Un tramonto dai bagliori di fuoco si espandeva come dita di una mano implorante nel cielo, dipingendo di rosa le case e i palazzi della città. Ignazio guardava dalla finestra del suo albergo le case digradare sul mare. Provava uno struggente desiderio di addentrarsi nelle strette viuzze del centro storico, immergersi nel loro rassicurante buio di odori e di voci, in una vita che non aveva mai vissuto. Peccato però; avrebbe potuto essere. Non aveva detto a nessuno che sarebbe tornato alla sua Isola in mezzo al Mediterraneo, non poteva spiegare il motivo. Sua moglie e anche il suo direttore pensavano che si trovasse in Svizzera per quell’esposizione, ma lui aveva delegato un suo sottoposto e aveva preso un volo per l’Isola.
Nostalgia? Forse. Pentimento. Desiderio di espiazione. Paura.
Paura di essere riconosciuto e giudicato dalla sua terra fin da quando era sceso dall’aereo, sentendosi avviluppare dall’aria calda e umida impregnata dall’odore del mirto e della pietra delle montagne intorno all’aeroporto. La sua terra lo aveva riconosciuto. Era sempre una madre amorevole, arcaica, soffocante. Inesorabile.
Ignazio sentiva di essere arrivato alla fine del suo viaggio anche se era libero di andarsene quando voleva, riprendere la sua vita, la moglie, i figli, il lavoro, ma sapeva che non lo avrebbe fatto. La sua immagine riflessa sullo specchio, un volto cambiato che lo fissava severo, lo metteva in soggezione, come davanti a un giudice sconosciuto. Spense il televisore, acceso per avere compagnia. Eppure non avrebbe avuto problemi a trovare persone, stordirsi, passare il tempo con sconosciuti, lo aveva sempre fatto del resto, come l’ultimo desiderio di un condannato, con buona pace di sua moglie che lo tormentava con la gelosia, specie negli ultimi tempi. E poi i ricordi, il non sapere, fare congetture, passarci notti insonni. E nonostante tutto aveva avuto successo nella vita: realizzazione sociale ed economica, un buon matrimonio, figli belli e viziati che aveva mandato a studiare all’estero e che non vedeva mai.
Sentiva di non avere la forza di continuare in quel modo. Non era stato facile vivere con quell’angoscia, quel peso che si portava dentro come una pietra sul cuore e che non gli aveva mai dato tregua.
Dopo la notte passata in albergo per ambientarsi, forse anche per avere l’illusione di poter ripartire, noleggiò una macchina e si diresse al suo paese di origine. C’erano dei lontani cugini se erano ancora vivi, ma non gli importava nulla di loro, non era venuto per cercare parenti. Sbagliò strada diverse volte, in tanti anni tutto era cambiato, perdendo tempo e godendo di quel ritardo che lo teneva ancora lontano, ma alla fine vide il cartello sbiadito con il nome del suo paese. Vi entrò con circospezione, come se temesse di essere visto, ma le poche persone che erano in strada non badavano a lui. Anche il paese era cambiato. A fatica ritrovò la vecchia palazzina dove abitava, praticamente uguale ad allora e con altre case sorte intorno nel frattempo. Riuscì a parcheggiare con l’impressione che la macchina ostruisse la strada che da bambino gli sembrava più larga e piena di gente, adesso dava l’impressione di essere stretta e disabitata. Si limitò a guardare in alto al primo piano dove riconobbe la finestra della camera dei suoi genitori con un vecchio balcone arrugginito e la finestra della sua cameretta. Gli tornarono in mente i ricordi, gli venne un accenno di sorriso, gli occhi si inumidirono. Lasciò la macchina parcheggiata vicino al portone, come se fosse tornato a casa e si mise a camminare per le vie del paese. Era vestito in maniera poco appariscente, il viso non era da straniero e non risaltava, pensava che passati tanti anni non sarebbe stato notato. Quasi nessuno lo guardava infatti. Sentiva che ogni passo che faceva equivaleva a togliere un piccolo peso dal fardello che gravava sul suo cuore, provava quasi sollievo, una sensazione che aveva sempre desiderato. Anche se non cercava nessuno, non direttamente, sapeva dove andare. Ricordava la vecchia chiesa con la sua piazzetta, teatro di tante scorribande con i coetanei. Da sempre era stato solo un ricordo della mente poi, poco tempo prima, quasi per caso aveva deciso di esplorare il paese con Google maps. La ricerca aveva acuito quel senso di malessere che lo tormentava da anni e che non aveva mai voluto confidare a nessuno nemmeno alla moglie. Il programma lo aveva fatto penetrare addirittura nella piazzetta e girare intorno alla chiesa, cosa che lo aveva emozionato. Aveva rivisto le increspature delle pareti, il vecchio portone di legno borchiato e altri particolari della piazza anche se alcune cose erano cambiate. Una cosa lo aveva colpito, come se se lo aspettasse. Esplorando un punto laterale della chiesa la piazzetta si allargava; al centro aveva notato qualcosa che ai suoi tempi non c’era: un piccolo monumento, una sorta di obelisco di marmo con qualche decorazione, si intravedeva una scritta, un cerchio come di una foto. Aveva tentato di ingrandire per vedere di cosa si trattasse, ma l’immagine sgranava, impossibile da decifrare. Quel monumento che ai suoi tempi non c’era, quel punto esatto reclamava la sua presenza.
