per occhi e mente, la figlia, le faccende di casa, il marito quasi sempre in trasferta: Maria alla sera era sfinita.
Non aveva tempo di pensare alla morte.
Si confidò al telefono con la sua amica Giusy, mamma di un compagno di Adele.
“Caspita! È una bimba molto sensibile e profonda per aver espresso queste riflessioni. Giuseppe pensa solo al calcio e a rubarmi il cellulare per giocare.”
“Lo penso anch'io, ma il problema è che mi sento così ridicola, inadeguata, sembra quasi che debba essere io a cercare risposte da lei.”
“La saggezza dei bambini.”
“Tu cosa faresti al mio posto?”
“Le direi che la morte è un passaggio a una vita migliore.”
“A sei anni, dirle che ci sarà una vita migliore...”
“Hai ragione. E farle capire che la morte fa parte della vita?”
“Non è così facile da accettare. Il problema è che ne ho paura anch'io, ora che Adele mi ha tramesso questo pensiero. Tu non ce l'hai?”
“Sinceramente no, con la vita noiosa che faccio, sacrifici, sclerate, pensare che un giorno sarà finita mi dà quasi sollievo.”
Maria rimase tutto il giorno sdraiata in un bagno di sudore, seminuda, fortuna che aveva una bottiglia d'acqua a portata di mano; sentiva un bollore su tutto il corpo con la pelle arrossata. Mai avuto aria condizionata, non la sopportava, e poi quella casa era invidiata da tutti per il clima fresco che si respirava. Si sventolò con il Guerin sportivo, rivista sportiva lasciata in giro dal marito, unica utilità che aveva riscontrato in dieci anni di abbonamento del periodico.
“Porca miseria sono le già le quattro!”
Si infilò la veste più leggera che aveva trovato e via a prendere Adele.
“Questo è il gelato più buono del mondo” disse Adele dopo aver dato l'ultima leccata al cono: “Ne possiamo prendere un altro domani?”
“Mm... considerato il caldo eccezionale di questi giorni... direi di sì”
“Evviva!”
Maria non aveva una fede religiosa che potesse darle delle risposte confortanti. Non aveva neanche una gran cultura filosofica, nessun interesse verso l'esoterismo o pratiche di meditazione. Ricorda però che un'amica, da quando era diventata buddhista, era molto più serena, affrontava la vita con entusiasmo. Le ritornò alla mente un episodio in cui rimase colpita: di fronte a uno scarafaggio la esortò a non compiere qualsiasi azione cruenta, affermando che avrebbe potuto reincarnarsi in quell'insetto.
Al rientrò del marito, alla sera, dopo aver messo a letto Adele, decise di condividere l'esperienza vissuta con la figlia.
“Posso dirti una cosa riguardo Adele?”
“Certo.”
“Ieri mattina, dopo che si è svegliata mi ha detto una cosa.”
“Cosa?” rispose come se la questione non lo interessasse più di tanto, a differenza della partita che stava guardando.”
“Mi ha detto che ha paura di morire.”
“Ah. Fa bene. Ci sono ancora quelle crocchette di ieri? Erano squisite.”
“Ok, domani le dico di affrontare la questione con te, visto che ti interessa molto.”
“Eh... scusa, cos'hai detto? Porca miseria. Palo!”
Maria aprì il divano letto.
Mentre cercava un po' di conforto nella lettura le tornò in mente la sua amica buddhista e le mandò un messaggio.
“Ciao Luisella, come stai? Ci possiamo incontrare? Volevo chiederti un consiglio riguardo Adele.”
“Certo, ma è successo qualcosa?”
“No, niente di particolare, mi interessava il punto di vista buddhista nell'affrontare certe tematiche.”
“Oh! Certo, se sono in grado. Domani alle 19 al Bar Colonna?”
“Ok, dovrei trovar qualcuno che stia con Adele.”
“Carlo?”
“Buonanotte! Però... domani finisce prima. Ma sì, per una volta ci può stare. A domani.
Quella notte Maria non riusciva proprio a dormire. Un senso di soffocamento con un'oppressione allo stomaco la attanagliava. Si girava di continuo come se le mancasse il respiro. Sudava ormai da ventiquattro ore ininterrottamente: giorno e notte non facevano differenza. Si sarà alzata almeno dieci volte con sosta in bagno controllando ogni volta la camera di Adele, che dormiva placidamente.
Stremata, spaventata all'idea che la figlia potesse rifarle le stesse domande: sarebbe rimasta al punto del giorno precedente.
Non successe. Si svegliò assonnata come sempre, pronta per andare al centro estivo, anzi per lamentarsi di doverci andare. Ne fu sollevata, da un lato; dall'altro continuava a essere spossata.
Al lavoro tutti a chiederle se stava bene, la vedevano con una faccia pallida e due profonde occhiaie.
“Prenditi un'altra giornata di riposo” si rivolse il capoufficio.
“Grazie, ma a casa sto peggio.”
“Infatti non devi stare a casa” intervenne Gianna, la sua cara collega. “Vai a farti un giro da qualche parte. Anzi, quasi, quasi, mi prendo una giornata anch'io e andiamo insieme.”
