[Caronte] A volte
Posted: Wed Jan 27, 2021 5:00 pm
[Caronte]
A VOLTE (sequel)
viewtopic.php?p=5571#p5571 commento
viewtopic.php?p=5545#p5545 racconto in migrazione
Adesso mi tocca dirlo a mia madre.
La troverò lì dove l’ho lasciata.
Carezzandole la fronte, le avevo promesso: «Te lo giuro, torno con papà.»
Appena sente le chiavi girare nella toppa corre ad aprire.
Sporge il viso fuori, cerca chi non può esserci.
Il suo sguardo incredulo non lo dimenticherò mai più.
Non mi chiede nulla, torna sul divano e si tira la coperta fino al mento.
Ho ancora la borsa al braccio, il trolley l’ho lasciato all’ingresso.
Le vado vicino e senza nessuna esitazione né delicatezza le strappo via la coperta.
Mi sembra ancora più magra di due giorni fa, quando con la mia stupida illusione ero riuscita a rianimarle le guance.
Provo a farla alzare, mi guarda sbalordita, non capisce cosa sto facendo. Tra noi comincia una lotta, la borsa cade a terra, lei cerca di darmi pugni sul petto; non vuole lasciare il divano sul quale, ormai, vive da un anno.
Tra uno strattone e un altro mi accorgo che si era truccata, ma la matita comincia già a colarle sul viso.
«Ivana potrebbe rimetterti in sesto», , dico sprezzante, mentre un sorriso beffardo mi sale alle labbra.
Non ha la forza di contrastarmi.
Io sono sostenuta dalla rabbia, lei è abbattuta dalla delusione, ecco che allora vinco io.
Non ha nemmeno capito cosa intendessi dire – Ivana, non sa proprio chi sia – e dopo aver visto il mio sorriso assurdo, avrà creduto sia davvero impazzita. Lo capisco dal suo sguardo impaurito, dal tremore che la scuote tutta.
La trascino in bagno, ci mettiamo davanti allo specchio, la costringo a guardarci.
Lei non comprende ancora quali siano le mie intenzioni, ma vede come sono ridotti i nostri volti.
Non sto meglio di lei, anche la mia matita ha cominciato a colare.
Ho provato a trattenere le lacrime ma non ce l’ho fatta più.
Mia madre aggrotta la fronte, ed è come se mi vedesse soltanto adesso. D’improvviso si rende conto della mia sofferenza.
Ho scoperto che è identica alla sua: il tradimento di mio padre ha stroncato anche me.
Quando mi sono incontrata con lui e la sua nuova famiglia, alle presentazioni sono rimasta prima stordita poi pietrificata.
Di colpo ho preso atto della mia ingenuità.
Davvero non mi ero resa conto di cosa ci stava succedendo?
Mentre osservavo Ivana, la sua nuova donna, mi sono chiesta dove fossi stata durante il loro corteggiamento, o durante il parto. Ho pensato a quante volte mio padre ci avrà mentito con il giornale in mano e i piedi allungati sopra il tavolino.
A un certo punto il bambino ha cominciato a fare i capricci, mio padre gli ha preso le guance tra le dita e me lo ha mostrato: «È bello, vero?»
Lo ha detto come se quella bellezza innocente avesse potuto giustificare il tradimento e il suo concepimento.
«Un capolavoro» gli ho risposto, mentre lo guardavo negli occhi senza leggervi più alcun affetto per me. Non mi ha chiesto nemmeno come stava mia madre.
Eppure l’ha amata tantissimo, lo so!
I ricordi tornano come lampi tra le nuvole.
La prendeva all’improvviso per i fianchi per baciarla come un amante affamato, mentre lei sprizzava la gioia fisica di chi è ancora desiderata dal suo uomo.
Poi all’improvviso erano arrivati i giorni del cattivo umore di lui, lo sguardo perplesso di mia madre. Le urla senza motivo, le attenzioni finite. E allora… la pentola scordata sul fuoco, la cena rimasta sul piatto, le porte sbattute.
Infine, il silenzio.
Ivana mi ha salutata con la faccia di tre quarti, dandomi la sinistra senza nemmeno infilarci un “arrivederci”. Aveva la destra impegnata con il cellulare, mi ha guardata ma senza vedermi. L’ho capito. Non ero io il problema, piuttosto lo era il fornitore con il quale stava discutendo della pessima qualità di non so quale prodotto.
Le parole “a presto” ripetute tra me e mio padre le ho tradotte in “mai più”.
D’altronde, cercarlo ancora sarebbe inutile, lo stesso che rincorrere l’infanzia felice a un’età troppo adulta.
Torno a fissare mia madre, non devo spiegarle nulla e non troviamo altro modo di comunicare se non abbracciandoci forte.
Scivoliamo sul pavimento dove le piastrelle non fanno alcun male, mentre il mio petto è in affanno e sento lo stomaco sul punto di vomitare anche il cuore.
Mia madre ha compreso ogni cosa. Mi consola con le stesse parole che usava quando da bambina capitava di farmi male: «No, amore mio, no. Ci sono io con te.» Un sussurro dolce più di una carezza.
Si rianima, si asciuga gli occhi, prova a tirarmi su. Non ci riesco, sono ancora annientata da ciò che ci ha fatto mio padre. Ma lei non si arrende. Ed è con la forza che sento venirle alle braccia che riesce a sollevarmi: «Laviamoci il viso e vediamo di mettere in piedi una cena.»
Adesso sono io che la guardo stupita.
