Missione a Fort Apache

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Missione a Fort Apache

Uscii dal comando pensieroso: brutta rogna, come sempre.
Sellai subito il fedele Bernardo e mi diressi verso l’uscita. Accanto al portone c’era Alce Avariato, il nostro scout meteorologo.
- Che previsioni, Alce?
Lo scout si palpò il nervo sciatico, controllò la lingua con uno specchietto e appoggiò l’orecchio destro sulla pancia del cavallo.
- Ebbene?
- Niente buono, capo: una profonda depressione con minimo barico di 980 hectoPascal centrato sulla Patagonia determina marcata instabilità, con intense precipitazioni associate a rilevanti fenomeni elettrici nella bassa troposfera.
- Sarebbe a dire?
- Pioggia di Manitù.
- Ma Fort Apache è in Patagonia?
- No, capo.
- Allora vorresti dirmi che tempo farà da qui a Fort Apache, prima che ti scarichi addosso la mia colt? - feci con amabilità.
- Sereno o poco nuvoloso, venti deboli dai quadranti orientali, mari...
- Grazie, Alce.
- Dovere, capo.
Presi il Grande Raccordo delle Praterie fino all’uscita 27, Casal Bruciato-Fort Apache. Qui la viabilità si complica per via dei sensi unici nei canyon e degli apache che torturano, ammazzano, scuoiano e scalpano qualunque cosa si muova.
Ma noi ranger siamo vecchie volpi: mi camuffai da venditore di saponi e deodoranti, unica categoria di cui essi abbiano invincibile terrore.
Arrivai a un quadrivio in cui la solita teppaglia aveva bruciato i cartelli indicatori e chiesi a un anziano mescalero che fumava sotto un cactus:
- Per Fort Apache?
- Vada a destra, poi la prima a sinistra, prenda il Canyon del Maiale Ferito e salga per il Passo dei Tre Impiccati, poi le conviene chiedere.
Seguii le indicazioni del vecchio tossico, entrai nel canyon, finii il maiale a fucilate e presi a salire verso il passo.
Giunto sul posto, qualcosa non quadrava: da tre forche pendevano altrettanti scheletri, ma ce n’era una quarta con un cadavere quasi fresco.
Guardai meglio e lo riconobbi: il mio collega Lone, inviato al forte col mio stesso incarico tre giorni prima, ecco perché non vi era mai arrivato.
- Cazzo - riflettei concisamente.
Povero vecchio Lone, sempre da solo, con quella dannata musica a stordirlo continuamente… mah, pazienza, stiamo in campana. Comunque il travestimento funzionava, finora gli apache mi avevano evitato come il diavolo.
Mi guardai intorno, ecco i cartelli: “Passo dei Quattro Impiccati -1301 m s.l.m.”, però, che solerzia, avevano già aggiornato la segnaletica. “Fort Apache (via relativamente sicura) 38 miglia”, “Fort Apache (via infestata da scorpioni, puma e apache) 28 miglia”.
Andavo di fretta, presi la via breve. Per fortuna Bernardo, oltre che sordomuto, è anche analfabeta e non fece storie.
Facendomi largo con mestiere tra scorpioni, puma e apache giunsi nella misteriosa Foresta degli Elfi, che percorsi in discesa al gran galoppo, investendone mortalmente cinque o sei; sapete come sono gli elfi: vi si buttano sotto all’ultimo istante, non c’è modo di evitarli.
La foresta fini, nuovo cartello: “Villaggio degli Invisibili - Benvenuti”. Dovevo chiedere la strada, ma non c’era un cane, un bel problema. Ma è qui che si apprezza l’addestramento dei ranger: estrassi le pistole e sparai dodici colpi ad altezza d’uomo ruotando su me stesso di trenta gradi a ogni colpo, a coprire tutto il cerchio azimutale.
Gran cosa la statistica, un urlo disumano risuonò dal nulla.
- Scusi, Fort Apache?
- Pezzo di cornuto, bastava chiedere, sei miglia a nord!
- Grazie mille, arrivederci - questi Invisibili sono un po’ rozzi ma in fondo brava gente, spronai verso nord.
Eccomi infine al forte, suonai al citofono, rispose una fitta scarica di fucileria:
- Via di qua, rompipalle! Non ci servono né sapone né deodoranti.
- Fermi, sono io! Il Ranger Senzanome!
Il maggiore O’ Mysun, comandante del forte, era un gentiluomo irlandese, il tipo più somigliante a un necrologio che avessi mai visto:
- Caro ranger, finalmente! Solo lei può salvarci.
- Be’, non so, speriamo.
- Non faccia il modesto, lei è una leggenda, Ranger senza nome. A proposito, mi tolga una curiosità, è una vita che me lo chiedo: qual è il suo vero nome?
