Piccolo Lupo [Autore @Plata]
Posted: Thu Jan 28, 2021 8:45 pm
Racconto traghettato dal Writer's Dream.
Autore @Plata
Piccolo Lupo
L'uomo aveva la faccia nella terra rossa e respirava polvere. Un solitario filo d'erba gli solleticava il naso senza che lui se ne rendesse conto. Le mani vicino la faccia sporca e smunta; le dita rattrappite parevano artigli di rapace in procinto di afferrare qualcuno o qualcosa.
La mente di Llewelyn era intenta a sondare ciò che viene dopo la morte, esercizio ignorato fin lì nonostante l'esistenza di uomo violento. In quel preciso momento parve essere vicino alla soluzione.
Il buco che aveva sulla schiena, sotto la scapola destra, cominciava a bruciare. L'esplosione avvertita poco prima dell'impatto e il suo eco che si propaga nella vasta desolazione alle sue spalle, infine il fischio del proiettile che fende l'aria del deserto, quella stessa aria che adesso uno dei suoi polmoni fatica a contenere. Llewelyn sa cosa sta accadendo. Ogni storia ha un inizio e una fine. Inutile cercare d'indovinare cosa verrà dopo, non funziona così. La vita non è un romanzo in cui i vili possano saltare direttamente al finale per saziare la curiosità. Bisogna farsi carico dei propri fardelli, che poi è il vero significato della vita.
Cominciava ad avvertire il polmone collassare: l'aria entrata nella pleura grazie al proiettile sarebbe potuta essere espulsa conficcando una sottile cannula di metallo tra le costole, picchiandoci sopra con un martelletto. Operazione non complessa ma nemmeno banale e discretamente dolorosa. All'età di nove anni aveva assistito alla medesima operazione subita da un cugino dopo che era stato ferito in una sparatoria tra ubriachi, dentro un saloon. Lustri dopo, una sera lo zio di Llewelyn gli aveva raccontato che anche il dottore che aveva operato il ragazzo, suo figlio, che poi era morto, era ubriaco pure lui. Lo zio gli aveva allora chiesto se secondo lui fosse stato il tizio che aveva sparato o il dottore che aveva cercato di accomodargli il polmone ad ammazzarlo, ma lui non aveva saputo rispondere. Lo stesso dottore era poi morto tempo dopo con un paio di proiettili nello stomaco, senza che mai si fosse scoperto per mano di chi; nessuno se ne era mai preoccupato e a Llewelyn era parso normale.
Stava pensando a tutte queste cose quando l'uomo che gli aveva sparato lo coprì con la sua ombra.
Lo sceriffo Wyatt arrivò sopra l'uomo prima degli avvoltoi che avevano cominciato ad orbitare nel cielo glabro di nuvole. Il fucile con cui gli aveva sparato poco prima era già freddo: poggiato sulla spalla dell'uomo pareva intento a scaldarsi sotto i raggi del sole come un rettile dalla pelle nera e lucida. Cercò di sputare a terra ma si rese conto di non avere più saliva. Era ormai chiaro che la polvere in bocca e la disidratazione avevano smesso di essere un fastidio. Il fastidio era diventato un processo inutile. Tolse il cappello dalla testa, leccò le parti scure di sudore della tesa, poi lo gettò a terra. Un peso inutile, ormai, quanto quello del proiettile che lo aveva accompagnato per tutto quel viaggio e che adesso si trovava dentro il petto dell'uomo ai suoi piedi. Il cavallo morto due giorni prima, l'acqua terminata poco dopo. Slacciò la borraccia di pelle vuota e gettò anch'essa nella polvere.
«Allora? Cos'hai da dire?» chiese.
«Vaffanculo» rispose Llewelyn.
Lo sceriffo Wyatt sorrise, le labbra gonfie e spaccate non gli facevano più male. Forse in un altro momento si sarebbe piegato in avanti con i palmi delle mani poggiati sulle ginocchia e avrebbe cominciato a ridere, ma il solo pensiero di farlo gli fece girare la testa. Prese la pistola dal cinturone e armò il cane. Era perfettamente consapevole che dopo aver premuto il grilleto e ucciso quell'uomo non avrebbe avuto più niente da dare a questo mondo. Un refolo di vento gli accarezzò la nuca sudata e lui ringraziò Dio per quello, proprio mentre una freccia gli bucava il cranio.
