Mare

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Il mare profuma di crema solare al cocco. Si distende calmo davanti alla spiaggia, increspato dalle bracciate dei bagnanti e colorato dai giochi dei bambini.
Un ragazzino si diverte a tuffarsi sollevando spruzzi. Una madre protettiva subito si fa sentire: -Ehi! Ci sono bambini piccoli qui, fai un po’ di attenzione, tu che sei grande.-
Una signora entra lentamente in acqua con indosso gli occhiali da sole, attenta a non sciupare la messa in piega fatta di fresco. Più al largo un uomo nuota a lente bracciate, mentre un gabbiano si posa sul pelo dell’acqua.
Maddalena è china sul piccolo Giovanni. -Giovannino, dai non avere paura.-

Il bimbo è immobile sulla sabbia tiepida, le braccia incrociate e due lacrime che gli solcano le gote. La madre prende un secchiello rosso, va verso l’acqua trasparente, lo riempie e torna vicino al bimbo. Gli fa scendere un po’ di liquido fresco sulla testa, gli massaggia i riccioli. -Bagniamo almeno la testa prima che ti becchi un’insolazione.-

Giovanni brontola un po’, un piccolo strillo quando l’acqua salata gli entra negli occhi. Maddalena ride, lo porta sull’asciugamano steso sulla sabbia e gli solletica il pancino. Anche il bimbo ride, ride sempre quando sua mamma gli fa il solletico.

Rimangono un po’ sdraiati l’una accanto all’altro, poi si alzano di nuovo. Lei gli sistema il costumino blu e rosso di Spiderman, gli gonfia i braccioli mentre Giovannino osserva in silenzio. Resta imbambolato mentre la mamma gli prende un braccino e glielo infila nella plastica gonfia. Poi fa lo stesso con l’altro bracciolo.

La donna prende in braccio il figlio e si avvia verso il bagnasciuga. Scende lentamente lungo il digradare della riva tenendo saldamente il bambino fra le braccia. Si immerge. Lascia che il piccolo si dimeni un po’, poi solleva i piedi dal fondale e comincia a nuotare un po' di lato stringendo il figlio fra le braccia.



Pareva così calmo il mare.

Si stendeva per miglia e miglia, piatto, salato: una distesa infinita di acqua arida come un deserto. Saleh rimpiangeva la misera ombra della palma nella sua casa a Ibadan. Seduta sul bordo del gommone con una mano si reggeva alla corda dura e ruvida di salsedine e con l’altra avvinghiava la vita di Intisaar.

Il corpo le ricordava ancora il dolore che la mente cercava di dimenticare. Nei campi in Libia una donna non poteva sfuggire a certe cose. Poteva solo cercare di dimenticare, dimenticare ameno la paura perché il dolore la mordeva ogni volta che cercava di cambiare posizione. Era partita perché Intisaar non conoscesse mai quella paura e quel dolore.

Prima di partire le aveva messo una vestina rossa. Glielo avevano suggerito le altre donne: -Vestila di rosso così la vedono.- Chi? Chi la doveva vedere?

Intisaar non piangeva, eppure Saleh sapeva che doveva avere fame, o sete. Forse andava cambiata, erano ore che stavano così, inchiodate su quel rettangolo di gomma che, come Dio voleva, era riuscita conquistarsi in mezzo ai corpi degli altri compagni di viaggio. Il giorno bollente era seguito a una notte gelida, e la bambina aveva smesso presto di piangere. Sonnecchiava in braccio alla madre, le piccole labbra screpolate. Saleh frugò con gli occhi fra quelli degli altri uomini non sapendo bene cosa cercare, ma sentì che ogni sguardo era rivolto dentro se stesso, al mare, al silenzio rotto solo dal brontolio sordo del motore diesel del gommone, troppo debole per quel sovraccarico.

All’improvviso un punto all’orizzonte. Si avvicinava rapido. Gli uomini e le donne si misero a urlare, si alzarono tutti in piedi. La massa umana si spostó sul bordo del gommone. Saleh senti perdere la presa sulla corda e vide con orrore l’acqua lambire la vestina di Intisaar.