“Cosa prendi?” borbottò il capo che aveva ascoltato la conversazione.
Poi un boato. Lampadari che ondeggiavano, cataloghi e raccoglitori che cadevano a terra, computer in tilt, pareti che oscillavano.
TERREMOTO.
Uscirono di corsa per le scale. Il pensiero era solo per Adele. Cellulari bloccati. Si diresse di corsa verso la scuola, quando iniziò a piovere. Una pioggia fitta, di vermicelli. Cadevano e ricoprivano ogni cosa, come se il mondo stesse andando in putrefazione, Non si poteva evitare di schiacciarli. Le loro budella erano gialle fosforescenti. Creavano una poltiglia che ricopriva ogni cosa.
L'unica preoccupazione era per la figlia ma Maria non riconosceva le strade attorno: le case erano tutte uguali e dello stesso colore. “Ma dove sono finita!” Disperata chiese a un signore: “Scusi, dove si trova la scuola elementare Rodari?”
Le sorrise senza pronunciare parola.
Il cellulare riprese a fare bip.
Maria, io sono al bar Colonna, ti aspetto.
“L'appuntamento buddhista! Me n'ero dimenticata. Ma allora è già sera!” pensò preoccupata.
“Oddio!”
Riprese a correre schiacciando i vermicelli che schizzavano liquidi a mezz'aria. Un signore con un elegante cappotto di cashmere venne inondato trasformando il paltò a pois giallo acido. Ma non si scompose e commentò: “È inutile che corre, si arriva sempre al punto di partenza.”
“Adeleeee! Adeleee!” Urlò a squarciagola. Ma nessuno sembrava sentirla. Una vecchia raccoglieva la poltiglia gialla con scopa e paletta immersa fino alle caviglie.
Il blob fluorescente si stava alzando di livello, arrivava ormai alle ginocchia. Poi dal nulla emerse una colonna greco romana: il bar dell'appuntamento.
Un Buddha, nella posizione del loto galleggiava a livello della superficie gialla, aveva la faccia di Luisella. “Vieni, ti stavo aspettando” le disse.
“Non posso, devo trovare Adele.”
“Qui troverai tutte le risposte.”
Si sedettero su un tappeto e il Buddha, incarnato nel corpo della donna, o viceversa, tirò fuori tre carte.
“Ass de bastoni vince. U re e la donne perdone. Statte accourt che se pesche u re o la donne, tu ha murì.
È semplece, l'ass se sposte de qua e mò de là. A do sta l'ass?” disse il buddha.
“Ma se indovino, cosa vinco?”
“A creature.”
“Qua!” pose la mano sulla carta alla sua destra.
“È sicure?”
“Sicuro!”
Il buddha girò la carta a rallentatore... e l'asso di bastoni apparve accompagnato da un applauso che non si sa da dove provenisse.
La melma gialla venne risucchiata verso le viscere della terra. Una porta stagliata nel cielo si aprì e un pettirosso ne uscì adagiandosi sulla spalla di Maria.
“Siamo destinati a fluttuare” disse il Buddha prima di pietrificarsi.
Maria provò a scuoterlo: “Luisella, Luisella!” Era di granito.
Si diede uno schiaffo, ma la sua mano passò attraverso il viso, tra le gambe e il petto. Era inconsistente. La terra la vedeva dall'alto.
Stava fluttuando.
“Aveva ragione” dovette riconoscere. Ora riusciva a vedere tutto. Non resse all'emozione quando vide un gruppo di bambini che giocava e riconobbe Adele.
La chiamò, urlò a squarciagola ma lei non sentiva. Non riusciva a scendere a terra, come se il suo corpo fosse sospeso a mezz'aria, al di là di una barriera invisibile. Versò lacrime su lacrime, sperando che almeno queste potessero farle alzare lo sguardo. Sentiva di perdere altri liquidi: urina, ma evaporava prima che potesse giungere a terra.
Vedeva la sua figlioletta e non poteva farci nulla. Poi per un attimo alzò gli occhi e fece un sorriso. Maria si rasserenò e si sciolse tutta la tensione.
Il letto era bagnato, non solo di sudore. Ebbe così tanta vergogna che appallottolò subito le lenzuola per infilarle in lavatrice. Fortuna che era sul divano letto. Era arrivata. La stava ormai aspettando da tanto, giusto in tempo per aver portato alla luce la sua splendida figlia.
Si svegliò anche Adele, stranamente fu quasi contenta di andare al campo estivo: “Non vedo l'ora di mangiarmi un altro bel gelato fragola e cioccolato.”
“Oh... anch'io.” Le diede un bacio.
“Mamma, perché quando si muore si finisce in cielo?”
“Perché il cielo è immenso e c'è posto per tutti. Ritroviamo le persone a noi care. Ci guardano da lassù e vegliano su di noi. È un posto speciale dove si vive in pace e in armonia.”
“Che bello! Andremo anche noi?”
“Certo, ma prima dobbiamo ancora passare un sacco di tempo insieme qui.”
“Ciao Maria, perdonami ma per stasera ho avuto un imprevisto. Ci possiamo incontrare domani?”
“Non c'è problema Luisella, comunque credo di aver risolto il dubbio. Ti richiamo io. Un abbraccio.”