Viola
Posted: Thu Dec 21, 2023 8:25 pm
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Uscito dallo studio della psichiatra, Bartolomeo Penati aveva una sola certezza: non si conosceva affatto. Quarant’anni di convivenza con sé stesso non erano serviti a niente, e l’infarto dell’anno precedente lo confermava. «Nucleo depressivo», questa la diagnosi.
Guardò l’ora e cominciò a correre.
Sistemò la valigia sulla rastrelliera dopo aver tirato fuori un libro, una matita e una bottiglietta d’acqua minerale. Inspirò.
Era sul treno, seduto su una impataccata poltrona bordeaux accanto al finestrino, e, cosa più importante di tutte, era rivolto in direzione opposta alla marcia. Pertanto gli sarebbe venuta la nausea, nel caso in cui avesse deciso di ammirare il paesaggio. Nel caso in cui. Il suo progetto consisteva nel terminare il libro prima di arrivare a destinazione: aveva scommesso con sé stesso una nuova giacca da camera in cashmere che non avrebbe mai guardato fuori dal finestrino.
Seicento pagine fitte.
Si concentrò sul blu profondo e vellutato della vestaglia: ne valeva la pena. Oltretutto, conosceva a memoria il panorama che si sarebbe dischiuso oltre quel vetro appannato. Poteva farcela. Bevve un piccolo sorso d’acqua e aprì il volume a pagina quattro. Per avvantaggiarsi, aveva letto qualche facciata in metropolitana. Inspirò di nuovo, e cominciò a leggere:
Il mattino seguente si svegliò in un bagno di sudore: l'impiallacciatura del trumeau che avrebbe dovuto consegnare il giorno dopo brulicava di vermi sanguinolenti. Il lavoro di un anno dissipato in una notte? Guardò verso la finestra: un salto nel vuoto dal settimo piano avrebbe risolto tutto. ‘Beniamino! La colazione è pronta! Io scappo. Ci vediamo stasera’. La voce allegra di Preziosa, che aveva sposato insieme al trumeau, ebbe su di lui l'effetto di un vento tiepido. Le dense gocce di sudore sparirono, il peso del sogno notturno scomparve. Le sue mani fertili erano ansiose di carezzare per l'ultima volta il legno caldo e antico.
«Scusi, posso sedermi? È libero questo posto?»
Non mi posso distrarre, pensò tra sé Bartolomeo. Non mi posso distrarre.
«Scusi, signore: è libero questo posto? Mi ha sentito? Questa sciarpa è sua?»
Rifletté che il treno non era ancora partito, e lui già era a pagina quattro e mezzo. Sì, forse poteva alzare lo sguardo, ed eventualmente rispondere.
«La mia sciarpa, grazie! Non so come sia finita a terra. Questo posto? Che io sappia, è libero. Prego, si accomodi. Posso aiutarla a sistemare la valigia?»
Ipotizzava che se si fosse mostrato gentile, prevenendo inevitabili richieste di aiuto, quella donna, poi, lo avrebbe lasciato in pace. Però, a pensarci bene, poteva accadere l’esatto contrario: se appariva troppo premuroso, lei se ne sarebbe approfittata e lo avrebbe di sicuro infastidito durante tutto il viaggio con richieste inopportune. Rimase immobile con la valigia a mezz’aria. La poggiò di nuovo a terra.
«Mi perdoni, non posso. Soffro di ernia.»
Si sedette, controllò l’ora. Siamo in ritardo, pensò. Avrei potuto comprare il giornale. L’avrei riposto in valigia, senza leggerlo. Si concentrò sulla scommessa, chiudendo gli occhi.
«Ma certo, dia qua. Sono fortissima, cosa crede? Spesso sono io che aiuto gli altri a sollevare le borse. Mi dispiace per la sua ernia. Cosa dicono i medici?»
«Cosa dicono i medici? Che è un’ernia molto grave. Mi dovranno operare a breve. Un intervento lungo e doloroso. Ora mi scusi. Sono affaticato, affaticatissimo. Ecco, forse a malapena riuscirò a leggere qualche riga».
«Cerchi di riposare. Anch’io ho con me un nuovo romanzo – per la miseria, dov’è? Ah, eccolo. Per un attimo ho pensato di averlo lasciato al bar della stazione. Allora, buona lettura a entrambi. Io mi chiamo Viola, e lei?»
Bartolomeo aveva chiuso gli occhi e contratto il viso in un’espressione di acuta sofferenza. La giovane non ripeté la domanda, si sedette e cominciò il suo libro:
A–f–r–i–c–a. Ogni lettera, in apparenza innocua, del vasto continente, si era conficcata nello stomaco di Miranda con la virulenza del plasmodio della malaria. A di ‘assolutamente necessario partire’, F di ‘ferocia e furore’, R di ‘restare in Italia è un suicidio’, I di ‘insieme risolveremo i problemi del mondo’, C di ‘come ho fatto a non pensarci prima?’, A di ‘amore mio, se te ne vai mi ammazzo’. Cinque contro uno. La morte di una persona cara versus la vita di centinaia, migliaia, milioni di bambini. La sua specializzazione era in malattie infettive e tropicali: l'Africa dunque la chiamava a sé con la tenacia del lamento notturno di un moribondo. Scrisse al suo ragazzo di rassegnarsi, perché avrebbe accettato di partire per il Burundi.
Guardò fuori dal finestrino. Il treno stava partendo. Io non partirei mai così, sui due piedi, scrivendo un messaggio al mio ragazzo, pensò. Chiuse il libro e lo poggiò sul sedile accanto. L’uomo di fronte a lei continuava a leggere.