L'uomo bianco crollò in avanti, rigido come un tronco d'albero segato alla base. Una leggera nuvola di polvere si alzò per disperdersi nell'aria. Piccolo Lupo si riavvicinò al magro cavallo pezzato dietro di lui e gli domandò nella sua lingua gutturale cosa ne pensasse del tiro appena effettuato. L'animale non rispose e i suoi occhi continuarono a guardare l'orizzonte. Piccolo Lupo conservò l'arco sulla sella del cavallo, tirò indietro i lunghi capelli neri, prese le redini dell'animale e assieme si avviarono verso i due pistoleri.
L'uomo che aveva colpito era ormai morto, la faccia riversa per metà nella polvere, la punta della freccia spuntava da sotto lo zigomo sinistro. L'altro era sdraiato su un fianco, rantoli bagnati di sangue gli uscivano dalla bocca e gli occhi ancora vivi parevano guardarlo con curiosità. Piccolo Lupo allora estrasse il coltello dalla cintura dei pantaloni, si chinò sul morto, lo prese per i capelli, estrasse con cura la freccia dalla nuca, poi poggiò la lama luccicante dei raggi del sole sull'attaccatura dei capelli del morto e recise il suo trofeo. Si rimise in piedi, poggiò la striscia di pelle insanguinata sulla spalla, prese il cappello dell'uomo morto da terra e si diresse verso l'altro. Llewelyn era ancora lucido, per sua sfortuna, e osservava lo spettacolo quasi in estasi. Nonostante la disidratazione i suoi occhi erano lucidi quando l'indiano lo prese per i capelli e gli tagliò lo scalpo. Poi gli tirò la testa indietro e gli tagliò la gola, mise il cappello sotto l'incisione, aspettò che si riempisse del liquido scuro e denso, lo portò alla bocca e bevve. Non gli piacque molto ma aveva poca acqua e sotto il sole del deserto non gli andava rischiare. Poggiò la seconda striscia di pelle e capelli sulla spalla, salì sul suo cavallo pezzato e ritornò da dove era venuto.
Autore @Plata
Piccolo Lupo
L'uomo aveva la faccia nella terra rossa e respirava polvere. Un solitario filo d'erba gli solleticava il naso senza che lui se ne rendesse conto. Le mani vicino la faccia sporca e smunta; le dita rattrappite parevano artigli di rapace in procinto di afferrare qualcuno o qualcosa.
La mente di Llewelyn era intenta a sondare ciò che viene dopo la morte, esercizio ignorato fin lì nonostante l'esistenza di uomo violento. In quel preciso momento parve essere vicino alla soluzione.
Il buco che aveva sulla schiena, sotto la scapola destra, cominciava a bruciare. L'esplosione avvertita poco prima dell'impatto e il suo eco che si propaga nella vasta desolazione alle sue spalle, infine il fischio del proiettile che fende l'aria del deserto, quella stessa aria che adesso uno dei suoi polmoni fatica a contenere. Llewelyn sa cosa sta accadendo. Ogni storia ha un inizio e una fine. Inutile cercare d'indovinare cosa verrà dopo, non funziona così. La vita non è un romanzo in cui i vili possano saltare direttamente al finale per saziare la curiosità. Bisogna farsi carico dei propri fardelli, che poi è il vero significato della vita.
Cominciava ad avvertire il polmone collassare: l'aria entrata nella pleura grazie al proiettile sarebbe potuta essere espulsa conficcando una sottile cannula di metallo tra le costole, picchiandoci sopra con un martelletto. Operazione non complessa ma nemmeno banale e discretamente dolorosa. All'età di nove anni aveva assistito alla medesima operazione subita da un cugino dopo che era stato ferito in una sparatoria tra ubriachi, dentro un saloon. Lustri dopo, una sera lo zio di Llewelyn gli aveva raccontato che anche il dottore che aveva operato il ragazzo, suo figlio, che poi era morto, era ubriaco pure lui. Lo zio gli aveva allora chiesto se secondo lui fosse stato il tizio che aveva sparato o il dottore che aveva cercato di accomodargli il polmone ad ammazzarlo, ma lui non aveva saputo rispondere. Lo stesso dottore era poi morto tempo dopo con un paio di proiettili nello stomaco, senza che mai si fosse scoperto per mano di chi; nessuno se ne era mai preoccupato e a Llewelyn era parso normale.
