La melodia
Posted: Wed Jan 27, 2021 1:02 pm
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Marco non era mai stato un appassionato di musica, tantomeno di classica, ma, da qualche mese a quella parte, quando era libero, passava tutto il tempo ad ascoltarla.
Era successo che, quando Loretta lo aveva lasciato, trasmettevano alla radio dell’auto un’ipnotica sonata per pianoforte che era convinto d’aver ascoltato già da piccolo, e che ogni tanto si riaffacciava alla sua mente, risvegliando ricordi d’infanzia che non era certo fossero autentici, ma che, ogni volta, lo facevano piombare in uno stato di struggente nostalgia per qualcosa che era stato e che non c’era più, e che non poteva forse ripetersi, e che, forse, non era mai esistito. Forse quella musica era la mano di Dio, che teneramente lo prendeva per mano? Perché non poteva essere sempre così?
Proprio mentre l’autoradio, come accadeva a volte in sogno, aveva cominciato a trasmettere quella musica, Loretta l’aveva spenta, perché dovevano parlare. Inutile, da parte sua, protestare. Non era mai riuscito a farsi valere con lei. Aveva provato a dire alla fidanzata che per lui era importante arrivare alla fine del brano, per sentire, dal conduttore, il titolo e il nome del compositore. Ma lei, inflessibile come era sempre stata, aveva tenuto la mano ben salda sulla manopola del volume.
Poteva ancora ascoltare qualche nota con la memoria, mentre lei snocciolava, nel suo solito modo calmo e ragionato, i motivi per i quali non era più il caso che loro due si frequentassero. Aveva ascoltato e non aveva ascoltato mentre Loretta parlava. Aveva risposto con qualche monosillabo, con frasi di circostanza. Forse, nelle ore successive, quando avrebbe realizzato appieno quanto stava succedendo, avrebbe pianto. Stava con Loretta da due anni. Un pezzo importante della sua vita. Quella rottura era qualcosa d’inaspettato. Ma lei era così. Conoscendola, aveva accumulato per mesi e mesi le recriminazioni sul suo diario, istruendo un caso a prova di bomba. Loretta amava molto ragionare. Il problema della ragione è che spesso ti conduce alla conclusione più ovvia. Non potevano soltanto amarsi?
Così Marco, per fare la sua parte in quella conversazione che, stranamente, non sembrava riguardarlo (l’eco della musica ancora nella sua testa) farfugliò qualcosa sulle ragioni del cuore. Anziché dire che, semplicemente, la amava ancora. Lei lasciò l’auto e s’accese una sigaretta. Lui non aveva mai voluto che fumasse dentro, fra le altre cose. Sembrava che anche il suo salutismo fosse uno degli aspetti della loro relazione a segnare una casella nella colonnina del no. Loretta aveva detto che Marco non aveva coraggio. Che vivere la vita significa spendersi, coltivare vizi, farsi anche del male. Marco aveva pensato che quel discorso era particolarmente sciocco. Forse era un bene che non stessero più insieme.
Quando Loretta aveva lasciato l’auto, Marco aveva subito riacceso la radio, ma la sua ex, nello spegnere, aveva cambiato stazione. Perciò non poteva neppure sapere da chi il brano fosse stato trasmesso. Un nome della emittente che gli avrebbe permesso di chiedere del compositore e del brano trasmesso mentre Loretta lo abbandonava.
Dopo quel giorno, Marco decise che sarebbe diventato un cultore di musica classica. Prima o poi, per caso, ma inevitabilmente, si sarebbe imbattuto in quel brano. Cominciò a informarsi su internet su come creare una collezione di dischi. Ben presto scoprì che ci sono piattaforme online che, con il prezzo di un abbonamento mensile, ti forniscono la musica che cerchi. Comprò un buon impianto stereo e, armandosi di pazienza, si sedette alla poltrona del suo salotto, dopo il lavoro, cominciando ad ascoltare musica. S’era fatto la convinzione che quel brano fosse la creazione minore di qualche grande musicista. Ben presto cominciò a riconoscere la musica per epoca e per autore, aiutandosi anche nello studio con dei libri specializzati. Gli sembrò che quel brano (quel poco che poteva ancora ricordare) fosse dell’Ottocento, ma non era certo. Poteva anche essere di qualcuno arrivato dopo, un epigono che aveva ricalcato lo stile di uno dei grandi. La sua ricerca non era meno disperata di quella del capitano Achab per la balena Moby Dick. Ogni tanto, gli pareva di ascoltare qualche nota familiare… ma erano solo spruzzi di schiuma che increspavano la superficie del mare del tempo.