Doveva assolutamente sapere. Ma aveva paura. Anche per questo era venuto. Il cuore gli batteva forte mentre si avvicinava alla chiesa. Guardava la gente, dei vecchi alzavano lo sguardo su di lui senza dire niente. Avrebbe voluto fare domande ma non osava, non voleva sentire le risposte. La piazza era deserta, sul pavimento di pietra il vento di scirocco faceva volare a mulinello cumuli di foglie rossastre che strisciavano con un suono ritmico, avanti e indietro, biascicante come una preghiera. Rimase a lungo indeciso poi camminò a passi lenti girando intorno alla chiesa in modo da arrivare solo alla fine nel punto dove sorgeva l’obelisco. Alla svolta di un contrafforte laterale vide il monumento incombere all’improvviso, come la voce di uno che grida. La sua gola si inaridì, come se fosse in un deserto. Si avvicinò con le gambe tremanti. Girò intorno all’obelisco, ritardando ancora il momento di guardare la lapide scritta. Alla fine ci fu davanti. Come aveva intuito guardando Google maps si trattava di una foto con sotto una scritta. La foto era alquanto sbiadita, in bianco e nero e ritraeva un ragazzino con la testa rasa e una maglietta a righe.
─ Agostino! Tu sei Agostino! ─ disse con voce tremante Ignazio.
“Colpito da mano ignota hai vissuto di tormenti e ci hai lasciati nel fiore della tua esistenza terrena. Che tu possa trovare la pace per sempre in paradiso. A imperituro ricordo i genitori affranti posero.”
Ai piedi della lapide un vaso di fiori freschi e un lumicino acceso. Qualcuno accudiva quel ricordo.
Ignazio si sentì mancare, cadde in ginocchio.
Rivide quel giorno. Aveva impedito che il ricordo riaffiorasse nella sua mente, ma non era riuscito a impedire che pesasse sul suo cuore. Era bambino, finita la scuola, inizio estate. I suoi genitori avevano deciso di lasciare l’Isola per trovare lavoro oltre il mare e lui gironzolava affranto per il paese, perché gli dispiaceva andarsene. Si era appartato con i suoi pensieri dietro una macchia di olivastri che sorgevano rasenti la piazzetta della chiesa. Aveva visto i suoi amici venire per giocare a calcetto come sempre ed era rimasto nascosto. Non era giusto che loro continuassero a vivere felici nel posto dov’erano nati e lui invece se ne dovesse andare chissà dove e cominciare tutto daccapo. Li invidiava. Dall’invidia passò all’odio. Aveva la fionda in tasca. Scelse con cura una pietra nera e tonda, la lucidò con il sudore delle sue mani. Rimase a guardare per vedere chi si divertiva di più. Agostino, il suo compagno di banco, aveva segnato una rete delimitata da due blocchetti e tanta era la sua gioia che si era messo a fare le capriole. A un certo punto, per far vedere agli altri quanto era bravo, si era messo in equilibrio a testa in giù con i piedi in alto, iniziando a cantare. Ignazio aveva puntato la fionda alla sua testa e lanciato la pietra. Il canto si era spento di colpo, Agostino era caduto urlando e Ignazio era scappato senza essere visto. La sera i genitori avevano parlato di Agostino, che aveva avuto un incidente, che era stato portato all’ospedale, ma non si sapeva altro di preciso. Ignazio aveva tirato un sospiro di sollievo: in fondo non era successo nulla di grave. Dopo pochi giorni la sua famiglia lasciò il paese per sempre.
Con il passare del tempo Ignazio aveva cercato di dimenticare quell’episodio, non aveva mai chiesto o avuto il coraggio di informarsi, cercando di convincersi che in fondo non era successo niente, non doveva essere successo niente. Ma quella maledetta pietra gli pesava sempre sul cuore. Adesso sapeva.
Erano secoli che non si faceva il segno della croce. Si segnò lentamente. ─ Perdonami Agostino. Avrai giustizia.
Si alzò e camminò lungo le stradine deserte del paese seguendo i cartelli attraverso un velo di lacrime.
Arrivò davanti alla caserma dei carabinieri. Davanti al portone aperto un carabiniere fumava calmo una sigaretta, alle sue spalle si intravedeva un lungo corridoio buio in fondo al quale da una finestra entrava un fiotto di luce. Ignazio si avvicinò, salutò.
─ Devo sporgere una denuncia ─ disse semplicemente. Per la prima volta dopo tanti anni sentì quella pietra che pesava sul suo cuore staccarsi per sempre.
[Lab12] Una pietra sul cuore
1Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
(Apocalisse di S. Giovanni)