2500 virtual coin
Il tennis è sempre stato il suo sport preferito. Appena ne aveva l’occasione, Max si riguardava le grandi sfide dei campioni del suo tempo. Ormai conosceva a memoria ogni azione di quei giocatori, sapeva già tutto. Ma a lui non importava. Forse continuava a riguardarli perché gli ricordavano chi era e perché stava facendo quello che stava facendo.
Negli ultimi anni iniziava le partite dall’ultimo game. Voleva assaporare subito il momento di massima tensione, quel pathos che lo faceva sentire ancora vivo.
Grazie alla tecnologia riusciva quasi a vivere quel momento, poteva respirare l’odore della terra rossa che si alzava dal campo, e poteva sentire da vicino tutte le grida, i commenti e gli applausi del pubblico.
Quella volta decise di riguardarsi l’ultimo game del suo match preferito, giocato dal suo campione preferito.
Quando iniziò l’ultima battuta, Max sapeva già che il suo uomo avrebbe perso quella sfida memorabile. Ma lo avrebbe fatto dando tutto se stesso, ed è per quel motivo che quasi ogni giorno rivedeva quell’incontro.
«Max?» disse una voce femminile, che penetrò all’interno di quella partita, così realistica.
«Dimmi tutto, Kate» rispose lui, mentre metteva in pausa la partita e si sfilava il visore dagli occhi.
Era tornato nel suo mondo, dove era comodamente seduto, al centro di una grande stanza. Max se ne stava lì, da tempo immemore, dentro una piccola navicella che vagava nelle oscurità dello spazio profondo. Molto meno eccitante rispetto alle memorabili gesta dei suoi idoli.
«Siamo entrati nella tua galassia, ora lo scorrere del tempo sarà quello che hai sempre vissuto.»
Kate, nonostante la voce dolce, non era una donna in carne e ossa. Era una sorta di anima racchiusa in un’astronave.
Max si alzò in piedi e camminò fino a quella grande vetrata, per ammirare, ancora lontana, la sua vera casa.
Da quella distanza, la terra era solo un piccolo puntino bianco e blu, incastonato su uno sfondo nero. Ma per Max non era mai stata così vicina, gli sembrava quasi di toccarla.
Sorrise come ogni navigatore che, dopo un lungo viaggio, ammirava il porto di casa.
Tutto quel tempo incastrato in altre dimensioni. Tutta una vita spesa per poter tornare a rivedere volti familiari.
«Dalle tue pupille dovresti essere emozionato.»
«Non c’è bisogno di controllare le mie pupille per capirlo, Kate.»
Lei aspettò un po’ a rispondere, poi disse, con un velo di sarcasmo: «Hai ragione, sono proprio un robot».
«Non fare la permalosa. Tu sei molto più di un robot, e se scherzo con te è proprio perché ti considero un’amica» rispose Max, prima di distogliere lo sguardo dall’obiettivo.
«E tu lo sei per me.»
Lui sorrise dolcemente, poi andò in cucina zoppicando.
Una cucina minimale, rotondeggiante, robotica, un po’ fredda. Il tipico look di ogni classico film di fantascienza.
«Cosa le dirai appena la vedrai?» chiese Kate.
Max tornò indietro nei suoi ricordi e, mentre miscelava una bevanda colorata, quasi si incantò.
«È quarant’anni che ci penso e non ho ancora deciso. Non so neanche se riuscirei a dirle qualcosa in quel momento.»
Iniziò a sorseggiare quel bicchiere, con la testa altrove.
«Sei bellissima. Forse le direi queste parole, oppure la abbraccerei e proverei a baciarla.»
Poi si voltò verso lo specchio e si giudicò severamente, puntando gli occhi su quei pochi capelli bianchi rimasti.
«Sempre se mi riconoscerà…» aggiunse cupo.
«Certo che ti riconoscerà, certe sensazioni non si dimenticano. Me le ricordo io, che me le hai solo raccontate e non le ho vissute; immagina lei, invece.»
Ma quelle parole non sembravano aver tirato su il morale di Max. Era ancora preso a guardarsi, si sentiva un insaccato in quella tuta grigia.