Mesi dopo, non s’era ancora arreso (ogni tanto aveva notizie di Loretta, tramite i social. Non sembrava stesse frequentando qualcuno. Stava scrivendo un libro), venne a sapere, tramite un articolo di giornale, della novità in ambito neurologico. Era stata messa a punto e, a quanto pare, già largamente usata, una particolare tecnica che aumentava le facoltà della mente, in special modo la memoria. Prenotò subito una visita da uno specialista.
Era un uomo calvo, con occhiali tondi e spessi, che lo guardava gravemente dall’altro lato della scrivania.
«Lei che lavoro fa?»
«Sono impiegato.»
«Usa computer, sul lavoro?»
«Certo.»
«Ha difficoltà a stare dietro i suoi impegni?»
«No.»
«Vede. Quest’operazione è molto delicata. Di solito i nostri pazienti sono dirigenti. Grandi intellettuali. Piloti d’aereo. Persone che hanno un’effettiva necessità di aumentare le proprie doti intellettive. Lei, perché vuole sottoporsi? Vorrebbe fare carriera nella sua azienda?»
«Non è mia ambizione.»
«Vuole allora comprendere dei concetti che prima non era in grado di cogliere? Di filosofia, per esempio?»
«Non sono appassionato.»
«Si tratta di una donna, allora. Vuole impressionarla.»
«No, nulla di ciò.»
«Qual è la motivazione che la spinge?»
«La musica.»
«Vuole diventare un musicista famoso?»
«No. Non m’interessano… la fama, o le donne. Penso d’aver chiuso con loro, a dire la verità. Voglio ricordare una musica che ascoltavo quando ero piccolo. Voglio ascoltarla di nuovo.»
«Nostalgia.»
«Si può dire.»
Il medico si massaggiò l’incavo degli occhi. Ci pensò su.
«Ci potrebbero essere conseguenze spiacevoli all’operazione.»
«Di che tipo?»
«Tremori. Problemi di coordinazione. Perdita dell’udito.»
«Va bene.»
«Se la metto in lista, dovrà attendere almeno due o tre anni.»
«Aspetterò.»
«Questo è un bene per lei, a dire il vero. Nel frattempo, metteremo maggiormente a punto questa tecnica.»
«Aspetterò» disse Marco.
«Non è un’operazione economica.»
«Non è un problema.»
«La mia segretaria prenderà tutti i suoi dati.»
Due, tre anni d’attesa. Che importava? Finalmente, sarebbe stato di nuovo felice.
Quando arrivò il momento di andare sotto i ferri, Marco si sentiva emozionato. Non era passato un giorno, dei due anni precedenti, in cui non aveva pensato a quella melodia.
Al suo risveglio, l’infermiera lo assicurò subito che era andato tutto come doveva andare.
«Sento un ronzio» biascicò «e un dolore acuto dietro l’orecchio sinistro.»
«È normale.»
«Quando…»
«Sta già succedendo» disse la donna, dolcemente. «Le sistemo il cuscino.»
«Grazie» rispose Marco. In effetti, per quanto fosse ancora intontito per l’anestesia, poteva sentire che la sua memoria già migliorava. Come un castello di carte che, dopo essere caduto, s’ergeva di nuovo, la sua mente cominciò a ricostruire episodi che aveva rimosso da tempo.Di quando giocava con amichetti che poi avrebbe perso di vista, o di un cane che aveva da piccolo, di cui s’era dimenticato, e di cui improvvisamente ricordava anche il nome. Ricordò della madre, quando lo cullava, e le nenie che gli cantava, come se l’episodio fosse davanti ai suoi occhi. Ricordò nel dettaglio pagine e pagine di testi universitari, e anche gli episodi dei romanzi che aveva letto distrattamente, magari mentre aspettava di prendere Loretta quando usciva da lavoro.
Fu dimesso una settimana dopo. Non c’era nessuno ad attenderlo. Non aveva trovato un’altra, dopo Loretta. I suoi genitori erano morti. Non doveva far altro che attendere, in casa, di terminare la convalescenza, per poi tornare al lavoro. Si sentiva fiducioso. La melodia sarebbe affiorata. Nel frattempo, era il passato a tenergli compagnia.
