Mia sorella
Posted: Fri Jan 01, 2021 4:40 pm
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Mi guardo intorno e mi chiedo se questa casa ci aiuterà. Ha salvato i miei bisnonni dalla guerra, i miei nonni dalla fame, ma adesso? Cosa potrà contro mia sorella?
“Zia, ho sonno.” Miky si stropiccia gli occhi. La prendo in braccio e la porto nel lettino che un tempo aveva cullato me e sua madre.
“Mamma dov’è?” La solita bugia “Mamma lavora, sei con zia adesso, dormi.”
Mia sorella, sua madre.
Ricordo il giorno della sua laurea. La ragazza prodigio, madre, moglie, master in fisica; a ventitré anni mia sorella aveva già fatto tutto quello che io potevo appena sognare. I miei genitori erano vestiti a festa, immobili nel timore di disturbare. Poi c’erano i professori con il loro sguardo un po’ annoiato mentre giocherellavano con gli occhiali. Mia sorella parlava di quark e di fotoni nel brusio sommesso dei ragazzi in attesa del proprio turno. La ricordo dopo la proclamazione, la vedo corrermi incontro, prendere Miky in braccio e ridere felice.
Nemmeno il tempo di festeggiare la laurea che arrivò la borsa di studio per il dottorato.
Fui felice di aiutarla e di permetterle di accettare quel lavoro occupandomi di Miky.
Adesso, mentre la bimba dormire tranquilla, non so più cosa pensare.
Cominciò con gli occhiali. Non era mai stata miope e mi sembrò strano vederla indossare quella montatura scura. “Vale, ma da quando li metti?” Le dissi. “Stanchezza” rispose lei. Poi una sera ci comunicò che si era separata dal marito. Non andavano d’accordo e lui se ne era andato via senza spiegazioni. Conoscevo mio cognato da quando era un ragazzino e tutto potevo immaginare tranne una cosa del genere. Quella sera mia sorella prese Miky e se andò senza aggiungere altro.
Di mio cognato non si parlò più e per quel che ne so potrebbe essere sia vivo che morto. E ora vorrei non chiedermelo.
Lei arrivava la mattina a lasciarci la bambina, la sera nemmeno saliva in casa a prenderla, citofonava e io la portavo giù.
Volli vedere con i miei occhi, capire cosa l'aveva cambiata. Non potevo credere che mio cognato, che non vedeva altro che lei, si fosse stufato di punto in bianco, o che lei non avesse mai tempo per me e per i nostri genitori e che la bambina sembrasse semplicemente un dovere da compiere. Così una mattina decisi di seguirla di nascosto. Lasciai Miky ai miei, presi la macchina e arrivai all’Istituto di Fisica.
Riuscii a infilarmi nel portone che si richiuse immediatamente alle mie spalle lasciandomi immersa nel buio. Cercai la guardiola del custode che ricordavo piena di fiori il giorno della laurea ma non vidi nulla. Il buio era totale, ciononostante potevo capire dove mi trovavo, era una sensazione strana come se potessi vedere ma non con gli occhi.
Sentivo l'inquietudine crescere. Mi sarebbe bastato tornare indietro, uscire dal portone e andare a prendermi un caffè al bar dell’Universitá, ma continuai a camminare, fino a quando capii di essere arrivata all’inizio della scala e cominciai a salire.
Il buio era sempre più nero, nessun suono arrivava alle mie orecchie eppure sentivo la presenza di qualcuno nascosto e silenzioso. Camminavo passo dopo passo con i pensieri congelati in quel silenzio parlante, in quel buio che non era solo mancanza di luce.
Fu quando arrivai in cima allo scalone che persi la percezione di me e del mio corpo.
Persi tutti i riferimenti e mi sentii trafitta da mille spilli. Speravo di riconoscere l’ingresso dell’aula Magna ma quello che percepivo era qualcosa di simile a un muro.
Come una cieca provai a tastare quell'oscurità che sembrava venirmi incontro e avvolgermi. Avrei urlato se solo avessi potuto. Aprii e chiusi gli occhi più volte ma non serviva a niente. Nero dentro e nero fuori.
Mi obbligai a rimanere ferma ad ascoltare i miei sensi distorti. Nel centro del muro percepii una porta che sembrava chiusa ma, contro ogni logica, doveva anche essere aperta, perché senza accorgermi mi trovai dall’altra parte.
