[CP8] Le risposte venute da lontano

1
Traccia 3.
"Le mie risposte alle grandi domande" - Estratto
(Stephen Hawking)


Dove è il profondo che sta dietro il passato
al futuro
alla vita intera
alla mia mente

Attraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo

il quadro felice di un unico pianeta
un futuro all'altezza del tempo
La morte dello spettro eterno dell'errore

Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente. Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati. Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare. Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana. Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo. Agite ora. Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande. Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia. Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita. Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno. A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione.Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.) Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente. Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati. Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare. Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana. Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo. Agite ora. Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande. Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia. Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita. Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno. A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione.Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.) Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente. Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati. Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare. Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana. Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo. Agite ora. Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande. Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia. Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita. Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno. A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione.Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.) Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente. Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati. Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare. Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana. Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo. Agite ora. Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande. Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia. Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita. Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno. A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione.Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.) Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pm Traccia 3.
"Le mie risposte alle grandi domande" - Estratto
(Stephen Hawking)


Dove è il profondo che sta dietro il passato
al futuro
alla vita intera
alla mia mente 


In questa prima strofa manca forse un punto interrogativo? Provo a tradurre: Dove è (trovo) il senso profondo che spiegherebbe il passato, il futuro, la vita intera compreso i miei pensieri? Molto probabilmente intendevi dire altro, ma questo è ciò che mi è arrivato, dopo diverse riletture.

Attraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo

Strofa chiara, limpida e ben condivisibile. L'uomo troverà risposte e da queste proseguirà nelle sue scoperte. Ogni risposta, infatti, non è un punto di arrivo ma di nuova partenza/ricerca. Molto bello.


Il quadro felice di un unico pianeta
un futuro all'altezza del tempo


nel progredire dell'uomo c'è la volontà di vedere realizzato il quadro felice di un pianeta "unificato", con un progredire fatto di scoperte future che ne migliorano il tempo.

La morte dello spettro eterno dell'errore

La poesia si conclude con una nota dolente, La morte,  spettro eterno dell'errore (?); questa chiusa non è chiarissima, inoltre c'è quel "dello" (che ho arbitrariamente barrato se non altro per la ripetizione poco dopo) che confonde. Scritta così, sarebbe la morte dello spettro eterno: l'errore. Intendevi questo? Non lo so, mi sto arrampicando sugli specchi.

Ho fatto del mio meglio per interpretare i tuoi versi, spero tu possa chiarirmi ciò che non ho afferrato.
Ciao e alla prossima





Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

3
ciao @Adel J. Pellitteri e grazie del tuo gentile passaggio.
Adel J. Pellitteri ha scritto: mar ott 25, 2022 1:14 pmn questa prima strofa manca forse un punto interrogativo?
Esatto! Non lo avevo a disposizione, purtroppo :D
Adel J. Pellitteri ha scritto: mar ott 25, 2022 1:14 pmLa morte dello spettro eterno dell'errore

La poesia si conclude con una nota dolente, La morte,  spettro eterno dell'errore (?); questa chiusa non è chiarissima, inoltre c'è quel "dello" (che ho arbitrariamente barrato se non altro per la ripetizione poco dopo) che confonde. Scritta così, sarebbe la morte dello spettro eterno: l'errore. Intendevi questo? Non lo so, mi sto arrampicando sugli specchi.
Intendevo proprio quello: è l'errore umano che ci auspichiamo possa morire per non costituire più  il "nostro limite".
Grazie ancora @Adel J. Pellitteri 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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Dove è il profondo che sta dietro il passato
al futuro
alla vita intera
alla mia mente

Attraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo

il quadro felice di un unico pianeta
un futuro all'altezza del tempo
La morte dello spettro eterno dell'errore


Devo dire che la tecnica della Blackout Poetry conduce a risultati sorprendenti: come questo tuo, caro Raffaele. 
Vi è un filo logico che unisce le tre strofe e che esula dal senso del testo originario, cosa che lo rende ancora più interessante. 
Chiave di tutto è quel "profondo" nel verso iniziale, che da aggettivo nel testo di Hawking diviene qui sostantivo astratto grazie alla presenza dell'articolo e va a costituire il nocciolo fondativo del perché della vita, una specie di nucleo originario che dà appunto origine e senso alla Storia e al suo procedere sempre in avanti, fino a che l'"errore" (l'ingiustizia, la sopraffazione, e così via) verrà annullato. 
Davvero bella e ricca di significati, @bestseller2020. Grazie e un saluto.
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Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

5
Ciao @bestseller2020

In questi versi trovo riassunte le grandi tematiche umane. Comprendere quale sia il nostro posto nell’universo, il perché della vita e soprattuto perché, come esseri umani, siamo dotati della capacità di pensare e di vederci collocati in un determinato spazio-tempo.  Forse siamo solo illusi nel pensare che la Natura ci abbia riservato un qualche tipo di ruolo speciale, oppure davvero un Dio ci ha creati a sua immagine, o forse abbiamo mangiato il frutto dell’albero della conoscenza. Chissà… la morte non ci lascia scampo e pietosa si porta via anche lo spettro dei nostri errori.
Tutto questo mi hanno suscitato i tuoi bei versi. Complimenti e grazie.