Mentre si perdeva nel tempo, il tempo andava.
Marco non era mai stato un appassionato di musica, tantomeno di classica, ma, da qualche mese a quella parte, quando era libero, passava tutto il tempo ad ascoltarla.
Era successo che, quando Loretta lo aveva lasciato, trasmettevano alla radio dell’auto un’ipnotica sonata per pianoforte che era convinto d’aver ascoltato già da piccolo, e che ogni tanto si riaffacciava alla sua mente, risvegliando ricordi d’infanzia che non era certo fossero autentici, ma che, ogni volta, lo facevano piombare in uno stato di struggente nostalgia per qualcosa che era stato e che non c’era più, e che non poteva forse ripetersi, e che, forse, non era mai esistito. Forse quella musica era la mano di Dio, che teneramente lo prendeva per mano? Perché non poteva essere sempre così?
Proprio mentre l’autoradio, come accadeva a volte in sogno, aveva cominciato a trasmettere quella musica, Loretta l’aveva spenta, perché dovevano parlare. Inutile, da parte sua, protestare. Non era mai riuscito a farsi valere con lei. Aveva provato a dire alla fidanzata che per lui era importante arrivare alla fine del brano, per sentire, dal conduttore, il titolo e il nome del compositore. Ma lei, inflessibile come era sempre stata, aveva tenuto la mano ben salda sulla manopola del volume.
Poteva ancora ascoltare qualche nota con la memoria, mentre lei snocciolava, nel suo solito modo calmo e ragionato, i motivi per i quali non era più il caso che loro due si frequentassero. Aveva ascoltato e non aveva ascoltato mentre Loretta parlava. Aveva risposto con qualche monosillabo, con frasi di circostanza. Forse, nelle ore successive, quando avrebbe realizzato appieno quanto stava succedendo, avrebbe pianto. Stava con Loretta da due anni. Un pezzo importante della sua vita. Quella rottura era qualcosa d’inaspettato. Ma lei era così. Conoscendola, aveva accumulato per mesi e mesi le recriminazioni sul suo diario, istruendo un caso a prova di bomba. Loretta amava molto ragionare. Il problema della ragione è che spesso ti conduce alla conclusione più ovvia. Non potevano soltanto amarsi?
Così Marco, per fare la sua parte in quella conversazione che, stranamente, non sembrava riguardarlo (l’eco della musica ancora nella sua testa) farfugliò qualcosa sulle ragioni del cuore. Anziché dire che, semplicemente, la amava ancora. Lei lasciò l’auto e s’accese una sigaretta. Lui non aveva mai voluto che fumasse dentro, fra le altre cose. Sembrava che anche il suo salutismo fosse uno degli aspetti della loro relazione a segnare una casella nella colonnina del no. Loretta aveva detto che Marco non aveva coraggio. Che vivere la vita significa spendersi, coltivare vizi, farsi anche del male. Marco aveva pensato che quel discorso era particolarmente sciocco. Forse era un bene che non stessero più insieme.
Quando Loretta aveva lasciato l’auto, Marco aveva subito riacceso la radio, ma la sua ex, nello spegnere, aveva cambiato stazione. Perciò non poteva neppure sapere da chi il brano fosse stato trasmesso. Un nome della emittente che gli avrebbe permesso di chiedere del compositore e del brano trasmesso mentre Loretta lo abbandonava.
Dopo quel giorno, Marco decise che sarebbe diventato un cultore di musica classica. Prima o poi, per caso, ma inevitabilmente, si sarebbe imbattuto in quel brano. Cominciò a informarsi su internet su come creare una collezione di dischi. Ben presto scoprì che ci sono piattaforme online che, con il prezzo di un abbonamento mensile, ti forniscono la musica che cerchi. Comprò un buon impianto stereo e, armandosi di pazienza, si sedette alla poltrona del suo salotto, dopo il lavoro, cominciando ad ascoltare musica. S’era fatto la convinzione che quel brano fosse la creazione minore di qualche grande musicista. Ben presto cominciò a riconoscere la musica per epoca e per autore, aiutandosi anche nello studio con dei libri specializzati. Gli sembrò che quel brano (quel poco che poteva ancora ricordare) fosse dell’Ottocento, ma non era certo. Poteva anche essere di qualcuno arrivato dopo, un epigono che aveva ricalcato lo stile di uno dei grandi. La sua ricerca non era meno disperata di quella del capitano Achab per la balena Moby Dick. Ogni tanto, gli pareva di ascoltare qualche nota familiare… ma erano solo spruzzi di schiuma che increspavano la superficie del mare del tempo.
