[CP8] Dietro a ogni cosa
Posted: Sun Oct 23, 2022 7:54 pm
Traccia 3.
"Le mie risposte alle grandi domande" - Estratto
(Stephen Hawking)
Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente.
Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati.
Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare.
Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana.
Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo.
Agite ora.
Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande.
Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia.
Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita.
Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno.
A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione. Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.)
Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.
"Le mie risposte alle grandi domande" - Estratto
(Stephen Hawking)
Da sempre, le persone cercano delle risposte alle grandi domande. Da dove veniamo? Come è nato l’universo? Qual è il disegno, il significato profondo che sta dietro a ogni cosa? C’è qualcuno lassù? I racconti della creazione tramandati nel passato, che oggi sembrano meno attendibili, sono stati sostituiti da una varietà di credenze – che potremmo solo definire «superstizioni» – che spaziano dalla New Age a Star Trek. La scienza, però, può risultare anche più strana della fantascienza, e molto più soddisfacente.
Io sono uno scienziato con un profondo interesse per la fisica, la cosmologia, l’universo e il futuro dell’umanità. I miei genitori mi hanno insegnato a coltivare un’insaziabile curiosità e a provare a rispondere, come mio padre, alle molte domande che la scienza ci pone. Ho trascorso la vita intera viaggiando nel cosmo, senza mai uscire dalla mia mente. Attraverso la fisica teorica, ho cercato le risposte ad alcune delle grandi domande. A un certo punto, ho pensato che avrei assistito alla fine della fisica come la conosciamo, oggi, invece, ritengo che anche dopo che me ne sarò andato gli uomini continueranno per molto tempo a godere della meraviglia delle scoperte scientifiche. Siamo vicini ad alcune di queste risposte, ma non ci siamo ancora arrivati.
Il problema è che molti credono che la scienza sia troppo complicata, e fuori dalla loro portata. Io non lo penso affatto. Per condurre una ricerca sulle leggi fondamentali che governano l’universo è di certo necessario un dispendio di tempo, che la maggior parte della gente non può permettersi: se tutti ci dedicassimo alla fisica teorica, nel giro di poco il mondo si fermerebbe. Tuttavia, quasi tutti sono in grado di comprendere e apprezzare le nozioni di base se vengono spiegate loro in modo chiaro e senza equazioni, cosa che ritengo possibile e che talvolta mi sono dilettato a fare.
Ho vissuto l’epoca più memorabile per la ricerca nella fisica teorica. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro quadro dell’universo è cambiato moltissimo, e sarò felice se avrò dato anch’io un contributo a questa trasformazione. Una delle grandi rivelazioni portate dall’era spaziale è la nuova prospettiva sotto cui l’umanità ha imparato a guardare se stessa: quando osserviamo la Terra dallo spazio, ci vediamo come un tutt’uno. Percepiamo l’unità, non le divisioni. È un’immagine che, nella sua grande semplicità, trasmette un messaggio molto forte: un unico pianeta, una sola razza umana.
Voglio aggiungere la mia voce a quelle di coloro che chiedono un intervento immediato sulle sfide chiave della nostra comunità globale. Spero che in futuro, anche quando non sarò più qui, le persone che governano il mondo siano in grado di mostrare creatività, coraggio e leadership. Mi auguro che si dimostrino all’altezza della sfida posta dagli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, e che agiscano non per il loro interesse personale ma per il bene comune. Sono del tutto consapevole della preziosità del tempo. Cogliete l’attimo.
Agite ora.
Ho già avuto modo di raccontare la mia vita nei miei scritti, ma vale comunque la pena ripercorrere alcune delle mie prime esperienze per dimostrare l’interesse che da sempre nutro per le grandi domande.
Sono nato esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, e mi piacerebbe pensare che questa coincidenza abbia impresso una direzione allo sviluppo che la mia vita ha avuto nel campo scientifico. Tuttavia, secondo i miei calcoli, in quello stesso giorno dovrebbero essere nati circa duecentomila altri bambini, e non so quanti di loro abbiano poi mostrato un qualche interesse per l’astronomia.
Sono cresciuto in una casa vittoriana, un edificio alto e stretto nel sobborgo londinese di Highgate che i miei genitori avevano acquistato a prezzo stracciato durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti pensavano che Londra sarebbe stata rasa al suolo dai bombardamenti. In effetti, un missile V2 cadde proprio a poche case di distanza dalla nostra; quel giorno, comunque, io ero via con mia madre e mia sorella, e per fortuna mio padre non rimase ferito. Il cratere dell’esplosione sarebbe rimasto lì per diversi anni: io e il mio amico Howard andavamo a giocarci, studiando i risultati dell’esplosione con la stessa curiosità che mi avrebbe poi guidato per tutta la vita.
Nel 1950, mio padre andò a lavorare presso la nuova sede del National Institute for Medical Research di Mill Hill, alla periferia nord di Londra, e la nostra famiglia si trasferì lì vicino, nella città episcopale di St Albans. I miei mi mandarono alla High School for Girls, che a dispetto del nome accettava anche i maschi fino ai dieci anni. In seguito, frequentai la St Albans School. Non fui mai uno degli studenti migliori – era una classe di ragazzi molto intelligenti e io ero più o meno nella media –, ma i compagni mi diedero comunque il soprannome di «Einstein»; può darsi, quindi, che intravedessero in me i segni di una qualche potenzialità. Quando avevo dodici anni, uno dei miei amici scommise con un altro un sacchetto di caramelle che non sarei mai diventato nessuno.
A St Albans avevo sei o sette amici intimi. Ricordo che discutevamo a lungo di ogni genere di argomento, dai modellini radiocomandati alla religione. Una delle grandi questioni di cui parlavamo riguardava l’origine dell’universo e l’eventuale necessità di un Dio che lo avesse creato e messo in movimento. Avevo sentito che la luce proveniente dalle galassie remote era spostata verso il rosso dello spettro, cosa che veniva vista come una prova del fatto che il cosmo si stesse espandendo. Io, però, ero sicuro che ci doveva essere un’altra spiegazione per quel fenomeno: non poteva darsi che la luce, nel suo tragitto fino a noi, si stancasse diventando così più rossa? L’idea di un universo eterno e sostanzialmente immutabile mi sembrava molto più naturale. (Solo diversi anni dopo, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo a microonde – avvenuta quando frequentavo da un paio d’anni il mio corso di dottorato –, avrei compreso l’errore.)
Ero sempre molto interessato a capire come funzionavano le cose e, per farlo, ero solito smontarle. Purtroppo, però, non ero altrettanto bravo a rimetterle insieme: la mia abilità pratica non è mai stata all’altezza delle mie capacità teoretiche. Mio padre aveva sempre incoraggiato la mia passione per la scienza e voleva che andassi a studiare a Oxford o Cambridge. Lui aveva frequentato l’Università di Oxford e pensava che anch’io avrei dovuto iscrivermi lì. A quei tempi, però, non c’erano posti per studenti di matematica, quindi la mia unica opzione fu provare a far domanda per una borsa di studio in scienze naturali e, con mia stessa sorpresa, riuscii a ottenerla.
Dietro a ogni cosa
dietro a ogni cosa
una strana meraviglia
fuori
il mondo
chiaro e possibile
memorabile prospettiva
come un'immagine
un messaggio
una voce consapevole
ora
la mia vita
un'esplosione di caramelle
necessità spostata verso un'altra spiegazione
idea di un eterno errore
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