Improvvisamente tutto sembró tornare alla normalità. Vidi mia sorella con il camice bianco nell’aula delle lauree che si tormentava gli occhiali e interrogava una ragazzina dall’aria spaurita. Feci un passo verso di lei, ma l’aula scomparve. Pensai di essere tornata indietro attraverso la porta ma non c’era nessuna porta davanti a me.
Poi, in quel vortice di oscuritá, vidi di nuovo mia sorella, questa volta senza occhiali, senza camice bianco. Nuda, pallida. Si volse nella mia direzione e io capii con orrore perché aveva quegli occhiali.
Oltre una cortina invisibile la sentivo continuare l’interrogazione, ma nello stesso istante la Valentina nuda fu in un attimo accanto a me, dietro a me, intorno a me con quelle due cose al posto degli occhi che mi entravano dentro.
“Non dovresti essere qui”.
La voce arrivava dall’essere vicino a me, ma arrivava anche dall’aula come se mia sorella parlasse a due voci. Però io vedevo la ragazza timida che continuava a esporre la legge di Keplero come se niente fosse. Mi sentii prendere per un braccio e quelle due voci mi risuonavano nella testa.
“Ormai non puoi fare altro che guardare senza capire. Sei sempre stata una stupida”.
Sentii moltiplicarsi la vista, l’udito, il tatto. I sensi si dilatarono così tanto che non vidi più mia sorella, ma vidi cento, mille, milioni di sorelle. Milioni di versioni della stessa persona che contemporaneamente uccidevano e curavano, cantavano e urlavano, amavano, torturavano, giocavano e seviziavano.
Un’orgia di voci esplose nella testa.
“Pensavi davvero che la realtá fosse così semplice? Che tu fossi solo tu, io solo io. Pensavi che fossimo tutti così, come tu ci vedi? Ti fa paura?”
Strizzai gli occhi, mi tappai le orecchie, ma non serví: ero inchiodata lì, obbligata a vedere sentire e capire. Milioni di esseri entravano e uscivano dalla porta; tutti simili eppure tutti diversi. Spazio e tempo erano spariti.
“Vorresti aggrapparti alle tue inutili certezze, ma non potrai mai sapere chi arriva e chi va, cosa sia e cosa voglia o quali intenzioni abbia, anche se sembra tua sorella.”
“Miky…” mormorai, sforzandomi di reggere quello sguardo per cercare una traccia della mia vera sorella che pur doveva esserci in fondo a quegli occhi.
Poi tutto divenne per un istante confuso. Mi trovai accanto alla cattedra, con la ragazza che consegnava il libretto.
“Perché sei qui? È successo qualcosa a casa?”
Valentina aveva alzato lo sguardo nella mia direzione e sembrava sinceramente sorpresa di vedermi lí.
Non so cosa accadde dopo. So solo che riuscii a fuggire da quel luogo.
L’istinto guidò la macchina per me.
Corsi a casa, presi Miky, le chiavi della casa in campagna e fuggii.
“Non potrai mai sapere chi arriva e chi va. Non potrai mai sapere cosa sia e cosa voglia.”
Adesso sono qui, nel silenzio della casa buia. Ho provato a chiamare mia madre e mio padre ma nessuno risponde.
La bambina dorme e io devo restare sveglia.
Mia sorella immaginerà facilmente dove sono. Ha gli occhiali e io adesso so cosa nascondono, ma nonostante tutto continuo a credere che sia stata lei a lasciarmi andare.
L’altra, o le altre, non so più come chiamarle, sapranno già, se vogliono sapere.
Arriveranno a prendere me, come hanno preso mio cognato e forse i miei genitori. Arriveranno a prendere Miky, e nessuno lo saprà.
Non ho nessuna speranza, l’unica che mi rimane è che Valentina non dica nulla all’altra. Ti prego, non dirglielo. Penserò io a Miky. Con me sarà al sicuro.
Un’auto si è fermata davanti al cancello. Guardo fuori dalla finestra. Mamma? Papà? Davvero siete voi? Vale?
Miky si sveglia, corre da sua madre, le butta la braccia al collo stringendosi a lei, sembra felice, ma io non sono ancora sicura.
“Aspetta Miky, vieni qui.” Ma lei non mi ascolta.
Mia sorella la guarda e le accarezza gli occhi, poi prende dalla borsa un paio di piccoli occhiali e li infila sul naso della bambina.
“Appena in tempo piccolina, appena in tempo”.
Mi voltano le spalle. Se ne stanno andando.
“Ehi!” Grido con tutto il fiato che ho in corpo, ma nessuno mi sente.