Mesi dopo, non s’era ancora arreso (ogni tanto aveva notizie di Loretta, tramite i social. Non sembrava stesse frequentando qualcuno. Stava scrivendo un libro), venne a sapere, tramite un articolo di giornale, della novità in ambito neurologico. Era stata messa a punto e, a quanto pare, già largamente usata, una particolare tecnica che aumentava le facoltà della mente, in special modo la memoria. Prenotò subito una visita da uno specialista.
Era un uomo calvo, con occhiali tondi e spessi, che lo guardava gravemente dall’altro lato della scrivania.
«Lei che lavoro fa?»
«Sono impiegato.»
«Usa computer, sul lavoro?»
«Certo.»
«Ha difficoltà a stare dietro i suoi impegni?»
«No.»
«Vede. Quest’operazione è molto delicata. Di solito i nostri pazienti sono dirigenti. Grandi intellettuali. Piloti d’aereo. Persone che hanno un’effettiva necessità di aumentare le proprie doti intellettive. Lei, perché vuole sottoporsi? Vorrebbe fare carriera nella sua azienda?»
«Non è mia ambizione.»
«Vuole allora comprendere dei concetti che prima non era in grado di cogliere? Di filosofia, per esempio?»
«Non sono appassionato.»
«Si tratta di una donna, allora. Vuole impressionarla.»
«No, nulla di ciò.»
«Qual è la motivazione che la spinge?»
«La musica.»
«Vuole diventare un musicista famoso?»
«No. Non m’interessano… la fama, o le donne. Penso d’aver chiuso con loro, a dire la verità. Voglio ricordare una musica che ascoltavo quando ero piccolo. Voglio ascoltarla di nuovo.»
«Nostalgia.»
«Si può dire.»
Il medico si massaggiò l’incavo degli occhi. Ci pensò su.
«Ci potrebbero essere conseguenze spiacevoli all’operazione.»
«Di che tipo?»
«Tremori. Problemi di coordinazione. Perdita dell’udito.»
«Va bene.»
«Se la metto in lista, dovrà attendere almeno due o tre anni.»
«Aspetterò.»
«Questo è un bene per lei, a dire il vero. Nel frattempo, metteremo maggiormente a punto questa tecnica.»
«Aspetterò» disse Marco.
«Non è un’operazione economica.»
«Non è un problema.»
«La mia segretaria prenderà tutti i suoi dati.»
Due, tre anni d’attesa. Che importava? Finalmente, sarebbe stato di nuovo felice.
Quando arrivò il momento di andare sotto i ferri, Marco si sentiva emozionato. Non era passato un giorno, dei due anni precedenti, in cui non aveva pensato a quella melodia.
Al suo risveglio, l’infermiera lo assicurò subito che era andato tutto come doveva andare.
«Sento un ronzio» biascicò «e un dolore acuto dietro l’orecchio sinistro.»
«È normale.»
«Quando…»
«Sta già succedendo» disse la donna, dolcemente. «Le sistemo il cuscino.»
«Grazie» rispose Marco. In effetti, per quanto fosse ancora intontito per l’anestesia, poteva sentire che la sua memoria già migliorava. Come un castello di carte che, dopo essere caduto, s’ergeva di nuovo, la sua mente cominciò a ricostruire episodi che aveva rimosso da tempo.Di quando giocava con amichetti che poi avrebbe perso di vista, o di un cane che aveva da piccolo, di cui s’era dimenticato, e di cui improvvisamente ricordava anche il nome. Ricordò della madre, quando lo cullava, e le nenie che gli cantava, come se l’episodio fosse davanti ai suoi occhi. Ricordò nel dettaglio pagine e pagine di testi universitari, e anche gli episodi dei romanzi che aveva letto distrattamente, magari mentre aspettava di prendere Loretta quando usciva da lavoro.
Fu dimesso una settimana dopo. Non c’era nessuno ad attenderlo. Non aveva trovato un’altra, dopo Loretta. I suoi genitori erano morti. Non doveva far altro che attendere, in casa, di terminare la convalescenza, per poi tornare al lavoro. Si sentiva fiducioso. La melodia sarebbe affiorata. Nel frattempo, era il passato a tenergli compagnia.
Mentre si perdeva nel tempo, il tempo andava.