Un giorno, forse

1
                                                   commento                 

                                                      UN GIORNO, FORSE
 
 
 
Il vecchio orologio che aveva nel cuore
segnava il tempo di tutte le cose
che esistevano in quel momento
e di tutte le altre che, in quel momento
cessavano di esistere - nel mare in tumulto
in cui a volte il cuore annegava
 
Quel cuore che sempre diffidava
dell’incessante passione altrui
Ebbene, che dire di quel cuore restio
in intima confidenza col sangue e la vita
se non che i segreti del sangue e della vita
erano in effetti ben custoditi?
 
     Lei disse:                                              Parliamo
     Lui alzò le spalle, come per dire:     Se vuoi
     Lei disse:                                              Lascia perdere
 
e lui alzò le spalle ancora, a disagio
in quel piccolo paese di campagna
in cui le promettenti ore dell’alba
lasciavano il posto alle tarde mattinate
surreali di sole e vento alteri
che facevano della solitudine un dovere
e del futuro un’incombenza intollerabile
E poi le notti di buio claustrofobico
e autoritario silenzio
 
Il cane aveva lo stesso colore del divano e
soltanto quando si alzò per scendere lui capì 
che non era un cuscino, ma lei continuò
imbronciata a guardare la televisione
mentre Otto pisciava sul ficus, nell’angolo
e il reporter australiano illustrava
la pigrizia sessuale del koala
 
     Lei disse:                  Puoi rimanere per cena, se vuoi
     Lui chiese:                Sicura?
     Lei rispose:              No
 
Si scusò, allora, e prese congedo
lasciando la donna e il cane soli
in quell’isola di luce che era la casa
nell’oscurità assoluta dei campi
dove le messi crescevano, senza rumore
e senza dubitare mai della propria natura
Cercò di ricordare inutilmente, uscendo
cos’avesse creduto di ottenere, entrando
 
Il vecchio orologio che aveva nel cuore
emetteva un suono fievole che sentivi soltanto
sotto il palmo, o posandovi sopra l’orecchio
come il mare in una conchiglia, e tuttavia
non si fermava mai, non avanzava nè precedeva
il tempo della maturazione o della raccolta
 
Quando vorrai sapere, pensò nel buio
dovrai soltanto chiedere, un giorno
Appendice - Come la maggior parte delle persone solitarie che conosco, uomini e donne, dormo in un letto matrimoniale - forse per la subliminale speranza di formare una coppia, impressa nella corteccia cerebrale dagli albori della mia infanzia, oppure per l’inguaribile ingombro del mio ego – e uso sempre per i cuscini una federa di un colore e una di un altro, perché ritengo buona abitudine sapere sempre su quale ho sbavato la notte prima (non dico per cambiare le federe ogni giorno, ma per praticare perlomeno un’alternanza. Di dubbia utilità, ne convengo). Dico questo perché credo che la metodicità e la buona organizzazione – ma pure le fissazioni assurde, vedi sopra - facciano parte del naturale istinto di sopravvivenza che sviluppano le persone sole. D’altro canto, però, è indubbio che le abitudini consolidate rendano allo stesso tempo quanto mai problematica qualsiasi eventuale convivenza futura (che i sessantenni avessero un futuro era qualcosa che in gioventù non avrei mai immaginato). Perché c’è un fatto incontrovertibile che tutto l’edificante sentimentalismo di questo mondo non può confutare, e cioè che vivere soli, oltre alle prevedibili mancanze, ha i suoi lati gioiosi e splendenti. E non dimentichiamo quanto si può essere soli, scollegati dalla realtà che ci circonda, anche all’interno di un matrimonio e di una convivenza. Né la differenza fondamentale che intercorre tra solitudine e isolamento. Quel collegamento non è mai scontato, lo si può perdere o coltivarlo a prescindere dalla nostra socievolezza. I libri - gli amabili libri, ad esempio - sono porte aperte su quella realtà, ma se qualcuno reputa più importante e gratificante un aperitivo o una festa, immagino vada bene lo stesso (per lui). Io credo che tutto verta intorno alla disperata ricerca dell’approccio finale alla vita, quello in grado di spiegarci tutto, di dare un senso al tutto, e soprattutto di sopperire a tutto ciò che ci manca. Be’, sinceramente penso sia un’utopia. Nulla è definitivo: posso felicemente vivere solo e poi incontrare qualcuno per cui valga la pena rinunciare ad alcuni privilegi e condividerne altri. Oppure posso convivere con una persona e a un certo punto stancarmi di farmi triturare i testicoli per questa o quell’altra mia presunta inadempienza (e non vogliamo citare a tal proposito il tema principe di ogni recriminazione femminile? L’anaffettività! Oh mio dio l’anaffettività! Neanche Godzilla nel centro di Tokio ha mai causato tanta apocalittica devastazione) e quindi optare per una sana e liberatoria separazione. La vita, vivaddio, non è mai definitiva.
 
