Gatti e gabbiani nel cielo grigio
Posted: Wed Jan 27, 2021 11:12 am
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https://www.writersdream.org/forum/foru ... io/?page=2
Ringrazio @Bef per il suggerimento di specificare, all'inizio, che l'aumento è relativo all'affitto.
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Ringrazio @Bef per il suggerimento di specificare, all'inizio, che l'aumento è relativo all'affitto.
Quel maiale ci ha aumentato l'affitto. Seicento al mese, per questo cesso di camera.
«Chiama la sorella, dai, sentiamo se ne è al corrente» mi dici, «è con lei che abbiamo preso accordi» e aggiungi «però è scorretto, non ha ancora fatto aggiustare la caldaia, non ci facciamo una doccia come si deve da due mesi, non può aumentare l'affitto, avrai capito male. Non abbiamo i soldi, come facciamo? Ci toccherà andare a prendere il pacco viveri che danno ai poveracci.»
Piantala! Sempre questa lagna. Lagna! Non ti sopporto più, te e questa vita.
E tu mi fai «ho il pacemaker, non dimenticarlo, non trattarmi così, non me lo merito.»
Insulsi esseri, ecco cosa siamo, rottami. Costretti a vivere in una camera dentro un appartamento lurido, abitato da un trentenne mantenuto che passa la giornata a farsi le canne o a letto con quella zoccoletta minorenne. Ma a lui la caldaia funziona, disgraziato, lui la doccia se la fa, mica come noi che dobbiamo riscaldare l'acqua sul gas. Come ho fatto a ridurmi così.
«È stata la malattia di tuo padre! Quello è stato l'inizio. Tutto a rotoli, da quel momento.»
E che, sono il primo uomo sulla terra a cui muore il padre a sedici anni, il primo che ha cominciato a lavorare presto? Non ripetermi più questa cantilena, fammi il favore.
«Ma tua madre con l'esaurimento... i debiti!» Taci. Due falliti, questo siamo.
«Se tu non avessi avuto l'incidente, adesso avresti fatto carriera in quell'hotel» mi dici, e io so che qui hai ragione. Hai ragione.
Però non aizzarmi, io non voglio parlare, non voglio neppure nominare la bestia, altrimenti esce dalla stanza del tossico e gratta alla porta, la maledetta.
«Ma non era mica lo stesso gatto» dici perplessa, e io ti rispondo che non capisci niente come al solito, sei buona solo a piagnucolare. Alza quella testa! Falliti, sì, ma con la schiena dritta. Certo che non è lo stesso gatto, visto che l'incidente è accaduto vent'anni fa, e a settecento chilometri da questa periferia di merda. Penso forse che sia lo stesso gatto che quando ero bambino quasi ha strappato un occhio a mia sorella? No! Non lo penso, scema che sei. I gatti sono tutti uguali, tutti immondi allo stesso modo, oggi come ieri, quindi per me non fa differenza. È l'idea stessa di gatto che andrebbe estirpata dal mondo. Bestia fasulla, ipocrita. Se voglio accarezzare un pelo morbido mi compro uno di quei cosi di peluche, che almeno hanno lo sguardo buono. Non si può andare in cucina perché quel satana fa i suoi bisogni nella cassettina putrida, e sul terrazzo lecca il suo latte, e il pelo schifoso va dappertutto. Non aveva detto che il gatto se lo teneva a cuccia nella camera, quel buono a nulla sempre fumato? Devo avere l'angoscia di andare al bagno a pisciare?
«Ecco come mai hai tanta paura. Perché per poco tua sorella non rimaneva cieca. La tua è proprio una fobia» dici col tuo solito tono da bambolina malata, che mi fa ragionare sul fatto che io devo essere stato un mentecatto a sposarti. Allora non hai compreso. Quell'episodio non è stato la causa di quella che tu chiami fobia, godendo nel sentire la tua bocca piena di un parolone così difficile. Quando c'è un gatto di mezzo qualcosa va storto, sempre. Pensa a Mario, te lo ricordi? Ed è un solo esempio tra tanti. La bestia della figlia gli si è piazzata tra le ruote della bici e lui è caduto faccia a terra, sull'asfalto: due denti di meno, il naso rotto, e la paura che non passa più. Mi fanno vomitare, i gatti, da prima che nascessi. Potessi ammassarli tutti in una grande buca, e dargli fuoco da vivi.