Resto qui a tremare nel buio.
Mi guardo intorno e mi chiedo se questa casa ci aiuterà. Ha salvato i miei bisnonni dalla guerra, i miei nonni dalla fame, ma adesso? Cosa potrà contro mia sorella?
“Zia, ho sonno.” Miky si stropiccia gli occhi. La prendo in braccio e la porto nel lettino che un tempo aveva cullato me e sua madre.
“Mamma dov’è?” La solita bugia “Mamma lavora, sei con zia adesso, dormi.”
Mia sorella, sua madre.
Ricordo il giorno della sua laurea. La ragazza prodigio, madre, moglie, master in fisica; a ventitré anni mia sorella aveva già fatto tutto quello che io potevo appena sognare. I miei genitori erano vestiti a festa, immobili nel timore di disturbare. Poi c’erano i professori con il loro sguardo un po’ annoiato mentre giocherellavano con gli occhiali. Mia sorella parlava di quark e di fotoni nel brusio sommesso dei ragazzi in attesa del proprio turno. La ricordo dopo la proclamazione, la vedo corrermi incontro, prendere Miky in braccio e ridere felice.
Nemmeno il tempo di festeggiare la laurea che arrivò la borsa di studio per il dottorato.
Fui felice di aiutarla e di permetterle di accettare quel lavoro occupandomi di Miky.
Adesso, mentre la bimba dormire tranquilla, non so più cosa pensare.
Cominciò con gli occhiali. Non era mai stata miope e mi sembrò strano vederla indossare quella montatura scura. “Vale, ma da quando li metti?” Le dissi. “Stanchezza” rispose lei. Poi una sera ci comunicò che si era separata dal marito. Non andavano d’accordo e lui se ne era andato via senza spiegazioni. Conoscevo mio cognato da quando era un ragazzino e tutto potevo immaginare tranne una cosa del genere. Quella sera mia sorella prese Miky e se andò senza aggiungere altro.
Di mio cognato non si parlò più e per quel che ne so potrebbe essere sia vivo che morto. E ora vorrei non chiedermelo.
Lei arrivava la mattina a lasciarci la bambina, la sera nemmeno saliva in casa a prenderla, citofonava e io la portavo giù.
Volli vedere con i miei occhi, capire cosa l'aveva cambiata. Non potevo credere che mio cognato, che non vedeva altro che lei, si fosse stufato di punto in bianco, o che lei non avesse mai tempo per me e per i nostri genitori e che la bambina sembrasse semplicemente un dovere da compiere. Così una mattina decisi di seguirla di nascosto. Lasciai Miky ai miei, presi la macchina e arrivai all’Istituto di Fisica.
Riuscii a infilarmi nel portone che si richiuse immediatamente alle mie spalle lasciandomi immersa nel buio. Cercai la guardiola del custode che ricordavo piena di fiori il giorno della laurea ma non vidi nulla. Il buio era totale, ciononostante potevo capire dove mi trovavo, era una sensazione strana come se potessi vedere ma non con gli occhi.
Sentivo l'inquietudine crescere. Mi sarebbe bastato tornare indietro, uscire dal portone e andare a prendermi un caffè al bar dell’Universitá, ma continuai a camminare, fino a quando capii di essere arrivata all’inizio della scala e cominciai a salire.
Il buio era sempre più nero, nessun suono arrivava alle mie orecchie eppure sentivo la presenza di qualcuno nascosto e silenzioso. Camminavo passo dopo passo con i pensieri congelati in quel silenzio parlante, in quel buio che non era solo mancanza di luce.
Fu quando arrivai in cima allo scalone che persi la percezione di me e del mio corpo.
Persi tutti i riferimenti e mi sentii trafitta da mille spilli. Speravo di riconoscere l’ingresso dell’aula Magna ma quello che percepivo era qualcosa di simile a un muro.
Come una cieca provai a tastare quell'oscurità che sembrava venirmi incontro e avvolgermi. Avrei urlato se solo avessi potuto. Aprii e chiusi gli occhi più volte ma non serviva a niente. Nero dentro e nero fuori.
Mi obbligai a rimanere ferma ad ascoltare i miei sensi distorti. Nel centro del muro percepii una porta che sembrava chiusa ma, contro ogni logica, doveva anche essere aperta, perché senza accorgermi mi trovai dall’altra parte.