Dall’imbarcazione che si avvicinava una voce urlava in francese da un altoparlante. Saleh capì che dovevano rimanere fermi, che il gommone rischiava di capovolgersi. Strinse Intisaar così forte che la bambina urlò. Urlò anche lei, mentre l’acqua saliva e scendeva dal corpo di Intisaar. -Avrai freddo piccola- il vestito rosso era fradicio e si era appiccicato al corpo della bimba.

Il mare improvvisamente non era più calmo, ribolliva di onde, di gente che gridava mentre l'altoparlante urlava sempre più forte “ Restez immobile vous risquez de chavirer. Nous arrivons”

Saleh vide un gabbiano volare basso.

Poi perse la presa.



Maddalena esce dall’acqua tenendo per mano Giovanni. - Hai visto che ti è piaciuto stupidino?- Il bimbo ride. -Vuoi rimanere a giocare a riva?- Giovanni si accuccia sul bagnasciuga, la mamma gli porta il secchiello rosso e la paletta, controlla che i braccioli siano ben gonfi, poi si gira e si stende sull'asciugamano al sole. Allunga una mano verso lo smartphone che segnala una serie di notifiche.

Scorre i gruppi whatsapp, apre Facebook, dà uno sguardo al bimbo che gioca sereno e infine apre l’app delle notizie. E legge.

Il titolo era ormai così frequente da essere banale. “ Strage nel mediterraneo”. Maddalena guarda quello stesso mare dove aveva appena giocato con il suo bambino. Legge di un gommone che si era rovesciato mentre una nave tentava di recuperare quella gente. In una foto, una ragazza dai riccioli biondi stringe qualcosa di rosso; sembra che stia piangendo, mentre una giovane donna dalla pelle scura tenta di strapparle il fagotto dalle mani. La bocca spalancata in un urlo muto.

Maddalena rimane a fissare la foto. Ritira con orrore il piede che era rimasto a farsi lambire dalle onde. Quel mare non poteva essere lo stesso; la stessa quieta acqua che la accarezzava. Ma il fagotto vestito di rosso era suo figlio, era Giovanni che gioca col secchiello, erano i mille bambini che giocano o che muoiono solo per caso, persi nel mare per sempre.

Si alza, lo chiama, ma lui distratto non sente. - Giovannino dai, è tardi è ora di andare a casa.- Lo prende per un braccio mentre lui si divincola per rimanere a giocare. Finalmente riesce a tirarlo fuori, lo fa sedere e sull’asciugamano umido gli sfila i braccioli e lo tiene fra le braccia.

Al tepore materno, in un attimo il bambino socchiude gli occhi; fa un piccolo tentativo per riaprirli; stira in alto le sopracciglia, ma tutta la stanchezza di quel bagno, la paura del mare, la gioia del gioco si coagula nel piacere del corpo di sua madre e lo fa cadere addormentato. Maddalena lo accoglie, umido di salsedine, dorato dal sole, un po’ imbronciato per la fatica del sonno.

Il suo bambino, vivo.

Lo culla e pensa a quel fagotto rosso; a sua madre.

Lo culla e pensa al dolore di tutte le madri; da ogni parte del mare.

E le parole le salgono dal cuore come una ninna nanna.





Perdonami se puoi.

Perdona la mia vita, perdona il mio colore.

Perdona i miei pasti abbondanti,

I miei abiti chiari

Le mie scarpe comode.



Perdona i giochi,

Perdona la leggerezza

La rabbia e la stanchezza,

Perdona una sera a teatro,

Un libro letto

Una musica che danza.



Perdona me,

Perdona, se puoi, mio figlio

Perdona tutti noi

Esche colpevoli di questa mattanza.



Perdonaci perché noi sappiamo

E non facciamo niente.

Re: Mare

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(Commento già presente nel WD)

Hai descritto con amorevole cura ed esattezza i gesti che ogni madre compie quando porta i bambini al mare, e con altrettanta precisione le reazioni del piccolo:

Gli fa scendere un po’ di liquido fresco sulla testa, gli massaggia i riccioli. (...) un piccolo strillo quando l’acqua salata gli entra negli occhi. Maddalena ride, lo porta sull’asciugamano steso sulla sabbia e gli solletica il pancino. (...)
Rimangono un po’ sdraiati l’una accanto all’altro, poi si alzano di nuovo. Lei gli sistema il costumino blu e rosso di Spiderman, gli gonfia i braccioli mentre Giovannino osserva in silenzio. Resta imbambolato mentre la mamma gli prende un braccino e glielo infila nella plastica gonfia. Poi fa lo stesso con l’altro bracciolo.