 2 maggio 2021

Re: Un giorno, forse

2
Ciao @Bob66 .

Una poesia discorsiva sul tema dell'incomunicabilità. Lo spoiler mette a fuoco il campo d'analisi ma già il testo è ben chiaro: la solitudine che può esserci da soli o in alcuni casi anche quando si è in due. Così si trovano aspettative, intenzioni e volontà che non convergono; o forse un giorno o  per dei momenti. Descrivi una condizione oscillante tra il trovarsi e il respingersi.
La voce poetica scorre in un monologo fluido. La sua discorsività mortifica l'elemento aulico o comunque la possibile intenzione di voler inglobare nel verso delle figure retoriche che ne intensifichino la poeticità. Ormai ti muovi agevolmente nella forma poetica e non posso non considerare questo stile come una scelta ponderata e ricercata. Possiamo cogliere dei punti di forza e delle criticità in questa scelta, da una parte la fluidità quasi monolitica del testo, dall'altra il volare basso, il non decollare mai della parola. È difficile trovare passi in questa poesia che possano entrare nella testa e risuonare, eppure l'immagine descritta è ben vivida e si tiene assieme proprio nel suo esser flusso, nel non far addensare le immagini.
Il problema della forma poetica, che per me non si risolve nelle forme metriche, qui può essere ritrovato solo nella negazione di immagini "poetiche". Quel bavaglio, quell'assenza sono l'unico elemento di tensione su un testo che da un punto di vista discorsivo ha la sua autonomia e il suo senso al netto dell'esser poesia.
Dunque la domanda che ci possiamo porre è perché dirlo in forma di poesia?
Ovviamente la poesia ha un'immediatezza e una forza nella parola soitamente maggiore della prosa. Anche se dobbiamo ricordarci che il linguaggio è un prodotto umano in perenne trasformazione e i codici espressivi sono convenzioni, seppur fondate su delle oggettività.
Dunque detto questo la mia attenzione nella lettura oscilla tra il messaggio evidente e ben leggibile e queste briglie poste alla forma poetica. Un'austerità che rafforza la tensione del testo, allora l'accento cade di più sull'elemento di divergenza della coppia e un senso di disincanto sembra impossessarsi del testo. Non la definirei una poeia decadente ne con particolari metariflessioni. È una fotografia di vita asciutta e una condizione sperimentabile da chiunque. Questa sua universalità la rende fruibile a tutti, fermo restando che l'assenza di un lavoro sulla parola pone in testo su una linea sottile oltre cui un certo minimalismo può perdere forza.
Aldilà di questa ultima riflessione direi che comunque la tua poesia cammina su buone gambe.