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

6
ciao @Ippolita , grazie del tuo bel commento che scava nell'intimo :P
Ippolita ha scritto: mar ott 25, 2022 7:47 pmDevo dire che la tecnica della Blackout Poetry conduce a risultati sorprendenti: come questo tuo, caro Raffaele. 
Adesso lo penso anch'io: prima,  per niente! A forza di provarci alla fine qualcosa esce dall'animo. Grazie cara  <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pm Dove è il profondo che sta dietro il passato
al futuro
alla vita intera
Qui ti riferisci a persone di un certo spessore
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmalla mia mente
come le domande nel profondo della tua mente
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmAttraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo
le risposte a domande importanti spingono ad agire
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmil quadro felice di un unico pianeta
toglierei l'aggettivo "felice", troppo utopistico, e non lo sostituirei. 
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmun futuro all'altezza del tempo
La morte dello spettro eterno dell'errore
C'è la giusta enfasi nel finale, ma ancora un'utopia: l'uomo continuerà a sbagliare, è nella sua natura.

Piaciuta questa disamina filosofica, caro @bestseller2020   :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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ciao @Poeta Zaza 
Poeta Zaza ha scritto: mer ott 26, 2022 7:45 pmtoglierei l'aggettivo "felice", troppo utopistico, e non lo sostituirei. 
Grazie del passaggio e del tuo sempre prezioso commento. Ti rispondo in merito al termine "utopistico", in quanto lo vedo come la posizione di chi si sente già sconfitto in partenza. Io credo condivisibile tale tua osservazione, alla luce di ciò che siamo. Ma il "grande cambiamento" non arriverà grazie all'opera dell'uomo.  Se il destino nostro fosse nelle nostre mani, l'estinzione è quello che ci riserverebbe il futuro. Per fortuna, il progetto divino verrà a compimento. Le forze del bene già premono all'orizzonte. Ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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 Ciao @bestseller2020
Tu e gli altri siete riusciti a creare delle poesie. Io non potevo, non condividendo i pensieri di nessuno dei tre autori dei testi e potevo giusto usare una mia praticaccia apocrifa nel manomettere dei testi già scritti, giusto per contraddirne uno. Ma lo avrei fatto anche con gli altri due.
Della tua poesia mi è piaciuto questo “profondo che sta dietro il passato”.
Un bel pensiero, molto vasto, tranquillizzante, riposante, appagante, che si presta a ulteriori esplorazioni e suggestioni.
Ma sei troppo fiducioso nel mettere
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmAttraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo
Gli uomini non si sono mai posti domande, mai voluto dare vere risposte, inutile che cerchino, lo fanno solo per la loro vanagloria.
Io non mi fido.
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmil quadro felice di un unico pianeta
un futuro all'altezza del tempo
La morte dello spettro eterno dell'errore
Molto bello. Ma non è mai stato e non sarà mai così.
Se anche a volte si è rasentata la felicità nella storia degli uomini, ci sono stati altri uomini che vi hanno deliberatamente gettato la disperazione. E ancora oggi è così. Comunque belle parole di speranza.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmLa morte dello spettro eterno dell'errore
Ciao Best, sarò breve. 
Parto dalla fine perché questo verso mi ha davvero colpito. Hai usato due termini che solitamente hanno accezione negativa (morte e spettro) in una frase che all'opposto esprime speranza di un mondo senza rimpianti, senza sbagli irreparabili... notevole. Secondo me questa scelta espressiva rafforza tantissimo il messaggio contenuto in tutto il componimento:
bestseller2020 ha scritto: lun ott 24, 2022 9:34 pmAttraverso le risposte 
gli uomini continueranno
la loro ricerca nel mondo

il quadro felice di un unico pianeta
un futuro all'altezza del tempo
la ricerca di un futuro migliore, della felicità. È tutto chiarissimo dal primo all'ultimo verso, ma è nel finale che il significato esplode con tutta la sua potenza, secondo me. Bravo.

Re: [CP8] Le risposte venute da lontano

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@bestseller2020 

Ciao. Un ottimo lavoro, direi. La domanda introduttiva del primo verso lungo seguita dai tre versi brevi che sgranano un rosario di misteri sui quali sono stati spesi fiumi di parole e altre continuano a spendersi senza esaurirne mai la carica attrattiva, di quei misteri. La terzina successiva che pone una considerazione in modo formale, quasi didattico, senza dare risposta, dando anzi per scontato che le risposte saranno molteplici e diverse, che il mistero non si esaurirà mai. E infine quei tre versi così ricchi di parole e intriganti accostamenti. Bella, complimenti.  :super:
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