Uscito dallo studio della psichiatra, Bartolomeo Penati aveva una sola certezza: non si conosceva affatto. Quarant’anni di convivenza con sé stesso non erano serviti a niente, e l’infarto dell’anno precedente lo confermava. «Nucleo depressivo», questa la diagnosi.
Guardò l’ora e cominciò a correre.
Sistemò la valigia sulla rastrelliera dopo aver tirato fuori un libro, una matita e una bottiglietta d’acqua minerale. Inspirò.
Era sul treno, seduto su una impataccata poltrona bordeaux accanto al finestrino, e, cosa più importante di tutte, era rivolto in direzione opposta alla marcia. Pertanto gli sarebbe venuta la nausea, nel caso in cui avesse deciso di ammirare il paesaggio. Nel caso in cui. Il suo progetto consisteva nel terminare il libro prima di arrivare a destinazione: aveva scommesso con sé stesso una nuova giacca da camera in cashmere che non avrebbe mai guardato fuori dal finestrino.
Seicento pagine fitte.
Si concentrò sul blu profondo e vellutato della vestaglia: ne valeva la pena. Oltretutto, conosceva a memoria il panorama che si sarebbe dischiuso oltre quel vetro appannato. Poteva farcela. Bevve un piccolo sorso d’acqua e aprì il volume a pagina quattro. Per avvantaggiarsi, aveva letto qualche facciata in metropolitana. Inspirò di nuovo, e cominciò a leggere:
Il mattino seguente si svegliò in un bagno di sudore: l'impiallacciatura del trumeau che avrebbe dovuto consegnare il giorno dopo brulicava di vermi sanguinolenti. Il lavoro di un anno dissipato in una notte? Guardò verso la finestra: un salto nel vuoto dal settimo piano avrebbe risolto tutto. ‘Beniamino! La colazione è pronta! Io scappo. Ci vediamo stasera’. La voce allegra di Preziosa, che aveva sposato insieme al trumeau, ebbe su di lui l'effetto di un vento tiepido. Le dense gocce di sudore sparirono, il peso del sogno notturno scomparve. Le sue mani fertili erano ansiose di carezzare per l'ultima volta il legno caldo e antico.
«Scusi, posso sedermi? È libero questo posto?»
Non mi posso distrarre, pensò tra sé Bartolomeo. Non mi posso distrarre.
«Scusi, signore: è libero questo posto? Mi ha sentito? Questa sciarpa è sua?»
Rifletté che il treno non era ancora partito, e lui già era a pagina quattro e mezzo. Sì, forse poteva alzare lo sguardo, ed eventualmente rispondere.
«La mia sciarpa, grazie! Non so come sia finita a terra. Questo posto? Che io sappia, è libero. Prego, si accomodi. Posso aiutarla a sistemare la valigia?»
Ipotizzava che se si fosse mostrato gentile, prevenendo inevitabili richieste di aiuto, quella donna, poi, lo avrebbe lasciato in pace. Però, a pensarci bene, poteva accadere l’esatto contrario: se appariva troppo premuroso, lei se ne sarebbe approfittata e lo avrebbe di sicuro infastidito durante tutto il viaggio con richieste inopportune. Rimase immobile con la valigia a mezz’aria. La poggiò di nuovo a terra.
«Mi perdoni, non posso. Soffro di ernia.»
Si sedette, controllò l’ora. Siamo in ritardo, pensò. Avrei potuto comprare il giornale. L’avrei riposto in valigia, senza leggerlo. Si concentrò sulla scommessa, chiudendo gli occhi.
«Ma certo, dia qua. Sono fortissima, cosa crede? Spesso sono io che aiuto gli altri a sollevare le borse. Mi dispiace per la sua ernia. Cosa dicono i medici?»
«Cosa dicono i medici? Che è un’ernia molto grave. Mi dovranno operare a breve. Un intervento lungo e doloroso. Ora mi scusi. Sono affaticato, affaticatissimo. Ecco, forse a malapena riuscirò a leggere qualche riga».
«Cerchi di riposare. Anch’io ho con me un nuovo romanzo – per la miseria, dov’è? Ah, eccolo. Per un attimo ho pensato di averlo lasciato al bar della stazione. Allora, buona lettura a entrambi. Io mi chiamo Viola, e lei?»
Bartolomeo aveva chiuso gli occhi e contratto il viso in un’espressione di acuta sofferenza. La giovane non ripeté la domanda, si sedette e cominciò il suo libro:
A–f–r–i–c–a. Ogni lettera, in apparenza innocua, del vasto continente, si era conficcata nello stomaco di Miranda con la virulenza del plasmodio della malaria. A di ‘assolutamente necessario partire’, F di ‘ferocia e furore’, R di ‘restare in Italia è un suicidio’, I di ‘insieme risolveremo i problemi del mondo’, C di ‘come ho fatto a non pensarci prima?’, A di ‘amore mio, se te ne vai mi ammazzo’. Cinque contro uno. La morte di una persona cara versus la vita di centinaia, migliaia, milioni di bambini. La sua specializzazione era in malattie infettive e tropicali: l'Africa dunque la chiamava a sé con la tenacia del lamento notturno di un moribondo. Scrisse al suo ragazzo di rassegnarsi, perché avrebbe accettato di partire per il Burundi.
Guardò fuori dal finestrino. Il treno stava partendo. Io non partirei mai così, sui due piedi, scrivendo un messaggio al mio ragazzo, pensò. Chiuse il libro e lo poggiò sul sedile accanto. L’uomo di fronte a lei continuava a leggere.