[Caronte] Pagine di mondi
Posted: Tue Jan 26, 2021 8:11 pm
Pagine di mondi
Racconto migrato:
L'ultimo arrivato
Racconto commentato:
Un altro addio
C’è una novità a scuola: a un mese dall'inizio, è arrivato un nuovo compagno. È alto come me, cioè molto, dato che sono nell’ultimo banco.
E infatti ce l’ho vicino io.
Prima, però, il maestro ce l’ha presentato, e intanto gli teneva la mano sulla spalla, perché era spaesato:
"Ecco Amir, il vostro nuovo compagno. Viene dal Kenia ed è stato adottato due anni fa. La sua famiglia si è appena trasferita qui.” Tutti gi abbiamo detto: “Ciao Amir!” e lui ha fatto un sorriso timido.
È passato un mese e siamo amici. Voglio dire che anche con gli altri vado d’accordo, ma con lui mi faccio più del ridere e quindi sto più bene.
Ricordo che all’inizio era timido e pauroso: cercava di farsi piccolo nel banco. Forse non voleva farsi notare.
Poi, teneva le mani nere aperte sul foglio grande dell’album da disegno bianco.
Le apriva al massimo, distanziando più che poteva tutte e cinque le dita, di tutte e due le mani.
Poi mi guardava di sottecchi e le girava, per farmi vedere che sotto erano rosa.
Un giorno, nell’intervallo, gli ho detto che se uno lo incontrava di notte, nudo, non se ne accorgeva nemmeno perché non lo vedeva (era uno scherzo). Ma lui è stato più in gamba di me, perché mi ha risposto: “Non se rido” e mi ha mostrato la sua dentatura bianchissima splendente.
Ci siamo messi a ridere da piegarci in due. Io gli ho messo in mano il pennarello nero e gli ho detto:
“Allora, se non vuoi farti vedere di notte e vuoi ridere lo stesso, passati questo sui denti, prima!”
Amir ha voluto provare. Detto fatto, è andato in bagno ed è tornato coi denti neri.(Anche se si capiva che con la saliva un po’ veniva via).
Il maestro se n'è accorto e l’ha mandato a lavarsi; poi gli ha messo una nota sul registro. Io ho detto che era anche colpa mia e mi sono preso la nota che mi spettava.
Nel doposcuola, facciamo i compiti insieme: lui si impegna molto a migliorare il suo italiano. E poi, coi suoi genitori è facilitato; non come Jerry, il cinesino, che a casa parla solo cinese. Come può imparare bene l’italiano? Glielo abbiamo detto tutti. Lui ha risposto che deve ancora imparare bene il cinese. Dev’essere vero. Io l’ho visto scritto, con tutti quei segni strani, e l’ho sentito parlare. Come faranno a capirsi? Mah!
Però lui non piace a tutti. Lucio Bassi, di quinta A, un giorno in cortile gli ha detto, piano per farsi sentire solo da lui: “Negro che puzzi, cosa fai qui?” Lui non si è scomposto e gli ha detto: “Bianco non lavato, si dice slavato a casa tua? Sai, sono nuovo.” (Qualcuno l’aveva premunito su come rispondere a certa gente.)
Amir mi parla degli elefanti e dei leoni dell’Africa: per definirli dice mkuu che vuol dire “maestoso”, come una maestà, cioè come un re. E leone si dice Simba, pensa un po’, questa la sapevo. Elefante si dice “tembo” che non c’entra niente, e mamma mama e papà papa, senza l’accento. Voler bene si dice mapenzi.
Ci sono cose che dice che mi fanno pensare più di quelle che mi dicono gli altri compagni.
“La mia mamma è bianca, ma ha lo stesso modo di carezzarmi della mamma nera che non ho più.”
“Il mio cielo di notte nel Kenia fa più luce del tuo e la sabbia del mio paese è tanto bianca che splende. Ma di giorno qui ho meno paura.”
Noi due abbiamo lo stesso colore delle lacrime. Me ne sono accorto quando ci siamo scontrati le teste mentre giocavamo a calcio in cortile. E anche la stessa testa dura!
