Pullman italiano
Posted: Fri Jan 01, 2021 4:14 pm
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Accadde poco prima che il pullman arrivasse alla sommità della salita: una perdita di potenza del motore, due o tre sobbalzi, poi più niente. Dopo aver tirato il freno a mano, l’autista, appoggiato al volante, fissava una lucina rossa sul cruscotto e, con il berretto in mano, si grattava la fronte.
I passeggeri erano rimasti seduti sulle loro poltroncine per nulla impensieriti da quel piccolo inconveniente.
La porta si aprì con uno sbuffo, l’autista scese dal pullman. Si assentò per pochi minuti, durante i quali i passeggeri iniziarono a lanciarsi sguardi interrogativi e a pronunciare qualche bisbiglio.
Dopo poco ricomparve, si pose in piedi davanti al corridoio e si schiarì la voce.
– Scusate signori, ma devo chiedervi di scendere tutti quanti dal pullman.
I due signori anziani seduti nella prima fila si mostrarono subito contrariati.
– Non ne vedo alcun motivo – disse il primo ricevendo lo sguardo di assenso dell’altro. – Ho pagato e pretendo di essere portato a destinazione senza dover lasciare il mio posto.
– Il fatto è che … – Tentò timidamente l’autista, ma fu interrotto da un altro signore sulla destra, tre sedili più indietro.
– Si vede a prima vista che lei è un incompetente. Io l’avevo già capito fin da quando sono salito, e mi sono detto, mi sa che qui finisce male.
La signora che sedeva affianco a quest’ultimo che aveva parlato, lo tirò per la giacca.
– Ma allora, se lo sapeva, perché non ce l’ha detto subito?
Per un breve lasso di tempo si sviluppò sul pullman una piccola gazzarra. Chi alzava la voce, chi agitava il dito in segno di monito, chi se ne stava rincantucciato guardandosi in giro spaventato; anche chi si rivolgeva al cielo. Ma nessuno si alzò dal proprio posto.
Poi, non si sa come, un signore paffuto dall’aria pacata e dall’accento emiliano riuscì a catturare l’attenzione degli altri passeggeri.
– Ma stiamo tranquilli. Non c’è mica bisogno di agitarsi. Basterà lasciar raffreddare il motore e presto tutto tornerà come prima. Vedrete che non sarà necessario scendere. Non è vero giovanotto?
A quel punto l’autista, non sapendo bene come rispondere, balbettò qualche parola di scuse poi disse: – Beh, se preferite stare qui … io intanto vado a vedere cosa posso fare. – E se ne uscì definitivamente.
Un altro signore, piccoletto e con i capelli tinti, si fece avanti.
– Mi consenta, ma lei la fa troppo facile. – Disse rivolto al signore paffuto per rimproverarlo. – Non possiamo mica star qui ad aspettare in eterno. Forse sarebbe giusto fare qualcosa. Qualcuno dovrebbe scendere e andare a spingere.
– E bravo. Perché non ci va lei? – Giunse una voce da dietro.
– Perché qualcuno deve stare al volante, mi sembra ovvio. – Rispose prontamente l’ometto. – E io mi sacrificherei lasciando il mio posto per prendere quello dell’autista che se ne è andato.
– E già. – Fece un altro. – E se mentre stiamo tutti dietro al pullman e lei toglie il freno a mano; chi ci dice che non finiremo tutti schiacciati.
– Assassini! – gridò una voce dal fondo.
Un signore esagitato dai capelli lunghi e brizzolati, aveva alzato la voce così tanto da far girare tutti verso di lui.
– Siete solo degli incompetenti. – Continuò. – Secondo voi dovremmo stare tutti qui a morire di fame o a farci schiacciare quando la nuova tecnologia potrebbe offrirci un sacco di soluzioni moderne. – Molti sentirono crescere un filo di speranza. – Il mondo potrebbe essere un posto migliore se ognuno fosse libero di decidere del proprio destino. – Qualcuno tornò a essere perplesso.
Prese a scuotere per le spalle il suo vicino che si era appisolato.
– Tu, per esempio, cosa vorresti fare?
L’altro, poco lucido, rimase a guardarlo stupito.
– Ecco, vedete? È questo il vero problema. Nessuno sa decidere. C’è qualcuno tra voi che ha qualche competenza nella meccanica?