- Come sarebbe? Senzanome, no? Carlo Azeglio Senzanome.
- Carlo Azeglio?
- Perché? Non le piace?
- No, sì, non è male, suona autorevole; e da dove hanno origine i Senzanome, la sua illustre famiglia?
- Lei non conosce la storia della mia sventurata stirpe?
- No, a dire il vero.
- Sappia dunque che un’oscura maledizione grava sui Senzanome dalla notte dei tempi: da secoli e secoli, fin da quando si ha notizia del nostro casato, ogni mio antenato, giunto a ottanta, novanta, cento anni o più, muore. Non c’è scampo, non se n’è mai salvato uno.
- Cosa mi dice, mio caro, è terribile! D’altronde che vuol farci, cose che capitano, veniamo a noi. Abbiamo prove certe che nel forte si annida un traditore: qualcuno trama nell’ombra e ha già tentato più volte di aprire le porte nottetempo per far entrare gli apache e massacrarci tutti; per fortuna le sentinelle le hanno sempre richiuse in tempo, ma non hanno mai sorpreso il colpevole.
- Mm, caso difficile; questi massacratori sono gente astuta, mimetici come lepri della tundra, felpati come leopardi sulla moquette, subdoli e bastardi come avvocati delle steppe. Bisogna agire con circospezione, studiare un piano, vediamo un po’: se cominciassimo a fucilare qualcuno a caso? Potrebbe gettare nel panico il colpevole.
- Mah, non so, mi sembra un po’ indelicato verso i soldati, non ha un’idea alternativa?
- Avete già torturato qualcuno?
- Be’, certo, tutti quanti, me compreso.
- E chi ha confessato?
- Tutti, è ovvio, sotto tortura uno ammette qualsiasi cosa; io ho ammesso di aver fatto a pezzi mia moglie, ma rimanga tra noi.
- E le guide indiane?
- Loro no, è risaputo che un indiano non confessa mai, neanche sotto tortura.
- Quante sono?
- Tre.
- I loro nomi?
- Coyote Blu, Caribù Pazzo, Suzuki Grigio.
- Bene, bene, forse siamo sulla pista giusta, uno dei tre nomi m’insospettisce molto.
- No, davvero? Quale?
- È ancora presto, non voglio illuderla. Li convochi subito, uno per volta.
Entrò il primo, lo affrontai senza giri di parole: - Coyote, sei la spia?
- No, capo, te lo giuro su quanto ho di più caro.
- E cos’hai di più caro?
- In effetti sono nullatenente.
- Va bene, puoi andare.
Entrò Caribù, all’identica domanda cominciò a devastare tutto e lo congedammo.
Arrivò Suzuki: - Qual è il tuo piatto preferito?
- Salmone crudo, capo.
- E la bevanda?
- Tè verde alla nafta.
- Allora, ranger? - mi fece il maggiore, quando fummo di nuovo soli.
- Intravedo la soluzione, ma ho ancora qualche dubbio, riconvochiamoli tutti insieme.
- Signori, ho un’ultima domanda a testa da farvi. Cominciamo da te, Coyote: cos’è quella lunga striscia rossastra che hai all’attaccatura dei capelli?
- Una cicatrice, capo, fui scalpato da un frate cappuccino tanti anni fa.
- Tu, Caribù, perché non usi psicofarmaci?
In risposta mi sferrò un diretto al naso, di cui presi nota mentalmente mentre svenivo.
- Suzuki, perché nafta e non benzina?
- Perché costa meno.
- Dunque, ricapitolando: dicevi, Coyote, che quella è una vecchia cicatrice, ma è rossastra, una cicatrice alla lunga diventa bianca.
- Ecco, capo, ho detto una piccola bugia: quello è il mio colorito naturale, ma non mi è mai piaciuto, mi dipingo di blu per vanità.
- Perché proprio di blu?
- Perché è il mio Periodo Blu e poi mi piace Modugno.
- E Bach?
- Be’, sì, anche Bach.
- Ah, ci sei cascato, coglionaccio! - Coyote, ti smaschero ufficialmente: sei una spia e un traditore!
- No! Era lui, dunque? Ma come fa a dirlo? - fece il buon O’ Mysun.
- Mio caro maggiore, è evidente: gli indiani hanno al massimo la quinta elementare. Già era sospetto che mi si venisse a parlare di Picasso e Modugno, ma che a un indiano piaccia Bach non lo crederebbe mia nonna. Questa altri non è che una coltissima spia tedesca al soldo degli apache, venga pertanto fucilata all’alba dietro il convento dei Carmelitani Scalzi!
- Ma qui non abbiamo conventi.
- Fa niente, l’ho detto così, per fare un po’ di scena: fucilatelo nelle latrine.
Lasciai Fort Apache tra gli applausi e spronai verso nuove mirabolanti avventure.