«Ma quello del tuo incidente era nero? Forse l'automobile t'è piombata addosso perché chi guidava s'è visto passare davanti un gatto nero» continui a cianciare guardando i gabbiani fuori dalla finestra, nel cielo grigio.
Non ho più voglia di ascoltarti. Mi annoi, come tutto qui dentro; mi dai fastidio perché sei inutile, come questa stanza sporca, come la nostra vita.
Il direttore dell'hotel mi aveva detto: corri al tuo paese, fai tutti i documenti che servono e io ti assumo a tempo indeterminato. Quella era la svolta. Lì avrei fatto carriera, ma quel sudicio animale ha voluto attraversare la strada nel momento esatto in cui io passavo sul marciapiede per andarmi a comprare le sigarette.
«Peccato che ancora non ti conoscevo! Ti avrei fatto tanta compagnia, sarei stata con te tutti quei mesi che hai passato in ospedale» blateri ancora, e io capisco di essere solo al mondo. Vorrei non essere mai nato, o diventare in questo preciso momento quel granello di polvere scura poggiato sulla mensola.
«Eccolo che gratta alla porta. Ma tu stai calmo, me ne occupo io. Mettiti sotto il copriletto, se vuoi, così non lo vedi» mi dici a bassa voce, miserevole donna senza passato e senza futuro, chiusa con me in questa prigione. Piccola donna che mi sei accanto in questo spreco di giorni, catena opprimente di ore inzuppate di vuoto.
«Va via, micio, torna dal tuo padrone, qui è vietato entrare, lo sai. Anzi, tu non dovresti uscire da quella stanza. Com'è che fai il comodo tuo? Bruno, vuoi che vada a vedere che succede? Apro piano piano, mica lo faccio entrare, figurati» sussurri delicata, ma io sento che l'allegria è dovuta alla presenza dell'animale, non al fatto che vuoi proteggere me da lui. Ti fa tenerezza immaginare che carezzerai la sua testolina, e assapori il solletico che proverai al naso quando affonderai il viso nella sua peluria di panna. Siete tutti uguali. Ma non importa, vai, vai pure a vedere se è stato il drogato a mandare la bestia alla nostra porta.
«Bruno! Ci ho parlato, stasera è normale, non sta con gli occhi semichiusi come al solito. Dice che hai ragione, seicento euro con la caldaia rotta sono troppi, adesso che andiamo incontro al freddo dell'inverno. Diamine, ho esclamato, mica possiamo puzzare! Già la vita è tanto difficile. Mi ha guardata con simpatia, mentre la sua ragazza gli massaggiava un orecchio, e pare che abbia chiamato l'idraulico per la nostra caldaia, anzi, pare che la voglia proprio sostituire: ha detto che tanto paga suo padre. Chiede se ti dà fastidio il gatto. Che gli devo dire? Se viene a sapere che hai la fobia, pensi che quello ci butta fuori di casa?»
Quanto ti piace questa parola. Ti piace pronunciarla, così gli altri pensano che sai cosa significa e appari una personcina di cultura. In fondo, anche tu mi disprezzi: ai tuoi occhi di farfallina appaio un insensibile. Quel ragazzino, invece, me lo fa apposta, gli piace stuzzicarmi.
Ma sì, digli che non mi dà fastidio pensare che ha un gatto: basta che sia sempre molto lontano da me. Non ho nessuna intenzione di cercare un'altra stanza, sono stanco. Mi voglio fare una bella doccia calda, finalmente; spruzzarmi l'acqua sulla faccia, rimanere così per delle ore. Per tutto l'inverno, forse.
Vieni qui, ora, e abbracciami.