"Rafiki" mi ha chiamato un giorno. Mi sono girato. Cosa vuol dire? Lasciami indovinare.
Amico? Mi ha fatto il segno dell’ok. Mi piace di più che lui mi chiami Rafiki piuttosto che Aldo.
Anche perché spesso dice “Ado” che nella sua lingua è “rumore”. E se mi lamento, ridendo dice che io sono ado per le sue orecchie.
E poi, sai mamma, noi due ci spieghiamo… i nostri mondi.
Io gli spiego i miei prati
verdi d’erba
che aiuta
il rivoltarmi
come zolla lanciata
a spirale:
coricato,
mani e piedi
allungati
al massimo ,
dal declivio sul ciglio
alla valle;
tra le braccia il mio viso
a parare
del terreno gli sbalzi
e alla fine
da quell’esercizio rapito
soddisfatto mi spazzolo
un po’
i fili d’erba attaccati
ai vestiti
e risalgo il versante e riprovo.
Racconto migrato:
L'ultimo arrivato
Racconto commentato:
Un altro addio
Il compagno di scuola è un africano,
da dove viene? viene da lontano;
le mani nere sopra il foglio bianco,
cerca di farsi piccolo nel banco.
Ma poi si sblocca e usa le matite
come un rustico, rozzo cacciavite;
tira i capelli alla capoclasse
ma strizza l’occhiolino alle ragazze.
Quel giorno che i suoi denti erano neri
brillavano all’unisono i pensieri;
ancora nelle mani il pennarello,
capivo che il mio amico è proprio bello.
Pur se venuta da una bocca strana,
sai mamma! ...lui la voce l’ha italiana!
da dove viene? viene da lontano;
le mani nere sopra il foglio bianco,
cerca di farsi piccolo nel banco.
Ma poi si sblocca e usa le matite
come un rustico, rozzo cacciavite;
tira i capelli alla capoclasse
ma strizza l’occhiolino alle ragazze.
Quel giorno che i suoi denti erano neri
brillavano all’unisono i pensieri;
ancora nelle mani il pennarello,
capivo che il mio amico è proprio bello.
Pur se venuta da una bocca strana,
sai mamma! ...lui la voce l’ha italiana!
C’è una novità a scuola: a un mese dall'inizio, è arrivato un nuovo compagno. È alto come me, cioè molto, dato che sono nell’ultimo banco.
E infatti ce l’ho vicino io.
Prima, però, il maestro ce l’ha presentato, e intanto gli teneva la mano sulla spalla, perché era spaesato:
"Ecco Amir, il vostro nuovo compagno. Viene dal Kenia ed è stato adottato due anni fa. La sua famiglia si è appena trasferita qui.” Tutti gi abbiamo detto: “Ciao Amir!” e lui ha fatto un sorriso timido.
È passato un mese e siamo amici. Voglio dire che anche con gli altri vado d’accordo, ma con lui mi faccio più del ridere e quindi sto più bene.
Ricordo che all’inizio era timido e pauroso: cercava di farsi piccolo nel banco. Forse non voleva farsi notare.
Poi, teneva le mani nere aperte sul foglio grande dell’album da disegno bianco.
Le apriva al massimo, distanziando più che poteva tutte e cinque le dita, di tutte e due le mani.
Poi mi guardava di sottecchi e le girava, per farmi vedere che sotto erano rosa.
Un giorno, nell’intervallo, gli ho detto che se uno lo incontrava di notte, nudo, non se ne accorgeva nemmeno perché non lo vedeva (era uno scherzo). Ma lui è stato più in gamba di me, perché mi ha risposto: “Non se rido” e mi ha mostrato la sua dentatura bianchissima splendente.
Ci siamo messi a ridere da piegarci in due. Io gli ho messo in mano il pennarello nero e gli ho detto:
“Allora, se non vuoi farti vedere di notte e vuoi ridere lo stesso, passati questo sui denti, prima!”