Prese tra le mani un rotolino di pancia e scosse la testa.
«Preparami un Rum liscio, senza ghiaccio, per favore.»
Kate non rispose, ma in pochi secondi emerse sul bancone il bicchiere richiesto, accompagnato dalla bottiglia.
Max lo raccolse, lo appoggiò sulle labbra per sorseggiarlo, poi, d’un tratto, lo tirò giù alla goccia.
«Come potrà accettare il fatto che io sia un vecchio? Me lo spieghi Kate?» esclamò stizzito.
«Sei tornato nella sua galassia, ora puoi finalmente telefonarle. Così puoi prepararla a questo tuo cambiamento. Vedrai che capirà e ti amerà come un anno fa.»
«Un anno…» disse Max, con l’amaro in bocca.
Poi si versò un altro bicchiere di Rum e divorò anche quello.
«Chiamala Kate» ordinò convinto.
«Provo a contattarla.»
Passarono lunghi secondi di assoluto silenzio.
L’oscuro vuoto che occupa lo spazio profondo è come un cimitero del nulla. Fa paura.
Max era una piccole luce di speranza che viaggiava nel buio.
Una vita intera per riascoltare la sua voce. Aveva paura di dimenticarla, anche se non successe mai.
Furono attimi molto lunghi per lui, poi, ad un certo punto, si convinse che non le avrebbe risposto, per lo meno in quel momento.
«Pronto? È uno scherzo?»
Quelle parole, uscite dagli altoparlanti della navicella, colpirono Max come un ceffone.
«Non è divertente» ribatté Sara.
«Sara… tesoro!»
«Oh mio Dio! Max? Non ci credo, sei davvero tu?» esclamò, quasi spaventata.
«Sì tesoro, scusami ma non ho potuto mai contattarti per via dello spazio tempo, l’ho potuto fare solo ora, che sono a un giorno dalla terra. Non puoi immaginare quante sfortune ho avuto, quante battaglie ho dovuto affrontare. Sono rimasto incastrato fuori dal nostro spazio tempo! Ma il pensiero di rivederti mi ha sempre dato la forza di trovare la via del ritorno!»
Max udì un piccolo pianto di gioia.
«Non avrei più pensato di sentirti, ti avevano dato per morto!»
«Anch’io pensavo di esserlo, e invece…» rispose Max, giudicandosi nuovamente allo specchio.
Ci fu un attimo di imbarazzo.
«Wow! Wow… non so cosa dire, mi hai tolto le parole. Ci avevo quasi rinunciato.»
«Mai mollare, ti ricordi quando te lo dicevo?»
«Sì,» e si mise a ridere, per sfogare la tensione, «non sembri neanche tu, hai un… una voce, più… diversa. Fatti vedere! Facciamo una video chiamata!»
Max si rabbuiò.
«Max? Ci sei?»
Ma lui non rispose, tormentato dalle sue frustrazioni.
«Max? Non mi senti più?»
«Non ti ho detto una cosa però…»
«Che cosa?»
«La galassia dove sono andato alla deriva aveva uno spazio tempo più veloce del nostro. Ero come intrappolato in un altro universo, con altre regole. I giorni sono diventati mesi, e i mesi sono diventati anni. Mi dissero di lasciare perdere, “dimenticati della terra, rischieresti di viaggiare una vita senza arrivare mai”. Ma io non li ascoltai, e viaggiai come un pazzo nell’oceano, che segue le stelle su una zattera.»
Sara capì. E gli chiese: «Quanto tempo sei stato via?»
«Per te è passato un anno, per me quarantuno. Anzi, per essere precisi, quarantun anni, un mese e sette giorni.»
Ci fu un altro silenzio, ma non era più imbarazzo.
«Spero che tu mi accetterai per quello che sono diventato.»
24 ore dopo
Sopra la base di atterraggio un tiepido sole illuminava una fresca mattinata autunnale.
Max pareva un alieno in quel via vai di persone, macchine e robot.
Si era cambiato per l’occasione, vestendo il suo miglior abito. Osservava ogni dettaglio come un bambino, mentre camminava verso l’uscita, in compagnia di un bastone bianco.