Tale narrazione è funzionale al racconto: le donano anche le ripetizioni e i vezzeggiativi, perché contribuiscono a esaltare l'insopportabile scarto tra le vite narrate. Placida e trasudante mille accortezze verso l'infanzia la prima; iniquo ricettacolo di privazioni la seconda. Il colore rosso le accomuna: un secchiello, una vestina. La poesia finale mi ha colpito particolarmente, perché l'ho immaginata subito (con tutte le dovute differenze) come un'ipotetica risposta ai versi che Primo Levi antepone a Se questo è un uomo:

Shemà

"Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi".

Perdonami se puoi.
Perdona la mia vita, perdona il mio colore.
Perdona i miei pasti abbondanti,
I miei abiti chiari
Le mie scarpe comode.

Perdona i giochi,
Perdona la leggerezza
La rabbia e la stanchezza,
Perdona una sera a teatro,
Un libro letto
Una musica che danza.

Perdona me,
Perdona, se puoi, mio figlio
Perdona tutti noi
Esche colpevoli di questa mattanza.

Perdonaci perché noi sappiamo
E non facciamo niente.


Ti segnalo minime cose che ho notato: "gote" mi sembra troppo letterario, opterei per guance (so però che è molto usato in Toscana); sostituirei i trait d’union con le lineette apposite, lasciando uno spazio.

Grazie per la piacevole lettura, @Cicciuzza, e un saluto.
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Re: Mare

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Cicciuzza ha scritto: ven gen 01, 2021 4:34 pm https://www.writersdream.org/forum/foru ... 19-1-mare/

ciao @Cicciuzza .

Il mare profuma di crema solare al cocco. Si distende calmo davanti alla spiaggia, increspato dalle bracciate dei bagnanti e colorato dai giochi dei bambini.
Un ragazzino (...). Una madre protettiva subito si fa sentire: -Ehi! Ci sono bambini piccoli qui, fai un po’ di attenzione, tu che sei grande.-
Una signora entra lentamente in acqua con indosso gli occhiali da sole (...) . Più al largo un uomo nuota a lente bracciate, mentre un gabbiano si posa sul pelo dell’acqua.
Maddalena è china sul piccolo Giovanni. -Giovannino, dai non avere paura.-
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Vedo che hai voluto usare il tempo presente nel tuo racconto. Tale forma non mi piace tanto perché mi pare molto fredda e priva di suspense. Però nel scorrere del testo mi rendo conto che la tua è stata una scelta obbligata. Le due storie si intrecciano come in una presa diretta, una telecronaca istantanea.
Due modi di vivere il mare ma due situazioni di vita agli opposti. Due donne con il loro figlio. Il loro rapporto con la vita, la famiglia, la società. Uno spaccato della situazione geopolitica attuale; popoli che abbandonano la loro terra a causa di guerre intestine e incomprensibili, spesso orchestrate dalle nostre società che si definiscono, con troppa non chalance, democratiche. Vi è una cosa che accumuna le due donne; quella tranquilla nel godersi il mare col suo bimbo, e la madre che col suo, decide di affrontare il mare mediterraneo: il loro amore e l'istinto di protezione universalmente donna.

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Pareva così calmo il mare.

Si stendeva per miglia e miglia, piatto, salato: una distesa infinita di acqua arida come un deserto. Saleh rimpiangeva la misera ombra della palma nella sua casa a Ibadan. Seduta sul bordo del gommone con una mano si reggeva alla corda dura e ruvida di salsedine e con l’altra avvinghiava la vita di Intisaar.

