@BollaDiSapone Ciao.
Questa poesia mi ha subito catturato per la tensione dei versi e quell'alone di insoluto che la rende ancor più intrigante. L'impressione spontanea è quella di trovarsi di fronte alla violenza, e nello specifico l'ho accomunata in quella più “a portata di mano” (analogia tanto semplice quanto aberrante, di cui mi scuso) della violenza domestica. Ma vedo in questa poesia un respiro più ampio che sottende alla violenza in sé, come stato di prevaricazione e segregazione della vittima presa e persa nei suoi meccanismi. Ecco, in un certo qual modo, in questi versi mi pare di scorgere vividamente gli ingranaggi di questo meccanismo subdolo, in special modo nella prima parte.
Il tempo macina le urla
gettate sotto i tappeti,
Il verbo “macinare” mi ha sublimato proprio l'immagine di un tritacarne, e il sostantivante “tempo” mi suggerisce quel respiro universale nell'opera. Difatti il tempo è spesso paragonato a una grande tramoggia che trangugia orrori e sofferenze della Storia. Il secondo verso invece mi àncora alla violenza domestica, al nascondere la polvere sotto al tappeto e non opacizzare le apparenze (che trovo sia il primo e più ferale ingranaggio del meccanismo).
quando i nervi abitano le botole
Questo è uno dei versi che trovo più emblematico e struggente. Ecco che una volta presi nel meccanismo è come se si venisse segregati in una botola e quei “nervi” oltre a idealizzare la tensione emotiva si fanno concreti e visualizzabili nelle nervature del legno che si chiude sopra la testa. Qui mi hai strappato letteralmente un brivido.
e la polvere è occultata al di sotto
del suolo, dell'improvvido silenzio
è rimasto il segno sui muri,
le crepe sulla pelle,
Forse saranno le botole che mi rimandano a secoli bui e un immaginario di segregazione, a questi versi do una valenza universale nelle violenze e sofferenze perpetrate in qualsiasi ambito e la cui omertà, “l'improvvido silenzio”, sgretola l'edificio umano del carnefice e le carni vive della vittima.
il percorso dell'ombra
agganciato alle mattonelle.
Qui è sopraggiunto un altro brivido. E bello vivido, caspita. Ho visto materializzarsi il carnefice nell'ombra e tutta l'angoscia della vittima nella sua prospettiva rasoterra. Ti dirò di più, mi è subentrato il diavoletto della perfidia che mi ha fatto notare, subdolamente sarcastico, che in fase di posa le mattonelle presentano quelle che si chiamano vie di fuga. E mi sono figurato disteso su un pavimento a veder scivolare l'ombra del carnefice sulle vie di fuga delle mattonelle. Tremendo.
Tutto brucia nel sottosuolo
e si chiede nella dimenticanza
se mai sia stato sole,
se mai sia stato luce,
se mai sia stato più di sé
e le sue nocche livide,
mentre ne stringeva la pala
dei suoi vicoli ciechi.
Questa seconda parte l'ho vista come una sorta di compendio, naturalmente non esaustivo ma consistente, del “succo” che ne rimane alla fine degli ingranaggi. E i versi li trovo, inversamente proporzionati, abbinabili sia al carnefice che alla vittima. Al di là dell'esercizio coercitivo in se ci si ritrova davanti a dei vicoli ciechi.
Riassumendo, come hai potuto notare questa tua poesia mi ha coinvolto emotivamente al punto da stendermi al suolo, anche se in senso figurato (che non è poco). Non so se le mie sensazioni collimino in pieno con le tue intenzioni, ma non credo abbia molta importanza. Per come vivo io la poesia, il tuo sasso gettato nell'acqua ha saputo propagare un'ondata di cerchi concentrici emozionali. Complimenti e grazie per le suggestioni che mi hai fatto scaturire.