Re: Un giorno, forse

3
Anglares ha scritto: Descrivi una condizione oscillante tra il trovarsi e il respingersi.
Giusto. Quando scriviamo siamo portati a fare delle precise scelte di campo e a dare delle definizioni altrettanto precise alle storie di cui parliamo, facendone un manifesto a volte di solitudine, o di speranza, o di disillusione, ma nella realtà è molto probabile che queste due persone si rivedano nei giorni successivi e vivano successivi momenti di euforia, di socievolezza e poi ancora di rispettiva solitudine. Potrebbero persino invecchiare insieme, chi può dirlo? Vista da dentro, credo che qualsiasi relazione abbia in se luci ed ombre.
Anglares ha scritto: e non posso non considerare questo stile come una scelta ponderata e ricercata. 
Non direi una vera e propria ricerca. Piuttosto un'evoluzione espressiva naturale e istintiva. Se ci si avvale della scrittura come una forma di auto-analisi, come ho sempre fatto, per forza di cose si raggiunge una certa maturazione, anche stilistica oltre che di contenuti. E quando parlo di maturazione intendo una compiutezza non necessariamente collegata a una precisa identità autoriale. Non ho mai visto il mio percorso come un'evoluzione artistica, ma piuttosto come un lavoro finalizzato a una maggiore coerenza di pensiero. Non ho mai fatto mistero del mio prevalente interesse verso l'elaborazione dei concetti piuttosto che del modo in cui esprimerli.
Anglares ha scritto: Dunque la domanda che ci possiamo porre è perché dirlo in forma di poesia?
  Oppure perhé non prendere atto che tra la poesia e la prosa esistano tutta una serie di sfumature intermedie di cui potersi avvalere di volta in volta?
O ancora perché non considerare che la poesia non sia necessariamente connaturata all'estetica della parola o alla metrica ma in forma più elementare a una basilare e diretta necessità di espressione dell'animo umano che non si riconosca nell'elemento aulico o nella costruzione prosaica, o perlomeno che in essi perda parte di quell'elementarità?
Vero, avrei potuto scrivere un racconto, ma non certo con la stessa potenzialità di sintesi o l'immediatezza di un prodotto letterario di questo tipo - che comunque, anche rileggendo a distanza di tempo, trovo compiuto e non privo di una sua ragion d'essere.
Anglares ha scritto: Anche se dobbiamo ricordarci che il linguaggio è un prodotto umano in perenne trasformazione e i codici espressivi sono convenzioni, seppur fondate su delle oggettività.
  Appunto, e comunque in questa trasformazione non c'è, e nemmeno potrà mai esserci, la volontà di soppiantare la ricerca aulica. Si definiscono semplicemente ambiti aggiuntivi e spazi diversi e magari, questo sì, una maggiore accessibilità alla parola scritta che possa riavvicinare ad essa un maggior numero di persone di quanto non stia accadendo ora, proprio in funzione delle sue proprietà terapeutiche e sociali, lasciando i riconoscimenti letterari a chi ha voglia di guadagnarseli.
Anglares ha scritto: Aldilà di questa ultima riflessione direi che comunque la tua poesia cammina su buone gambe.
@Anglares Ti ringrazio, Ang. Il tuo passaggio mi ha fatto molto piacere. Ciao!  :super:

Re: Un giorno, forse

4
Bob66 ha scritto: Oppure perhé non prendere atto che tra la poesia e la prosa esistano tutta una serie di sfumature intermedie di cui potersi avvalere di volta in volta?
O ancora perché non considerare che la poesia non sia necessariamente connaturata all'estetica della parola o alla metrica ma in forma più elementare a una basilare e diretta necessità di espressione dell'animo umano che non si riconosca nell'elemento aulico o nella costruzione prosaica, o perlomeno che in essi perda parte di quell'elementarità?
Vero, avrei potuto scrivere un racconto, ma non certo con la stessa potenzialità di sintesi o l'immediatezza di un prodotto letterario di questo tipo - che comunque, anche rileggendo a distanza di tempo, trovo compiuto e non privo di una sua ragion d'essere.
Concordo completamente con quanto dici sopra, la mia voleva essere una domanda retorica proprio per alludere a questi aspetti. (y) 
A presto.
Rispondi

Torna a “Poesia”