Si alzò un giovanotto con un giubbotto scuro.
– Mio cuggino è ingegnere alla scuola guida.
– E avresti qualche proposta?
– Certo. Penso che dovremmo andarcene via da qui.
– Ma come?
– Che scherzi? Col pullman. E come se no?
Tutti furono entusiasti.
– Sì, ma come possiamo muovere il pullman?
– Guarda. – Disse il giovanotto indicando il sedile dell’autista, – mo vado a sedermi là così ci penso.
Il giovanotto dal giubbotto scuro si sistemò al posto del conducente. Prese in mano il volante è iniziò a fare il rumore del motore spernacchiando con la bocca.
Un individuo con la barba e i capelli corti gli si avvicino. Aveva notato che la porta del pullman era rimasta aperta da quando era sceso l’autista.
– Scusa, non c’è modo di chiudere quella porta?
Il giovanotto alla guida lo guardò per un attimo, poi fece spallucce e continuò nelle sue riflessioni. Allora l’uomo con la barba si rivolse a tutti gli altri.
– Signori. Mi spiace dirvi che dobbiamo affrontare un altro grave problema.
Tutti si allarmarono.
– Tra non molto farà buio. Siamo sulla sommità di una collina, fuori dal centro abitato. Se non riusciamo a chiudere quella porta saremo alla mercé di qualsiasi malintenzionato dovesse passare da queste parti.
I passeggeri del pullman si guardarono intorno. A quanto pare nessuno aveva pensato al pericolo di trovarsi in una situazione del genere, ma ora, dopo quel monito sarebbe stato meglio procurarsi anche delle armi.
– Io veramente soffro di claustrofobia. – Disse una signora di una certa età, vestita con un tailleur rosa pallido. – Inoltre, se il signore qui vicino è così gentile da tenermi il posto, vorrei uscire per prendere un po’ d’aria e per trovare un angolino dove fare la pipì.
Un mormorio di disapprovazione percorse tutto il pullman.
– Questa sovversiva rischia di metterci tutti in pericolo. Se vuole, che se ne stia pure fuori, ma non si sogni di tornare sul pullman.
L’uomo con la barba studiò il quadro di comandi del pullman. Chiese anche al giovanotto se gli poteva cedere il sedile del conducente, ma quello fece lo gnorri. Trovò comunque i tasti che aprivano e chiudevano le porte. Li provò un paio di volte poi decretò.
– Bene, d’ora in poi da qui si entra o si esce solo quando lo dico io.
Altre persone che avevano appoggiato la signora in rosa pallido, per via del fatto che anche loro avevano qualche esigenza fisiologica da espletare, formarono un comitato di resistenza; cercarono l’alleanza con il giovanotto seduto al posto di guida il quale non si fece pregare per premere al momento giusto il pulsante che aprì la porta e il tizio con la barba fu buttato fuori con una spinta decisa al grido di “fascista”.
Ma poi il buio arrivò per davvero, e con esso il freddo.
Cercare di stare più vicini forse sarebbe servito a scaldarsi un po’, ma sarebbe sembrato sconveniente. Qualcuno si ricordò che il pullman doveva avere un sistema di riscaldamento; riuscirono perfino a scalzare il giovanotto col giubbotto scuro dal posto di guida, ma nessuno riuscì a raccapezzarsi per farlo funzionare. Allora conclusero che il riscaldamento avrebbe funzionato solo se fossero riusciti a far ripartire il motore, ma a quel punto il viaggio sarebbe potuto proseguire.
C’era chi ci sperava, altri invece volevano trovare una soluzione immediata.
Finì che alcuni riuscirono ad accendere un fuoco all’interno del pullman utilizzando quello che avevano a disposizione senza dover uscire, mentre altri si avventurarono nella bruma notturna, intirizziti, vaganti senza meta. I primi morirono asfissiati in breve tempo, mentre i pochi sopravvissuti del secondo gruppo non recuperarono mai più la ragione.
Quando il giorno dopo l’autista tornò con il meccanico si trovò davanti a uno spettacolo raccapricciante. Pensare che qualche centinaio di metri più avanti un piccolo albergo avrebbe potuto ospitare tutti per la notte, ma nessuno lo avrebbe seguito.
