Una donna allo specchio
Posted: Fri Jan 01, 2021 4:24 pm
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La donna aveva appena fatto la doccia. Si era buttata addosso l'accappatoio e aveva avvolto con cura i capelli in un asciugamano.
A quell'ora non c'era nessuno in casa e aveva percorso in fretta il corridoio con le mani strette sui lembi di spugna. Dopo aver chiuso la porta della camera, si era seduta sulla sponda del letto, di fronte alla grande specchiera del vecchio armadio liberty, e aveva controllato le unghie dei piedi cercando di ricordare dove fossero le forbicine.
Alzò lo sguardo e incrociò la sua immagine riflessa.
Un senso di disagio la portò a concentrarsi con maggiore attenzione sulle unghie, ma ormai un piccolo tarlo si era fatto strada nei suoi pensieri.
Solo stupidaggini, si disse. Cercò di ritornare con la mente alle cose concrete, ai figli, al marito, alla casa, al lavoro. Eppure la sensazione di uno sguardo estraneo continuava a volerla ossessionare, a violare la barriera difensiva dei suoi pensieri quotidiani. Era lo sguardo che aveva intuito poche ore prima mentre serviva al negozio quel cliente un po’ galante e un po’ troppo invadente, quell'occhiata che aveva cercato di ignorare, ma che ora si sentiva rivolgere dal grande specchio.
Avrebbe dovuto rivestirsi, ma l’idea di togliere l’accappatoio la metteva in imbarazzo.
Che mi succede? qui non c’è nessuno. In questa camera, davanti a questo specchio mi sono vestita e svestita centinaia di volte. Ma si rese conto di averlo sempre fatto senza mai guardare da quella parte.
Quel senso di vergogna lo aveva assorbito dentro di sé, nei suoi gesti automatici, tanto da non doverlo avvertire. Perché mai ora non era così? Può davvero tanto uno sguardo di apparente interesse? Di cosa poi ci si dovrebbe interessare? Di cose che ormai non abitano più qui?
Una fitta dolorosa le attraversò la mente. La sensazione di aver perso qualcosa di importante risvegliò in lei una punta di rabbia che si opponeva alla rassegnazione. Pensieri ed emozioni erano eserciti contrapposti ormai pronti a sfidarsi in campo aperto.
Bene, se così deve essere, allora avanti. Senza pietà.
Prima si sciolse l’asciugamano dai capelli, poi, rimanendo seduta, si fece scivolare l’accappatoio dalle spalle. Alzò lo sguardo e la battaglia ebbe inizio.
Stupida, cosa pensavi di vedere a cinquant'anni suonati.
I seni, dai capezzoli larghi, mollemente adagiati sulle coste, ricordavano due borse ormai svuotate. La parte superiore del torace, rimasta sguarnita, lasciava spazio al risalto delle clavicole che ora apparivano troppo sporgenti, e a loro volta sostenevano un collo che mostrava una evidente trama di pieghe e di rughe.
Provava rabbia e rancore, la sensazione di essere stata tradita. Odiava lo sguardo dell'ipotetico ammiratore che, per un breve attimo di compiacimento in cui era stata colta senza difese, l’aveva costretta a quella pantomima, ma ormai il gioco non poteva essere interrotto.
Si alzò in piedi, lasciò cadere l’accappatoio fino a terra per mostrare allo specchio il resto di sé. Anche l’addome, come il seno, come il collo, portava i segni del cedimento alla gravità e agli anni. La peluria che ricopriva il pube si era diradata ed aveva un aspetto brullo e incanutito, le cosce ed i glutei sembravano invece essersi allargati come a voler raccogliere tutto ciò che la parte superiore del corpo aveva lasciato cadere.
La stretta che sentiva nello stomaco si fece strada verso la gola, in un misto di rabbia e pianto. Ma cosa vuole da me? Perché non mi lascia in pace?
Avrebbe voluto sottrarsi a quel supplizio, ma sapeva che la sfida non si era ancora risolta, non poteva finire così, con la sensazione bruciante della sconfitta, la stessa che sentiva da tempo; non sapeva nemmeno lei da quanto tempo.
Guardò ancora l’immagine nello specchio cercando di mantenere il controllo. Inarcò la schiena nel tentativo di riportare in alto ciò che era crollato. Con i palmi delle mani cercò di stirare all’insù la parte superiore del seno, ma quello scatto di orgoglio non fece altro che alimentare la sensazione di impotenza. Tornò a sedersi sulla sponda del letto lasciando cadere le braccia, sentendosi più frustrata di prima. L’immagine era ancora lì come un enigma irrisolto.
