Il geranio rosso

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Variazione sopra il brano di Pirandello "Di sera, un geranio", proposto come traccia uno nel contest “Il mare in un bicchiere” del 25.7 – 1.8.2021, al quale non ho potuto partecipare.
Quando dalla fontana inaridita
cadrà l’ultima goccia iridescente
che, evaporando, mi riporti al Niente,
resterà un po’ dell’anima smarrita
forse in un fiore, sì:
un geranio rosso

Come la foglia stanca ed avvizzita
con le altre si abbandona alla corrente
verso il Gorgo tremendo, forse sente,
in qualche modo, che in un’altra vita
sarà un bel fiore, sì:
un geranio rosso

E mi alzo a volo sopra le rovine
di questo nero grumo di dolore;
vedo nel corpo mio l’estremo Orrore,
ma si rallegra l’anima: alla fine
sarò in un fiore, sì:
un geranio rosso

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Re: Il geranio rosso

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Caro @Luca Canetti,
ti ringrazio molto del commento! Però ti devo avvertire che, secondo le regole del sito, è decisamente troppo breve. Cosa che succede spesso ai nuovi arrivati (a proposito, benvenuto!) che non conoscono le regole (capita a tutti, ed è capitato anche a me). Normalmente a questo punto interviene un Moderatore e ti "blocca" la poesia che hai postato usando il commento a questa mia, nel senso che nessuno la può commentare a meno che tu non metta un commento più approfondito. Normalmente: si vede che i Moderatori sono ancora in ferie...
Se dovessi poi mettermi un commento più articolato, ti suggerirei di visitare il racconto di Pirandello (sotto allo "Spoiler") e così capiresti meglio come questa poesia si ricollega al racconto. La sfida era di "fare entrare il mare in un bicchiere", ossia raccontare con una poesia le cose che ci sono nel racconto. In sostanza, è stata una specie di esercitazione "a tema". 
Se poi verrai a commentarmi più a fondo, dimmi pure quali sono le modifiche che faresti. Non mi offendo mica, anzi mi incuriosisce.
A presto e grazie

Re: Il geranio rosso

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Il guaio è che di queste cose non me ne intendo proprio. Sono cose che purtroppo non ho mai approfondito. Ho sempre letto poesia, sempre però con l'intento di leggere e di arricchirmi, e non con l'intento di diventare un critico letterario, anche perchè secondo me la critica non è una scienza esatta; oltretutto, secondo me i critici non hanno ragione d'essere, perchè comunque chiunque faccia questo lavoro è una persona, un individuo unico e irripetibile, e come tale ha i propri gusti musicali (e non), che comunque sia sono sempre opinabili. Esattamente come nel mondo della musica: a me piace Brahms e Mendelssohn, a qualcun altro può piacere ad es. Hummel, Manfroce e Cherubini. 

Re: Il geranio rosso

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Gianfranco P ha scritto: Quando dalla fontana inaridita
cadrà l’ultima goccia iridescente
che, evaporando, mi riporti al Niente,
resterà un po’ dell’anima smarrita
forse in un fiore, sì:
un geranio rosso
Hai fatto bene a suggerirmi la lettura del racconto di Pirandello, sebbene la tua poesia possieda la sua bellezza "autonoma", direi che hai centrato in pieno il tema del racconto. I versi hanno un bel ritmo dolce e cadenzato, impregnati di una leggera mestizia tutti si chiudono con una rinnovata speranza; quei "forse" seguiti da un  "sì" si trasformano in certezze e per questo annuncio di rinascita (il geranio è un fiore che si rigenera sempre). Mi è piaciuta molto.  Bravo davvero.  

Re: Il geranio rosso

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@Gianfranco P
Ciao, allora comincio col dire che commento poco le tue poesie non perché non le apprezzi, ma perché le apprezzo molto e sono un po' intimidito dalla tua bravura e dalla tua evidente erudizione in ambito poetico. Diciamo che temo di scrivere sciocchezze che non ti sono utili... perciò chiedo perdono in anticipo!
Intanto, ho letto la novella di Pirandello (mi sono reso conto, fra l'altro, che ho frequentato troppo poco le storie brevi di quest'autore...) e ho trovato che il tuo componimento fosse fedele allo spirito del testo del premio Nobel e altrettanto suggestivo. La poesia, infatti, riflette il senso di smarrimento di un uomo che vive in un tempo "fuor di sesto" come doveva essere l'inizio del Novecento e come è, in fondo, il tempo odierno. Da qui l'attualità di Pirandello, nostro contemporaneo, e di qui l'interesse della tua poesia. Sembra che, in un mondo in cui tutto quanto esperiamo, costruiamo e anche speriamo finisce nel nulla, solo la fuga verso il bello permessa dal mondo della natura (ma dove finisce la natura, e dove finiamo noi?) apra la porta ha qualcosa che non definirei nemmeno speranza, ma soltanto un lumicino d'essa... rimane solo il bello, ma anch'esso è caduco come un fiore. Di qui una serie di riflessioni sempre attuali e sempre presenti in letteratura sulla transitorietà del nostro esistere.
Un tocco di pathos, dato dalla lettura del racconto di Pirandello, è conferito dal fatto che il protagonista della poesia è prossimo alla morte. Si vorrebbe reincarnare in qualcosa di bello, come un geranio rosso. Questo mi ha fatto riflettere. Perché un uomo, in punto di morte, vorrebbe diventare qualcosa che non è, che non è mai stato: qualcosa di bello. Non c'è abbastanza spazio, nella nostra vita e nel nostro tempo, per essere belli come un geranio? Non dovremmo sperare di continuare a essere quello che siamo, in un'eventuale altra vita, anziché diventare qualcosa di diverso? O è questo solo un desiderio vagamente infantile di chi non ha accettato il naturale alternarsi nel ritmo della vita e della morte, di cui tutti partecipiamo?
Comunque il tuo componimento mi ha fatto riflettere e mi ha aiutato ad apprezzare il racconto del grande autore siciliano. Non ho particolari appunti da fare sul linguaggio e sulla metrica, che sembrano "piacevolmente" datati e impeccabilmente adatti al contenuto espresso.