Stava pensando a tutte queste cose quando l'uomo che gli aveva sparato lo coprì con la sua ombra.
Lo sceriffo Wyatt arrivò sopra l'uomo prima degli avvoltoi che avevano cominciato ad orbitare nel cielo glabro di nuvole. Il fucile con cui gli aveva sparato poco prima era già freddo: poggiato sulla spalla dell'uomo pareva intento a scaldarsi sotto i raggi del sole come un rettile dalla pelle nera e lucida. Cercò di sputare a terra ma si rese conto di non avere più saliva. Era ormai chiaro che la polvere in bocca e la disidratazione avevano smesso di essere un fastidio. Il fastidio era diventato un processo inutile. Tolse il cappello dalla testa, leccò le parti scure di sudore della tesa, poi lo gettò a terra. Un peso inutile, ormai, quanto quello del proiettile che lo aveva accompagnato per tutto quel viaggio e che adesso si trovava dentro il petto dell'uomo ai suoi piedi. Il cavallo morto due giorni prima, l'acqua terminata poco dopo. Slacciò la borraccia di pelle vuota e gettò anch'essa nella polvere.
«Allora? Cos'hai da dire?» chiese.
«Vaffanculo» rispose Llewelyn.
Lo sceriffo Wyatt sorrise, le labbra gonfie e spaccate non gli facevano più male. Forse in un altro momento si sarebbe piegato in avanti con i palmi delle mani poggiati sulle ginocchia e avrebbe cominciato a ridere, ma il solo pensiero di farlo gli fece girare la testa. Prese la pistola dal cinturone e armò il cane. Era perfettamente consapevole che dopo aver premuto il grilleto e ucciso quell'uomo non avrebbe avuto più niente da dare a questo mondo. Un refolo di vento gli accarezzò la nuca sudata e lui ringraziò Dio per quello, proprio mentre una freccia gli bucava il cranio.
L'uomo bianco crollò in avanti, rigido come un tronco d'albero segato alla base. Una leggera nuvola di polvere si alzò per disperdersi nell'aria. Piccolo Lupo si riavvicinò al magro cavallo pezzato dietro di lui e gli domandò nella sua lingua gutturale cosa ne pensasse del tiro appena effettuato. L'animale non rispose e i suoi occhi continuarono a guardare l'orizzonte. Piccolo Lupo conservò l'arco sulla sella del cavallo, tirò indietro i lunghi capelli neri, prese le redini dell'animale e assieme si avviarono verso i due pistoleri.
L'uomo che aveva colpito era ormai morto, la faccia riversa per metà nella polvere, la punta della freccia spuntava da sotto lo zigomo sinistro. L'altro era sdraiato su un fianco, rantoli bagnati di sangue gli uscivano dalla bocca e gli occhi ancora vivi parevano guardarlo con curiosità. Piccolo Lupo allora estrasse il coltello dalla cintura dei pantaloni, si chinò sul morto, lo prese per i capelli, estrasse con cura la freccia dalla nuca, poi poggiò la lama luccicante dei raggi del sole sull'attaccatura dei capelli del morto e recise il suo trofeo. Si rimise in piedi, poggiò la striscia di pelle insanguinata sulla spalla, prese il cappello dell'uomo morto da terra e si diresse verso l'altro. Llewelyn era ancora lucido, per sua sfortuna, e osservava lo spettacolo quasi in estasi. Nonostante la disidratazione i suoi occhi erano lucidi quando l'indiano lo prese per i capelli e gli tagliò lo scalpo. Poi gli tirò la testa indietro e gli tagliò la gola, mise il cappello sotto l'incisione, aspettò che si riempisse del liquido scuro e denso, lo portò alla bocca e bevve. Non gli piacque molto ma aveva poca acqua e sotto il sole del deserto non gli andava rischiare. Poggiò la seconda striscia di pelle e capelli sulla spalla, salì sul suo cavallo pezzato e ritornò da dove era venuto.