Caro
@Domenico S.,
ma tu mi dovresti "chiedere perdono" per quando "non" mi commenti, piuttosto che il contrario!
Vedi, io mi sono iscritto prima a WD e poi a CdM perché, avendo "il vizio" di amare la letteratura e di scrivere, "quando non ne posso fare a meno", poesie (e anche racconti; ho perfino scritto due romanzi!); e siccome per me una poesia vive veramente solo quando qualcuno la legge, e un pochino dell'ispirazione di chi l'ha scritta
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif](di quella "magica scintilla" per cui ha pensato che valesse la pena di scriverla) [/font]passa anche ad altre persone; per questo, dicevo, vengo qui, e cerco anche di commentare il più possibile gli altri, per il semplice motivo che ciò che io mi aspetto da loro, è giusto che loro se lo aspettino da me.
Però se la mettiamo sul piano della "bravura", allora rischiamo di rovinare questa delicata illusione (di sapere scrivere poesie, e che qualche valore ce l'abbiano), perché allora subentrano la competizione, l'invidia, il protagonismo e tante altre cose perfino meno belle; mentre invece la cosa migliore sarebbe la disponibilità ad ascoltare e a lasciarsi stupire da ciò che ciascuno di noi, pur con tutti i suoi limiti, ha cercato di offrire.
Il fatto è che nessuno di noi, qui, può pretendere di paragonarsi ai grandi poeti (come Eliot, di cui mi consigli una poesia che non conoscevo: grazie!); al massimo, di "andarci vicino" (in maniera analoga a quello che per Montale era lo scopo di ogni poesia: non di dire "una grande verità", ma di andarci vicino, lasciarla intuire).
Questa mia poesiola ha semplicemente "navigato" sopra un'intuizione poetica del grande Pirandello, e ci ho solo messo qualche ricamo, più per fargli omaggio che per mettere in evidenza la mia "bravura". Perché non è nemmeno questione di bravura, piuttosto di impegno, lavoro, e anche di tempo: perché, non so se ci crederai, ma ci ho messo tre giorni a scriverla. E allora è di grandissima importanza sapere se ne valeva la pena: perché, altrimenti, potrei anche non riprovarci nemmeno più. Perciò grazie per l'apprezzamento.
Quanto alla questione che mi poni
Domenico S. wrote: Non dovremmo sperare di continuare a essere quello che siamo, in un'eventuale altra vita, anziché diventare qualcosa di diverso? O è questo solo un desiderio vagamente infantile di chi non ha accettato il naturale alternarsi nel ritmo della vita e della morte, di cui tutti partecipiamo?
Certo che è "infantile", cioè illusorio. In verità, ciò che vorremmo sarebbe di "continuare a essere", e questo desiderio si fa più intenso mano a mano che uno invecchia, e si accorge ogni giorno che qualcosa sta avvenendo, sempre più cose vengono lentamente a mancare, per cui un giorno "non sarà più". Ma perfino la religione (cristiana), che ci offre una speranza di continuare ad esserci, ce la offre attraverso una trasformazione (in puro spirito): perché continuare a essere sempre gli stessi, tutti si rendono conto che è veramente impossibile. Evidentemente Pirandello non partiva da un punto di vista religioso. Ma siccome questa aspirazione a continuare a esserci, in qualche modo, è di tutti e va perfino al di là della religione, ecco questo "incarnarsi" in qualcosa, che è qualcosa "di bello". Come a dire che di "aspirare al bello" non possiamo proprio fare a meno, e che perfino da morti vorremmo continuare a poterlo fare. Almeno così ho interpretato la suggestione del racconto.
Grazie Domenico, e a presto rileggerci.