Imma è di Dio?

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Non era più tempo di ripensamenti, e in realtà non vi era motivo che ve ne fosse alcuno. Sperava di apparire agli occhi degli altri (ed erano tanti! e tutti fissi sul suo corpo disteso) luminosa come le vetrate nelle cattedrali, e solenne allo stesso modo: grandiosa, e commovente, e umile, e perfetta. Il volto sulle dita sovrapposte poggiate al pavimento, l'abito nero a coprire tutto il corpo che si prostrava dinanzi all'altare: Imma che diventa suora! Imma che prega faccia a terra, che si immerge tutta in Dio. Imma che rinuncia al mondo!
Vieni a prendermi, ella sussurrava, non lasciarmi qui con me, fai in modo che io sia tua, fai tu in modo che ciò accada. Lo spazio che mi hai dato è troppo grande, questo mondo è troppo grande, a me basta una cella. Io non voglio poter scegliere, voglio che definito sia il mio tempo, netto come il profilo dei monti al crepuscolo: un tempo per pregare, un tempo per leggere, uno per meditare, e zappare, e riposare; e così per sempre. Questo sia il mio abito, uno e scuro, divengano bianchi i miei capelli e arida la pelle. Anche se Tu non esisti, la tua casa mi darà asilo. Molteplicità, io a te mi sottraggo e ti maledico.

Imma aveva quarantacinque anni e pensava di essere venuta dallo spazio. Era certa che un ufo l'avesse deposta nel giardino fiorito della casa dei suoi genitori e che la fanciullezza con i fratelli e le sorelle, e poi gli anni di studio e il lavoro e i viaggi e gli amanti fossero come i nove mesi che il feto trascorre nell'utero materno: necessari per prepararsi alla vita fuori, nel mondo vero, quello in cui ancora non era mai stata. Il mondo in cui si trovava in quel momento, quello dove l'aveva spinta con prepotenza l'ultima contrazione materna, era stato per Imma una lampada accesa in mezzo agli occhi tenuti spalancati da solide graffe. Non si può resistere a lungo con una lampada puntata dritta nelle pupille. Eppure Imma, proprio per il fatto che, a suo dire, veniva da un altro pianeta, aveva resistito molto a lungo.
Comprese che qualcosa cominciava a vacillare quando un pomeriggio, in libreria, si era vertiginosamente accasciata tra gli scaffali con in mano un libro di Bultmann intitolato Storia ed escatologia mentre in realtà era entrata per cercare una guida illustrata per il viaggio in Giappone; e poi quel giorno in cui, tra le braccia di un collega che le carezzava con la lingua il collo bianco, si rese conto in modo inequivocabile che non le sarebbe stato possibile concedersi a ogni uomo, e neppure leggere tutti i libri i cui titoli aveva con diligenza trascritto su un libretto apposito o nuotare nel Mediterraneo dei Cartaginesi, né osservare la terra con gli occhi di un'aquila o restituire la vita a un bambino morto. Quel giorno comprese altresì con pienezza, mentre il collega le sfiorava le natiche con una piuma leggera, che non le era più possibile neppure scegliere con agio un barattolo di pelati, perché il suo cervello si rifiutava di procedere.
Siccome aveva sentito dire da qualcuno che era inutile rivolgersi a specialisti della psiche, i quali l'avrebbero di certo imbottita di pasticche o di inutili parole, Imma andò a parlare con la suora che conosceva da bambina, la piccola suora lucana con l'occhio strabico che le aveva insegnato il catechismo e il gesto corretto del segno della croce. Quel giorno aveva intuito che quella avrebbe potuto essere la via d'uscita: la suorina le teneva tra le mani minute il viso accaldato lodando la misericordia di Dio e Imma intanto pensava con ardore all'ordine che dà disciplina e alla disciplina che dà ordine. Non avrebbe neppure disdegnato di cominciare una carriera militare, ma rifletté che forse era troppo tardi. No: la via era segnata. Dio aveva osato farla nascere sul pianeta sbagliato, quello in cui il tempo corre e si ferma come gli pare e sul quale ci si sente come un omino affamato con lo stomachino piccino piccino di fronte a una tavola traboccante delizie? Ebbene: lei si sarebbe rifugiata per dispetto proprio nella casa di Dio, e lì avrebbe aspettato un segnale dal suo mondo.

La musica e il coro di voci si elevavano nel tempio del Signore con ghirigori di argento e tutt'intorno vi erano silenzio e profumo d'incenso: ognuno degli astanti aspettava con desiderio la sostituzione del velo bianco con quello nero, suggello definitivo della consacrazione.
Imma si alzò e fissò a lungo la croce. Guardò poi intorno a sé, speranzosa, ma nessuna navicella spaziale era ancora atterrata per riportarla a casa.
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Re: Imma è di Dio?