Improvvisamente tutto sembró tornare alla normalità. Vidi mia sorella con il camice bianco nell’aula delle lauree che si tormentava gli occhiali e interrogava una ragazzina dall’aria spaurita. Feci un passo verso di lei, ma l’aula scomparve. Pensai di essere tornata indietro attraverso la porta ma non c’era nessuna porta davanti a me.
Poi, in quel vortice di oscuritá, vidi di nuovo mia sorella, questa volta senza occhiali, senza camice bianco. Nuda, pallida. Si volse nella mia direzione e io capii con orrore perché aveva quegli occhiali.
Oltre una cortina invisibile la sentivo continuare l’interrogazione, ma nello stesso istante la Valentina nuda fu in un attimo accanto a me, dietro a me, intorno a me con quelle due cose al posto degli occhi che mi entravano dentro.
“Non dovresti essere qui”.
La voce arrivava dall’essere vicino a me, ma arrivava anche dall’aula come se mia sorella parlasse a due voci. Però io vedevo la ragazza timida che continuava a esporre la legge di Keplero come se niente fosse. Mi sentii prendere per un braccio e quelle due voci mi risuonavano nella testa.
“Ormai non puoi fare altro che guardare senza capire. Sei sempre stata una stupida”.
Sentii moltiplicarsi la vista, l’udito, il tatto. I sensi si dilatarono così tanto che non vidi più mia sorella, ma vidi cento, mille, milioni di sorelle. Milioni di versioni della stessa persona che contemporaneamente uccidevano e curavano, cantavano e urlavano, amavano, torturavano, giocavano e seviziavano.
Un’orgia di voci esplose nella testa.
“Pensavi davvero che la realtá fosse così semplice? Che tu fossi solo tu, io solo io. Pensavi che fossimo tutti così, come tu ci vedi? Ti fa paura?”
Strizzai gli occhi, mi tappai le orecchie, ma non serví: ero inchiodata lì, obbligata a vedere sentire e capire. Milioni di esseri entravano e uscivano dalla porta; tutti simili eppure tutti diversi. Spazio e tempo erano spariti.
“Vorresti aggrapparti alle tue inutili certezze, ma non potrai mai sapere chi arriva e chi va, cosa sia e cosa voglia o quali intenzioni abbia, anche se sembra tua sorella.”
“Miky…” mormorai, sforzandomi di reggere quello sguardo per cercare una traccia della mia vera sorella che pur doveva esserci in fondo a quegli occhi.
Poi tutto divenne per un istante confuso. Mi trovai accanto alla cattedra, con la ragazza che consegnava il libretto.
“Perché sei qui? È successo qualcosa a casa?”
Valentina aveva alzato lo sguardo nella mia direzione e sembrava sinceramente sorpresa di vedermi lí.
Non so cosa accadde dopo. So solo che riuscii a fuggire da quel luogo.
L’istinto guidò la macchina per me.
Corsi a casa, presi Miky, le chiavi della casa in campagna e fuggii.
“Non potrai mai sapere chi arriva e chi va. Non potrai mai sapere cosa sia e cosa voglia.”
Adesso sono qui, nel silenzio della casa buia. Ho provato a chiamare mia madre e mio padre ma nessuno risponde.
La bambina dorme e io devo restare sveglia.
Mia sorella immaginerà facilmente dove sono. Ha gli occhiali e io adesso so cosa nascondono, ma nonostante tutto continuo a credere che sia stata lei a lasciarmi andare.
L’altra, o le altre, non so più come chiamarle, sapranno già, se vogliono sapere.
Arriveranno a prendere me, come hanno preso mio cognato e forse i miei genitori. Arriveranno a prendere Miky, e nessuno lo saprà.
Non ho nessuna speranza, l’unica che mi rimane è che Valentina non dica nulla all’altra. Ti prego, non dirglielo. Penserò io a Miky. Con me sarà al sicuro.
Un’auto si è fermata davanti al cancello. Guardo fuori dalla finestra. Mamma? Papà? Davvero siete voi? Vale?
Miky si sveglia, corre da sua madre, le butta la braccia al collo stringendosi a lei, sembra felice, ma io non sono ancora sicura.
“Aspetta Miky, vieni qui.” Ma lei non mi ascolta.
Mia sorella la guarda e le accarezza gli occhi, poi prende dalla borsa un paio di piccoli occhiali e li infila sul naso della bambina.
“Appena in tempo piccolina, appena in tempo”.
Mi voltano le spalle. Se ne stanno andando.
“Ehi!” Grido con tutto il fiato che ho in corpo, ma nessuno mi sente.
Resto qui a tremare nel buio.