Una leggera corrente d’aria le passò sulla pelle facendola rabbrividire; tanto poco bastò ad evocare il semplice gesto di cingersi con le braccia e cercare per un attimo il calore del proprio corpo.
Le mani scivolarono lentamente sul seno, questa volta per accarezzarlo, per consolarlo, quello stesso seno che un tempo aveva portato con orgoglio, che era stato baciato da suo marito, che aveva nutrito i suoi figli.
Lasciò che le palpebre si chiudessero. Le mani sembravano più sagge degli occhi. Si accarezzò la pancia che aveva ospitato le sue gravidanze e poi più giù, all’origine dell’enigma del dolore e del piacere.
La donna si lasciò cadere all’indietro sul letto accogliente, con la mano ancora stretta in mezzo alle cosce; si ricordò dei suoi tredici anni quando le si svelarono i misteri degli adulti.
Ma cosa sto facendo?
Questa volta la risposta si formò in lei più sicura, decisa a combattere contro la vergogna e il senso del ridicolo, decisa a esplorare fino in fondo quella crepa nelle sue difese.
Io sono io, io decido di me e del mio corpo.
Osservava questa ribellione con stupore, così diversa dal suo stile. Lei che aveva sempre giocato di rimessa cercando di accondiscendere alle aspettative di tutti, finalmente ora si era ricordata di sé stessa.
La mano continuò a frugare nei ricordi fino a che nella sua mente il tempo rimase sospeso, coagulato in un istante eterno come in quel primo orgasmo di adolescente.
Col placarsi del respiro la protesta andava trasformandosi in pacata consapevolezza. Aveva ancora gli occhi chiusi e la sua mente ora vedeva un altro corpo, anche questo trasformato dal tempo, ma pieno del significato della sua vita, l’affidabile strumento del suo destino, magari un po’ logoro, ma per aver servito bene il suo scopo.
Il rumore della porta di casa la scosse.
-Ciao cara, sono arrivato.
Ancora nuda, di fronte allo specchio rivide se stessa, si riconobbe e si piacque così come appariva. La battaglia era vinta, il grande specchio sconfitto.
-Vengo subito, il tempo di vestirmi.
La donna si rivestì con calma, attenta a non perdere la memoria di quella strana esperienza. Pensò a suo marito.
Da troppo tempo non facciamo l’amore. Questa sera voglio fargli una sorpresa.
La donna aveva appena fatto la doccia. Si era buttata addosso l'accappatoio e aveva avvolto con cura i capelli in un asciugamano.
A quell'ora non c'era nessuno in casa e aveva percorso in fretta il corridoio con le mani strette sui lembi di spugna. Dopo aver chiuso la porta della camera, si era seduta sulla sponda del letto, di fronte alla grande specchiera del vecchio armadio liberty, e aveva controllato le unghie dei piedi cercando di ricordare dove fossero le forbicine.
Alzò lo sguardo e incrociò la sua immagine riflessa.
Un senso di disagio la portò a concentrarsi con maggiore attenzione sulle unghie, ma ormai un piccolo tarlo si era fatto strada nei suoi pensieri.
Solo stupidaggini, si disse. Cercò di ritornare con la mente alle cose concrete, ai figli, al marito, alla casa, al lavoro. Eppure la sensazione di uno sguardo estraneo continuava a volerla ossessionare, a violare la barriera difensiva dei suoi pensieri quotidiani. Era lo sguardo che aveva intuito poche ore prima mentre serviva al negozio quel cliente un po’ galante e un po’ troppo invadente, quell'occhiata che aveva cercato di ignorare, ma che ora si sentiva rivolgere dal grande specchio.
Avrebbe dovuto rivestirsi, ma l’idea di togliere l’accappatoio la metteva in imbarazzo.
Che mi succede? qui non c’è nessuno. In questa camera, davanti a questo specchio mi sono vestita e svestita centinaia di volte. Ma si rese conto di averlo sempre fatto senza mai guardare da quella parte.
Quel senso di vergogna lo aveva assorbito dentro di sé, nei suoi gesti automatici, tanto da non doverlo avvertire. Perché mai ora non era così? Può davvero tanto uno sguardo di apparente interesse? Di cosa poi ci si dovrebbe interessare? Di cose che ormai non abitano più qui?
Una fitta dolorosa le attraversò la mente. La sensazione di aver perso qualcosa di importante risvegliò in lei una punta di rabbia che si opponeva alla rassegnazione. Pensieri ed emozioni erano eserciti contrapposti ormai pronti a sfidarsi in campo aperto.
Bene, se così deve essere, allora avanti. Senza pietà.