Il corpo le ricordava ancora il dolore che la mente cercava di dimenticare. Nei campi in Libia una donna non poteva sfuggire a certe cose. Poteva solo cercare di dimenticare, dimenticare ameno la paura perché il dolore la mordeva ogni volta che cercava di cambiare posizione. Era partita perché Intisaar non conoscesse mai quella paura e quel dolore.
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Da questo passaggio all'altra protagonista ne colgo l'evidentissimo uso della pudicizia. Quel dolore che le ricordava.... e che te non hai specificato ma lasciato intendere. Ti sei limitata a far intendere ma senza appesantire e ulteriormente drammatizzare: la ritengo una buona scelta. Colpisce meno la descrizione che hai usato che forse non è in linea con l'impronta primaria: " una distesa infinita di acqua salata come un deserto". Certo frase molto pittorica ma con un significato che potrebbe essere interpretato in troppi modi. Il mare ostile come un deserto? quelle acque salate imbevibili? la sensazione di perdersi in quei immensi paesaggi desolati?

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All’improvviso un punto all’orizzonte (...)
Dall’imbarcazione che si avvicinava una voce urlava in francese da un altoparlante. Saleh capì che dovevano rimanere fermi, che il gommone rischiava di capovolgersi(...)

Il mare improvvisamente non era più calmo, ribolliva di onde, di gente che gridava mentre l'altoparlante urlava sempre più forte “ Restez immobile vous risquez de chavirer. Nous arrivons”

Saleh vide un gabbiano volare basso.

Poi perse la presa.
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Va il scena il battesimo del mare. Quel momento fatidico che può darti la vita o togliertela. Il mare è così, a volte è fonte di vita, a volte è di morte. Spietato verso i temerari, benevolo con chi lo sfida. Non guarda in faccia a nessuno, non fa sconti. Come se fosse gestito dal fato, dal destino, da un progetto.

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Scorre i gruppi whatsapp, apre Facebook, dà uno sguardo al bimbo che gioca sereno e infine apre l’app delle notizie. E legge.
Il titolo era ormai così frequente da essere banale. “ Strage nel mediterraneo”.


Il suo bambino, vivo. Lo culla e pensa a quel fagotto rosso; a sua madre. Lo culla e pensa al dolore di tutte le madri; da ogni parte del mare (...)
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Quale la morale della tua storia? Secondo me non dovremmo neanche affrontare la questione morale. Mi pare chiaro che vuoi sensibilizzare il lettore verso le stragi del mediterraneo. Prima di lasciarti un commento in questo senso, devo dirti che penso sulla trama e sul resto. La storia sulla madre di Giovannino è troppo piena di descrizioni a confronto di quelle povere usate su Saleh. L'unica descrizione è il mare salato come un deserto e qualcos'altro.
Non hai messo in mostra bene la vita sul gommone, il sentimento, la sensazione della donna. Non che ne sia priva, ma manca di quella atmosfera, che ampiamente hai descritto sulla tranquilla giornata in riva al mare. Tra le due storie mi pare di vedere uno squilibrio di peso delle descrizioni.
Comunque il racconto si legge scorrevolmente e senza bisogno di fermarsi a riprendere il ragionamento. Tutto è chiaro nel proseguo, persino naturale nella tragica conclusione. Naturale e univoca nell'essenza della morale che evochi.
Il mio dubbio è invece a riguardo il voler quasi colpevolizzare i " fortunati occidentali " che vivono bene a discapito di chi. Noto che cerchi poi di moderare tale colpevolizzazione attraverso le considerazione che fai muovere in quella donna fortunata di poter stringere il suo figlio, sano e salvo, lanciando un grido di solidarietà verso tutte le donne e madri. Credo che la questione morale sia più complessa e bisognosa di un ampio dibattito, e che le due storie alla fine si possono unire alla morale semplice collegata alla fortuna o sfortuna della esistenza. Ciao @Cicciuzza è stao un piacere commentarti.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: Mare

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Ciao @Cicciuzza,
grazie per il tuo scritto, grazie anche per i versi che, impostati sulla falsariga di quelli di Primo Levi, sono belli ed appropriati alla vicenda di due stragi che hanno in comune l'indifferenza dei popoli tra i quali l'una è stata consumata, l'altra si va ogni giorno perpetrando. Il racconto scorre e commuove, l'antitesi tra le due madri è resa in modo, secondo me, efficacissimo. Qualche refuso, che non vale la pena di menzionare. Da ex lupo di mare, mi corre l'obbligo di osservare che i fuoribordo applicati ai gommoni non sono diesel, ma a benzina, forse è sciocco da parte mia rilevarlo, lo dico solo per dovere d'informazione.
Di nuovo, grazie. Un saluto.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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