Accadde poco prima che il pullman arrivasse alla sommità della salita: una perdita di potenza del motore, due o tre sobbalzi, poi più niente. Dopo aver tirato il freno a mano, l’autista, appoggiato al volante, fissava una lucina rossa sul cruscotto e, con il berretto in mano, si grattava la fronte.
I passeggeri erano rimasti seduti sulle loro poltroncine per nulla impensieriti da quel piccolo inconveniente.
La porta si aprì con uno sbuffo, l’autista scese dal pullman. Si assentò per pochi minuti, durante i quali i passeggeri iniziarono a lanciarsi sguardi interrogativi e a pronunciare qualche bisbiglio.
Dopo poco ricomparve, si pose in piedi davanti al corridoio e si schiarì la voce.
– Scusate signori, ma devo chiedervi di scendere tutti quanti dal pullman.
I due signori anziani seduti nella prima fila si mostrarono subito contrariati.
– Non ne vedo alcun motivo – disse il primo ricevendo lo sguardo di assenso dell’altro. – Ho pagato e pretendo di essere portato a destinazione senza dover lasciare il mio posto.
– Il fatto è che … – Tentò timidamente l’autista, ma fu interrotto da un altro signore sulla destra, tre sedili più indietro.
– Si vede a prima vista che lei è un incompetente. Io l’avevo già capito fin da quando sono salito, e mi sono detto, mi sa che qui finisce male.
La signora che sedeva affianco a quest’ultimo che aveva parlato, lo tirò per la giacca.
– Ma allora, se lo sapeva, perché non ce l’ha detto subito?
Per un breve lasso di tempo si sviluppò sul pullman una piccola gazzarra. Chi alzava la voce, chi agitava il dito in segno di monito, chi se ne stava rincantucciato guardandosi in giro spaventato; anche chi si rivolgeva al cielo. Ma nessuno si alzò dal proprio posto.
Poi, non si sa come, un signore paffuto dall’aria pacata e dall’accento emiliano riuscì a catturare l’attenzione degli altri passeggeri.
– Ma stiamo tranquilli. Non c’è mica bisogno di agitarsi. Basterà lasciar raffreddare il motore e presto tutto tornerà come prima. Vedrete che non sarà necessario scendere. Non è vero giovanotto?
A quel punto l’autista, non sapendo bene come rispondere, balbettò qualche parola di scuse poi disse: – Beh, se preferite stare qui … io intanto vado a vedere cosa posso fare. – E se ne uscì definitivamente.
Un altro signore, piccoletto e con i capelli tinti, si fece avanti.
– Mi consenta, ma lei la fa troppo facile. – Disse rivolto al signore paffuto per rimproverarlo. – Non possiamo mica star qui ad aspettare in eterno. Forse sarebbe giusto fare qualcosa. Qualcuno dovrebbe scendere e andare a spingere.
– E bravo. Perché non ci va lei? – Giunse una voce da dietro.
– Perché qualcuno deve stare al volante, mi sembra ovvio. – Rispose prontamente l’ometto. – E io mi sacrificherei lasciando il mio posto per prendere quello dell’autista che se ne è andato.
– E già. – Fece un altro. – E se mentre stiamo tutti dietro al pullman e lei toglie il freno a mano; chi ci dice che non finiremo tutti schiacciati.
– Assassini! – gridò una voce dal fondo.
Un signore esagitato dai capelli lunghi e brizzolati, aveva alzato la voce così tanto da far girare tutti verso di lui.
– Siete solo degli incompetenti. – Continuò. – Secondo voi dovremmo stare tutti qui a morire di fame o a farci schiacciare quando la nuova tecnologia potrebbe offrirci un sacco di soluzioni moderne. – Molti sentirono crescere un filo di speranza. – Il mondo potrebbe essere un posto migliore se ognuno fosse libero di decidere del proprio destino. – Qualcuno tornò a essere perplesso.
Prese a scuotere per le spalle il suo vicino che si era appisolato.
– Tu, per esempio, cosa vorresti fare?
L’altro, poco lucido, rimase a guardarlo stupito.
– Ecco, vedete? È questo il vero problema. Nessuno sa decidere. C’è qualcuno tra voi che ha qualche competenza nella meccanica?