La sua voce non trema, non più.
Ha abbandonato il suo dolore per dare sollievo al mio.
A VOLTE (sequel)
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Adesso mi tocca dirlo a mia madre.
La troverò lì dove l’ho lasciata.
Carezzandole la fronte, le avevo promesso: «Te lo giuro, torno con papà.»
Appena sente le chiavi girare nella toppa corre ad aprire.
Sporge il viso fuori, cerca chi non può esserci.
Il suo sguardo incredulo non lo dimenticherò mai più.
Non mi chiede nulla, torna sul divano e si tira la coperta fino al mento.
Ho ancora la borsa al braccio, il trolley l’ho lasciato all’ingresso.
Le vado vicino e senza nessuna esitazione né delicatezza le strappo via la coperta.
Mi sembra ancora più magra di due giorni fa, quando con la mia stupida illusione ero riuscita a rianimarle le guance.
Provo a farla alzare, mi guarda sbalordita, non capisce cosa sto facendo. Tra noi comincia una lotta, la borsa cade a terra, lei cerca di darmi pugni sul petto; non vuole lasciare il divano sul quale, ormai, vive da un anno.
Tra uno strattone e un altro mi accorgo che si era truccata, ma la matita comincia già a colarle sul viso.
«Ivana potrebbe rimetterti in sesto», , dico sprezzante, mentre un sorriso beffardo mi sale alle labbra.
Non ha la forza di contrastarmi.
Io sono sostenuta dalla rabbia, lei è abbattuta dalla delusione, ecco che allora vinco io.
Non ha nemmeno capito cosa intendessi dire – Ivana, non sa proprio chi sia – e dopo aver visto il mio sorriso assurdo, avrà creduto sia davvero impazzita. Lo capisco dal suo sguardo impaurito, dal tremore che la scuote tutta.
La trascino in bagno, ci mettiamo davanti allo specchio, la costringo a guardarci.
Lei non comprende ancora quali siano le mie intenzioni, ma vede come sono ridotti i nostri volti.
Non sto meglio di lei, anche la mia matita ha cominciato a colare.
Ho provato a trattenere le lacrime ma non ce l’ho fatta più.
Mia madre aggrotta la fronte, ed è come se mi vedesse soltanto adesso. D’improvviso si rende conto della mia sofferenza.
Ho scoperto che è identica alla sua: il tradimento di mio padre ha stroncato anche me.
Quando mi sono incontrata con lui e la sua nuova famiglia, alle presentazioni sono rimasta prima stordita poi pietrificata.
Di colpo ho preso atto della mia ingenuità.
Davvero non mi ero resa conto di cosa ci stava succedendo?
Mentre osservavo Ivana, la sua nuova donna, mi sono chiesta dove fossi stata durante il loro corteggiamento, o durante il parto. Ho pensato a quante volte mio padre ci avrà mentito con il giornale in mano e i piedi allungati sopra il tavolino.
A un certo punto il bambino ha cominciato a fare i capricci, mio padre gli ha preso le guance tra le dita e me lo ha mostrato: «È bello, vero?»
Lo ha detto come se quella bellezza innocente avesse potuto giustificare il tradimento e il suo concepimento.
«Un capolavoro» gli ho risposto, mentre lo guardavo negli occhi senza leggervi più alcun affetto per me. Non mi ha chiesto nemmeno come stava mia madre.
Eppure l’ha amata tantissimo, lo so!
I ricordi tornano come lampi tra le nuvole.
La prendeva all’improvviso per i fianchi per baciarla come un amante affamato, mentre lei sprizzava la gioia fisica di chi è ancora desiderata dal suo uomo.
Poi all’improvviso erano arrivati i giorni del cattivo umore di lui, lo sguardo perplesso di mia madre. Le urla senza motivo, le attenzioni finite. E allora… la pentola scordata sul fuoco, la cena rimasta sul piatto, le porte sbattute.
Infine, il silenzio.
Ivana mi ha salutata con la faccia di tre quarti, dandomi la sinistra senza nemmeno infilarci un “arrivederci”. Aveva la destra impegnata con il cellulare, mi ha guardata ma senza vedermi. L’ho capito. Non ero io il problema, piuttosto lo era il fornitore con il quale stava discutendo della pessima qualità di non so quale prodotto.
Le parole “a presto” ripetute tra me e mio padre le ho tradotte in “mai più”.
D’altronde, cercarlo ancora sarebbe inutile, lo stesso che rincorrere l’infanzia felice a un’età troppo adulta.
Torno a fissare mia madre, non devo spiegarle nulla e non troviamo altro modo di comunicare se non abbracciandoci forte.
Scivoliamo sul pavimento dove le piastrelle non fanno alcun male, mentre il mio petto è in affanno e sento lo stomaco sul punto di vomitare anche il cuore.
Mia madre ha compreso ogni cosa. Mi consola con le stesse parole che usava quando da bambina capitava di farmi male: «No, amore mio, no. Ci sono io con te.» Un sussurro dolce più di una carezza.
Si rianima, si asciuga gli occhi, prova a tirarmi su. Non ci riesco, sono ancora annientata da ciò che ci ha fatto mio padre. Ma lei non si arrende. Ed è con la forza che sento venirle alle braccia che riesce a sollevarmi: «Laviamoci il viso e vediamo di mettere in piedi una cena.»
Adesso sono io che la guardo stupita.
La sua voce non trema, non più.
Ha abbandonato il suo dolore per dare sollievo al mio.