Amir ha voluto provare. Detto fatto, è andato in bagno ed è tornato coi denti neri.(Anche se si capiva che con la saliva un po’ veniva via).
Il maestro se n'è accorto e l’ha mandato a lavarsi; poi gli ha messo una nota sul registro. Io ho detto che era anche colpa mia e mi sono preso la nota che mi spettava.
Nel doposcuola, facciamo i compiti insieme: lui si impegna molto a migliorare il suo italiano. E poi, coi suoi genitori è facilitato; non come Jerry, il cinesino, che a casa parla solo cinese. Come può imparare bene l’italiano? Glielo abbiamo detto tutti. Lui ha risposto che deve ancora imparare bene il cinese. Dev’essere vero. Io l’ho visto scritto, con tutti quei segni strani, e l’ho sentito parlare. Come faranno a capirsi? Mah!
Però lui non piace a tutti. Lucio Bassi, di quinta A, un giorno in cortile gli ha detto, piano per farsi sentire solo da lui: “Negro che puzzi, cosa fai qui?” Lui non si è scomposto e gli ha detto: “Bianco non lavato, si dice slavato a casa tua? Sai, sono nuovo.” (Qualcuno l’aveva premunito su come rispondere a certa gente.)
Amir mi parla degli elefanti e dei leoni dell’Africa: per definirli dice mkuu che vuol dire “maestoso”, come una maestà, cioè come un re. E leone si dice Simba, pensa un po’, questa la sapevo. Elefante si dice “tembo” che non c’entra niente, e mamma mama e papà papa, senza l’accento. Voler bene si dice mapenzi.
Ci sono cose che dice che mi fanno pensare più di quelle che mi dicono gli altri compagni.
“La mia mamma è bianca, ma ha lo stesso modo di carezzarmi della mamma nera che non ho più.”
“Il mio cielo di notte nel Kenia fa più luce del tuo e la sabbia del mio paese è tanto bianca che splende. Ma di giorno qui ho meno paura.”
Noi due abbiamo lo stesso colore delle lacrime. Me ne sono accorto quando ci siamo scontrati le teste mentre giocavamo a calcio in cortile. E anche la stessa testa dura!
"Rafiki" mi ha chiamato un giorno. Mi sono girato. Cosa vuol dire? Lasciami indovinare.
Amico? Mi ha fatto il segno dell’ok. Mi piace di più che lui mi chiami Rafiki piuttosto che Aldo.
Anche perché spesso dice “Ado” che nella sua lingua è “rumore”. E se mi lamento, ridendo dice che io sono ado per le sue orecchie.
E poi, sai mamma, noi due ci spieghiamo… i nostri mondi.
Io gli spiego i miei prati
verdi d’erba
che aiuta
il rivoltarmi
come zolla lanciata
a spirale:
coricato,
mani e piedi
allungati
al massimo ,
dal declivio sul ciglio
alla valle;
tra le braccia il mio viso
a parare
del terreno gli sbalzi
e alla fine
da quell’esercizio rapito
soddisfatto mi spazzolo
un po’
i fili d’erba attaccati
ai vestiti
e risalgo il versante e riprovo.
Lui mi spiega
le sue giraffe - i leoni, i ruggiti
da gelarti il sangue di striscio
(senti dire dai grandi)
le sue dune e i granelli
di sabbia:
grandi numeri come le stelle;
ci sprofondi al ginocchio
e ti sferza e ti sforza
il cammino
ché la duna ti afferra
nei piedi,
non si lascia saltare;
e la notte
(senti dire dai grandi)
quello spazio di cielo ti parla
di misteri in abissi di luce.
le sue giraffe - i leoni, i ruggiti
da gelarti il sangue di striscio
(senti dire dai grandi)
le sue dune e i granelli
di sabbia:
grandi numeri come le stelle;
ci sprofondi al ginocchio
e ti sferza e ti sforza
il cammino
ché la duna ti afferra
nei piedi,
non si lascia saltare;
e la notte
(senti dire dai grandi)
quello spazio di cielo ti parla
di misteri in abissi di luce.