Si alzò un giovanotto con un giubbotto scuro.
– Mio cuggino è ingegnere alla scuola guida.
– E avresti qualche proposta?
– Certo. Penso che dovremmo andarcene via da qui.
– Ma come?
– Che scherzi? Col pullman. E come se no?
Tutti furono entusiasti.
– Sì, ma come possiamo muovere il pullman?
– Guarda. – Disse il giovanotto indicando il sedile dell’autista, – mo vado a sedermi là così ci penso.
Il giovanotto dal giubbotto scuro si sistemò al posto del conducente. Prese in mano il volante è iniziò a fare il rumore del motore spernacchiando con la bocca.
Un individuo con la barba e i capelli corti gli si avvicino. Aveva notato che la porta del pullman era rimasta aperta da quando era sceso l’autista.
– Scusa, non c’è modo di chiudere quella porta?
Il giovanotto alla guida lo guardò per un attimo, poi fece spallucce e continuò nelle sue riflessioni. Allora l’uomo con la barba si rivolse a tutti gli altri.
– Signori. Mi spiace dirvi che dobbiamo affrontare un altro grave problema.
Tutti si allarmarono.
– Tra non molto farà buio. Siamo sulla sommità di una collina, fuori dal centro abitato. Se non riusciamo a chiudere quella porta saremo alla mercé di qualsiasi malintenzionato dovesse passare da queste parti.
I passeggeri del pullman si guardarono intorno. A quanto pare nessuno aveva pensato al pericolo di trovarsi in una situazione del genere, ma ora, dopo quel monito sarebbe stato meglio procurarsi anche delle armi.
– Io veramente soffro di claustrofobia. – Disse una signora di una certa età, vestita con un tailleur rosa pallido. – Inoltre, se il signore qui vicino è così gentile da tenermi il posto, vorrei uscire per prendere un po’ d’aria e per trovare un angolino dove fare la pipì.
Un mormorio di disapprovazione percorse tutto il pullman.
– Questa sovversiva rischia di metterci tutti in pericolo. Se vuole, che se ne stia pure fuori, ma non si sogni di tornare sul pullman.
L’uomo con la barba studiò il quadro di comandi del pullman. Chiese anche al giovanotto se gli poteva cedere il sedile del conducente, ma quello fece lo gnorri. Trovò comunque i tasti che aprivano e chiudevano le porte. Li provò un paio di volte poi decretò.
– Bene, d’ora in poi da qui si entra o si esce solo quando lo dico io.
Altre persone che avevano appoggiato la signora in rosa pallido, per via del fatto che anche loro avevano qualche esigenza fisiologica da espletare, formarono un comitato di resistenza; cercarono l’alleanza con il giovanotto seduto al posto di guida il quale non si fece pregare per premere al momento giusto il pulsante che aprì la porta e il tizio con la barba fu buttato fuori con una spinta decisa al grido di “fascista”.
Ma poi il buio arrivò per davvero, e con esso il freddo.
Cercare di stare più vicini forse sarebbe servito a scaldarsi un po’, ma sarebbe sembrato sconveniente. Qualcuno si ricordò che il pullman doveva avere un sistema di riscaldamento; riuscirono perfino a scalzare il giovanotto col giubbotto scuro dal posto di guida, ma nessuno riuscì a raccapezzarsi per farlo funzionare. Allora conclusero che il riscaldamento avrebbe funzionato solo se fossero riusciti a far ripartire il motore, ma a quel punto il viaggio sarebbe potuto proseguire.
C’era chi ci sperava, altri invece volevano trovare una soluzione immediata.
Finì che alcuni riuscirono ad accendere un fuoco all’interno del pullman utilizzando quello che avevano a disposizione senza dover uscire, mentre altri si avventurarono nella bruma notturna, intirizziti, vaganti senza meta. I primi morirono asfissiati in breve tempo, mentre i pochi sopravvissuti del secondo gruppo non recuperarono mai più la ragione.
Quando il giorno dopo l’autista tornò con il meccanico si trovò davanti a uno spettacolo raccapricciante. Pensare che qualche centinaio di metri più avanti un piccolo albergo avrebbe potuto ospitare tutti per la notte, ma nessuno lo avrebbe seguito.