Poi, nei pressi dell’uscita, come un miraggio in lontananza, la vide.
Aveva paura di non riconoscerla più, invece la notò da più di un centinaio di metri. In fondo poteva riconoscerla tra mille.
Tirava una brezza fresca e pungente.
Sara non notò quel vecchietto che stava camminando verso di lei. Continuava a guardarsi intorno e a controllare l’orologio.
«Sara!» esclamò Max da lontano, troppo contento di vederla.
Lei fu come colpita da una tsunami. Non disse niente, non riusciva a dire niente.
«Sara…» ripetè Max, a pochi passi da lei, con il sorriso negli occhi.
Una lacrima scese dalla guancia di Sara, poco prima che i due si abbracciassero.
Erano ancora lì, attaccati tra loro come un tempo.
Si guardarono per qualche istante, Max avrebbe tanto voluto baciarla, ma nessuno dei due lo fece.
Ci fu un attimo di imbarazzo, poi Max ruppe il ghiaccio: «Sei bellissima. Come quarant’anni fa. Ah! già, per te è passato meno, forse dovrei dire che sei bellissima come un anno fa».
Sara sorrise, forse le tornò in mente quando lui la faceva ridere.
«Non dici niente? Neanche un… sono contenta di vederti?»
«Certo che sono contenta» rispose Sara, tirando fuori la voce, “è che… mi sembra tutto così assurdo. Fino all’altro giorno pensavo fossi morto. E non sai quanto ti ho aspettato, e quanto ho pianto quando mi hanno comunicato che la tua navicella è stata risucchiata da un buco nero. Non sai quanto ci ho messo per accettare il fatto che non ti avrei più rivisto. Poi, poche ore fa, la tua voce è ritornata nella mia vita come un fulmine d’estate. E io non ci potevo credere…»
«Ma…» continuò Max, scrutandole il volto.
«Non c’è un ma. Solo che, mi sembri…»
«Cosa? Dillo per favore, preferisco che mi dici la verità.»
«Non mi sembri neanche più tu» e si mise a piangere. Un pianto vero, un pianto che non centrava con la gioia.
Poi aggiunse, con voce rotta: «Scusa Max, non volevo dirtelo, sono un’egoista, se penso a quello che hai passato per venire qua! Ma chi te l’ha fatto fare!»
«Come chi me l’ha fatto fare? Secondo te…» Max non riuscì a completare la frase che si mise a tossire.
Negli ultimi anni i suoi problemi respiratori erano sempre più debilitanti, sempre più frequenti.
Si girò subito dall’altro lato, con una mano si coprì la bocca e con l’altra, istintivamente, prese le distanze da Sara.
Lo sapeva che sarebbe stata una lunga sequenza di colpi di tosse, ormai conosceva i suoi mali, come ogni settantenne. Pareva dovesse esplodergli un polmone da un momento all’altro.
Non si vergognò mai così tanto in vita sua.
«Tutto bene Max? Oh mioDio! Vuoi che chiamo qualcuno? Chiamo qualcuno» disse Sara preoccupata.
«No, no, non è niente» rispose a fatica, quasi stizzito, allontanando la mano di lei.
Dopo un interminabile minuto i colpi di tosse finirono.
Max aveva del catarro e del sangue in bocca, lo sentiva dal sapore. Non ci pensò due volte e deglutì.
I due tornarono a guardarsi, ma in un modo diverso.
«Sara, lo so che ora sono più vecchio di tuo padre, e che ti faccio schifo. Guardati, sei stupenda. Non pretendo di piacerti, non sono così scemo. Però, quando mi dissero che la cosa più stupida da fare era cercare di tornare a casa, io risposi che non era importante tornare sulla terra, ma tornare a dirti che non sono scappato, e non sono morto. Tu sei stata la forza che mi ha fatto andare avanti in galassie lontane anni luce da questo. Da parte mia non è cambiato niente, nei tuoi confronti.»
Mentre Max diceva quelle parole sentite, Sara preferì non guardarlo. Era troppa l’emozione. Poi prese fiato e si voltò verso di lui, con il volto serioso.
«E cosa ti aspetteresti da me?»
«Che… mi avresti accolto e amato, a prescindere dalla mia età.»