Prima si sciolse l’asciugamano dai capelli, poi, rimanendo seduta, si fece scivolare l’accappatoio dalle spalle. Alzò lo sguardo e la battaglia ebbe inizio.
Stupida, cosa pensavi di vedere a cinquant'anni suonati.
I seni, dai capezzoli larghi, mollemente adagiati sulle coste, ricordavano due borse ormai svuotate. La parte superiore del torace, rimasta sguarnita, lasciava spazio al risalto delle clavicole che ora apparivano troppo sporgenti, e a loro volta sostenevano un collo che mostrava una evidente trama di pieghe e di rughe.
Provava rabbia e rancore, la sensazione di essere stata tradita. Odiava lo sguardo dell'ipotetico ammiratore che, per un breve attimo di compiacimento in cui era stata colta senza difese, l’aveva costretta a quella pantomima, ma ormai il gioco non poteva essere interrotto.
Si alzò in piedi, lasciò cadere l’accappatoio fino a terra per mostrare allo specchio il resto di sé. Anche l’addome, come il seno, come il collo, portava i segni del cedimento alla gravità e agli anni. La peluria che ricopriva il pube si era diradata ed aveva un aspetto brullo e incanutito, le cosce ed i glutei sembravano invece essersi allargati come a voler raccogliere tutto ciò che la parte superiore del corpo aveva lasciato cadere.
La stretta che sentiva nello stomaco si fece strada verso la gola, in un misto di rabbia e pianto. Ma cosa vuole da me? Perché non mi lascia in pace?
Avrebbe voluto sottrarsi a quel supplizio, ma sapeva che la sfida non si era ancora risolta, non poteva finire così, con la sensazione bruciante della sconfitta, la stessa che sentiva da tempo; non sapeva nemmeno lei da quanto tempo.
Guardò ancora l’immagine nello specchio cercando di mantenere il controllo. Inarcò la schiena nel tentativo di riportare in alto ciò che era crollato. Con i palmi delle mani cercò di stirare all’insù la parte superiore del seno, ma quello scatto di orgoglio non fece altro che alimentare la sensazione di impotenza. Tornò a sedersi sulla sponda del letto lasciando cadere le braccia, sentendosi più frustrata di prima. L’immagine era ancora lì come un enigma irrisolto.
Una leggera corrente d’aria le passò sulla pelle facendola rabbrividire; tanto poco bastò ad evocare il semplice gesto di cingersi con le braccia e cercare per un attimo il calore del proprio corpo.
Le mani scivolarono lentamente sul seno, questa volta per accarezzarlo, per consolarlo, quello stesso seno che un tempo aveva portato con orgoglio, che era stato baciato da suo marito, che aveva nutrito i suoi figli.
Lasciò che le palpebre si chiudessero. Le mani sembravano più sagge degli occhi. Si accarezzò la pancia che aveva ospitato le sue gravidanze e poi più giù, all’origine dell’enigma del dolore e del piacere.
La donna si lasciò cadere all’indietro sul letto accogliente, con la mano ancora stretta in mezzo alle cosce; si ricordò dei suoi tredici anni quando le si svelarono i misteri degli adulti.
Ma cosa sto facendo?
Questa volta la risposta si formò in lei più sicura, decisa a combattere contro la vergogna e il senso del ridicolo, decisa a esplorare fino in fondo quella crepa nelle sue difese.
Io sono io, io decido di me e del mio corpo.
Osservava questa ribellione con stupore, così diversa dal suo stile. Lei che aveva sempre giocato di rimessa cercando di accondiscendere alle aspettative di tutti, finalmente ora si era ricordata di sé stessa.
La mano continuò a frugare nei ricordi fino a che nella sua mente il tempo rimase sospeso, coagulato in un istante eterno come in quel primo orgasmo di adolescente.
Col placarsi del respiro la protesta andava trasformandosi in pacata consapevolezza. Aveva ancora gli occhi chiusi e la sua mente ora vedeva un altro corpo, anche questo trasformato dal tempo, ma pieno del significato della sua vita, l’affidabile strumento del suo destino, magari un po’ logoro, ma per aver servito bene il suo scopo.
Il rumore della porta di casa la scosse.
-Ciao cara, sono arrivato.
Ancora nuda, di fronte allo specchio rivide se stessa, si riconobbe e si piacque così come appariva. La battaglia era vinta, il grande specchio sconfitto.
-Vengo subito, il tempo di vestirmi.
La donna si rivestì con calma, attenta a non perdere la memoria di quella strana esperienza. Pensò a suo marito.
Da troppo tempo non facciamo l’amore. Questa sera voglio fargli una sorpresa.