Dimenticavo: di recente ho letto una poesia di Thomas Eliot, Rapsodia in una notte ventosa, dove troviamo l'immagine della mezzanotte che è scossa dalla memoria come un pazzo scuote un geranio seccato. Probabilmente la conosci, ma te la volevo segnalare.

Spero, in qualche modo, d'esserti stato utile!

A presto,
Domenico
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: Il geranio rosso

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Caro @Domenico S.,
ma tu mi dovresti "chiedere perdono" per quando "non" mi commenti, piuttosto che il contrario! 
Vedi, io mi sono iscritto prima a WD e poi a CdM perché, avendo "il vizio" di amare la letteratura e di scrivere, "quando non ne posso fare a meno",  poesie (e anche racconti; ho perfino scritto due romanzi!); e siccome per me una poesia vive veramente solo quando qualcuno la legge, e un pochino dell'ispirazione di chi l'ha scritta [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif](di quella "magica scintilla" per cui ha pensato che valesse la pena di scriverla) [/font]passa anche ad altre persone; per questo, dicevo, vengo qui, e cerco anche di commentare il più possibile gli altri, per il semplice motivo che ciò che io mi aspetto da loro, è giusto che loro se lo aspettino da me. 
Però se la mettiamo sul piano della "bravura", allora rischiamo di rovinare questa delicata illusione (di sapere scrivere poesie, e che qualche valore ce l'abbiano), perché allora subentrano la competizione, l'invidia, il protagonismo e tante altre cose perfino meno belle; mentre invece la cosa migliore sarebbe la disponibilità ad ascoltare e a lasciarsi stupire da ciò che ciascuno di noi, pur con tutti i suoi limiti, ha cercato di offrire. 
Il fatto è che nessuno di noi, qui, può pretendere di paragonarsi ai grandi poeti (come Eliot, di cui mi consigli una poesia che non conoscevo: grazie!); al massimo, di "andarci vicino" (in maniera analoga a quello che per Montale era lo scopo di ogni poesia: non di dire "una grande verità", ma di andarci vicino, lasciarla intuire). 
Questa mia poesiola ha semplicemente "navigato" sopra un'intuizione poetica del grande Pirandello, e ci ho solo messo qualche ricamo, più per fargli omaggio che per mettere in evidenza la mia "bravura". Perché non è nemmeno questione di bravura, piuttosto di impegno, lavoro, e anche di tempo: perché, non so se ci crederai, ma ci ho messo tre giorni a scriverla. E allora è di grandissima importanza sapere se ne valeva la pena: perché, altrimenti, potrei anche non riprovarci nemmeno più. Perciò grazie per l'apprezzamento.
Quanto alla questione che mi poni 
Domenico S. ha scritto: Non dovremmo sperare di continuare a essere quello che siamo, in un'eventuale altra vita, anziché diventare qualcosa di diverso? O è questo solo un desiderio vagamente infantile di chi non ha accettato il naturale alternarsi nel ritmo della vita e della morte, di cui tutti partecipiamo?
Certo che è "infantile", cioè illusorio. In verità, ciò che vorremmo sarebbe di "continuare a essere", e questo desiderio si fa più intenso mano a mano che uno invecchia, e si accorge ogni giorno che qualcosa sta avvenendo, sempre più cose vengono lentamente a mancare, per cui un giorno "non sarà più". Ma perfino la religione (cristiana), che ci offre una speranza di continuare ad esserci, ce la offre attraverso una trasformazione (in puro spirito): perché continuare a essere sempre gli stessi, tutti si rendono conto che è veramente impossibile. Evidentemente Pirandello non partiva da un punto di vista religioso. Ma siccome questa aspirazione a continuare a esserci, in qualche modo, è di tutti e va perfino al di là della religione, ecco questo "incarnarsi" in qualcosa, che è qualcosa "di bello". Come a dire che di "aspirare al bello" non possiamo proprio fare a meno, e che perfino da morti vorremmo continuare a poterlo fare. Almeno così ho interpretato la suggestione del racconto. 
Grazie Domenico, e a presto rileggerci. 
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