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Ciao @Ippolita
Interessante. Un disturbo della psiche sfociato in una sorta di ninfomania, che poi viene sublimato in un impeto pseudo-religioso. Pseudo, perché la protagonista non crede nel Dio in cui cerca rifugio, è un modo come un altro (la vita militare, che però è troppo tardi) per avere una casa diversa, che la costringa in binari che impediscono scelte. In attesa che un immaginario essere venga dal suo mondo d'origine per riportarla indietro.
Credo di aver capito che l'immaginario mondo di provenienza sia in realtà il ventre materno, dal quale si è sentita espulsa in un mondo estraneo e difficile da affrontare.
Oppure no, non sono ferrato in psicologia, ma penso che lo sia tu.
Un saluto.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: Imma è di Dio?

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@Ippolita ciao. Un'introspezione che ha gli elementi giusti, annodati con un ritmo incalzante. Ho apprezzato il richiamo a Qoelet e il lirismo di certi passaggi, che rendono credibile il momento della consacrazione e l'angoscia esistenziale che conducono Imma al momento d'esordio della storia. Il personaggio di Imma è visto da angolazioni diverse, il gioco di specchi è intrigante e avrebbe bisogno - a mio avviso - di più spazio. In 8000 caratteri rischia di confondere.

Alcune indicazioni che potrebbero tornare utili.
  • ti è sfuggito qualche "tua" e "ti" e "tu" riferiti a Dio. Essendo Imma che pensa andrebbero in maiuscolo; sarebbero degli spilli negli occhi del lettore, capisco, ma di solito si opta per il maiuscolo.
  • Non userei "ella" che è aulico, così come "agio".
  • La figura del "collega" mi lascia da un lato incuriosito, dall'altro mi fa brancicare nel dubbio. La narrazione ha una prospettiva interna del personaggio di Imma, quindi che lei offra il collo a un collega senza che questi abbia un nome è un po' strano. Voglio dire che se lo raccontasse a voce alta a qualcuno potrebbe dire "con un collega" magari anche per ragioni di riservatezza, ma nei suoi pensieri quel collega è una persona con un nome.
Due note a margine, quisquiglie:
  • avrebbe potuto essere: meglio l'ausiliare essere.
  • traboccante delizie: meglio aggiungere la preposizione "di"
Il racconto ha del potenziali inespresso e la tua scrittura è potente, visionaria ed evocativa. Mi ha dato una bella sensazione.

Re: Imma è di Dio?

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@Cheguevara ciao a te, e grazie mille per aver dedicato tempo a questo racconto.
Oppure no, non sono ferrato in psicologia, ma penso che lo sia tu.
No, non lo sono affatto! Ho solo seguito la traccia di quel contest, che recitava:
"Fuori controllo". Il tema del racconto dev'essere l'assenza di controllo sulla propria vita o su un suo aspetto. Il protagonista deve essere una pedina nella mani di qualcosa più grande che annichilisce il suo libero arbitrio: il destino, il tempo, Dio, il determinismo, i meccanismi del suo stesso cervello, sta a voi.
Interessante la tua interpretazione. Grazie ancora: sono molto contenta quando ti piacciono i miei racconti. Un saluto.


@T.D.J. Baw, ti ringrazio tanto per il bel commento.
ti è sfuggito qualche "tua" e "ti" e "tu" riferiti a Dio. Essendo Imma che pensa andrebbero in maiuscolo; sarebbero degli spilli negli occhi del lettore, capisco, ma di solito si opta per il maiuscolo
Sì, hai ragione: mi pare di aver lasciato solo una maiuscola, per alleggerire il testo.
Non userei "ella" che è aulico, così come "agio".
Un difetto che mi è stato sottolineato più volte. Mi sto correggendo o, almeno, ci provo.
La figura del "collega" mi lascia da un lato incuriosito, dall'altro mi fa brancicare nel dubbio. La narrazione ha una prospettiva interna del personaggio di Imma, quindi che lei offra il collo a un collega senza che questi abbia un nome è un po' strano. Voglio dire che se lo raccontasse a voce alta a qualcuno potrebbe dire "con un collega" magari anche per ragioni di riservatezza, ma nei suoi pensieri quel collega è una persona con un nome.
Qui davvero non saprei risponderti. Probabilmente hai ragione, ma se al posto di "collega" si inserisce un nome proprio temo che non sia chiaro a chi Imma si riferisca.
avrebbe potuto essere: meglio l'ausiliare essere
Ho controllato, e pare che l'ausiliare corretto sia "avere".
Sono felice di averti dato una bella sensazione. In questo periodo ho poco tempo, ma presto ti leggerò. Grazie infinite!
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Re: Imma è di Dio?

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@Ippolita hai ragione. Una mia leggerezza, hai fatto bene a controllare.
Ippolita ha scritto: sab feb 06, 2021 8:08 pm Ho controllato, e pare che l'ausiliare corretto sia "avere".
La grammatica di Luca Serianni dice infatti: "Nella sequenza verbo servile o fraseologico + infinito, l'ausiliare del verbo reggente tende a essere lo stesso di quello richiesto dal verbo retto (...). Tuttavia se l'nfinito è essere, l'ausiliare del verbo reggente è avere (avrebbe dovuto essere)."
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