«Ma come faccio? Mettiti nei miei panni! Non voglio offenderti e non lo farei mai, ma io non vedo più Max, o almeno, il Max che conoscevo. Cazzo Max quarant’anni!»
Max la ascoltò con attenzione.
«Sto anche frequentando un’altra persona» aggiunse Sara.
Max sorrise amaramente.
«La stai frequentando cosa significa? Lo ami?»
«È una persona molto importante per me…»
«E chi è? Lo conosco?»
«No, l’ho conosciuto 6 mesi fa.»
«Non hai perso tempo…»
«Cosa avrei dovuto fare? Tu cosa avresti fatto se ti avessero detto che fossi morta?»
Max alzò un po’ il tono e disse: «Innanzitutto non c’era nessuna prova della mia morte, poi, non sarei andato subito a rifarmi una vita con un’altra! Avrei pagato qualcuno per trovarti!»
Sara incassò, poi rispose: «Forse da questo punto di vista siamo diversi».
«Non si tratta di essere diversi, è che io sono un coglione innamorato, tu no. Hai fatto i tuoi calcoli. Hai pensato al tuo.»
Sara scosse la testa delusa.
«Sei incredibile! Tu ora ti presenti qua, così…. è brutto da dire, ma a incasinarmi la vita! Io cosa dovrei fare? Cosa dovrei diventare? Una specie di…» poi si fermò e non aggiunse altro.
«Dillo… una specie di…»
«No.»
«Dillo! Se vuoi che capisca.» Esclamò di getto Max, tradito nel profondo.
Sara rifletté a lungo, guardò in alto, e vide una foglia secca che roteava su di loro. La seguì con lo sguardo e con la mente, fino a che non si posò sull’asfalto, vittima di qualche passante.
«Una specie di badante» sentenziò.
Max aveva ipotizzato anche questo scenario, ma, in fondo, è sempre stato un sognatore.
Voleva sentirselo dire, voleva il pretesto per potere ingoiare tutte quelle amare delusioni.
Affondò come un vecchio macigno nel mare, e non riuscì a dire più niente.
«Scusa…» disse Sara, guardandolo con distacco.
Infine il vecchio Max sospirò e le disse: «Ti posso chiedere 2500 virtual coin?»
3 ore dopo
Max zoppicava tra la frenesia di quella metropoli. Era come la vecchia New York, ma con meno umanità. Un agglomerato di cemento, macchine e robot che correvano non si sa dove.
«Sei d’intralcio vecchio! Usa i mezzi per quelli della tua età!» gli urlavano i passanti, in sella al loro monovolante.
Max non fece una piega, continuò a camminare lentamente, accompagnato dal suo bastone, fino a quando giunse davanti a una cabina nera.
Senza pensarci troppo spinse il pulsante di accesso e si addentrò.
Quella cabina era abbastanza piccola, più o meno come un ripostiglio.
Al centro vi era una poltroncina dalle linee minimali.
Max si sedette mettendosi comodo e subito dopo comparve un ologramma di una bella donna.
«Buongiorno Max, io sono Kate, la sua psico-robot personale» si presentò quella donna così rassicurante.
«Tutte Kate vi chiamate» rispose sarcastico.
Kate sorrise, poi disse: «È già stato in una cabina come questa?»
«No.»
«Le posso fare alcune domande?»
«Vai.»
«Cosa l’ha portata qui? Quali sono i suoi problemi?»
«No, no! Non mi interessano queste cose psicologiche, salta questa fase Kate.»
Kate fece una smorfia dispiaciuta.
«Non vuole proprio parlarne?» poi tornò a sorridere, «non c’è nulla che non possa risolversi. A volte basta un dialogo con una psico-robot per placare i propri pensieri negativi.»
Max si iniziò a scocciare.
«Salta questa fase, non ho intenzione di parlare con te.»
«Ne è sicuro Max?» gli chiese, tornando a fare quella smorfia dispiaciuta.
«Oh Madonna! Sì! Sì! Sì! Sono sicuro, cazzo!»
«Vuole procedere con il suicidio assistito?»
«Quanto costa quello con il gas?»
«2500 virtual coin.»