Re: Missione a Fort Apache

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Ero incappato diverso tempo fa in questo tuo racconto @massimopud , ma poi mi era sfuggito di mente. L'ho ripescato e devo dire che è degno dei Monty Python, nel loro periodo di massimo splendore.
Vorrei fare un commento approfondito per postare ma sarà un'impresa ardua, mi sembra abbastanza perfetto, ci provo lo stesso. Vorrà dire che mi corrigerai tu, se sbaglio qualcosa.

Partirei dal titolo, che mi sembra un omaggio al grande cinema di John Ford.
massimopud ha scritto: massimopudUscii dal comando pensieroso: brutta rogna, come sempre.
Sellai subito il fedele Bernardo e mi diressi verso l’uscita. Accanto al portone c’era Alce Avariato, il nostro scout meteorologo.
  Parte benissimo, lo scout meteorologo...
Fa anche pensare, l'uomo bianco che sfrutta le capacità degli indiani per un proprio tornaconto. Mi sembra che ritorni più avanti con le guide indiane. Sottende anche un messaggio abbastanza drammatico.
Anche il nome Alce Avariato non mi sembra del tutto casuale. Forse ha a che fare con un bel problema per quei tempi: la conservazione delle carni. Immagino che non ci fossero congelatori e solo con la maestria e la tradizione si poteva assolvere con l'esperienza alla conservazione delle carni. Alci e bisonti avariati credo che fossero comune trovarne.
massimopud ha scritto: Presi il Grande Raccordo delle Praterie fino all’uscita 27, Casal Bruciato-Fort Apache. Qui la viabilità si complica per via dei sensi unici nei canyon e degli apache che torturano, ammazzano, scuoiano e scalpano qualunque cosa si muova.
Ma noi ranger siamo vecchie volpi: mi camuffai da venditore di saponi e deodoranti, unica categoria di cui essi abbiano invincibile terrore.
Arrivai a un quadrivio in cui la solita teppaglia aveva bruciato i cartelli indicatori e chiesi a un anziano mescalero che fumava sotto un cactus:
- Per Fort Apache?
- Vada a destra, poi la prima a sinistra, prenda il Canyon del Maiale Ferito e salga per il Passo dei Tre Impiccati, poi le conviene chiedere.
Seguii le indicazioni del vecchio tossico, entrai nel canyon, finii il maiale a fucilate e presi a salire verso il passo.
Giunto sul posto, qualcosa non quadrava: da tre forche pendevano altrettanti scheletri, ma ce n’era una quarta con un cadavere quasi fresco.
Guardai meglio e lo riconobbi: il mio collega Lone, inviato al forte col mio stesso incarico tre giorni prima, ecco perché non vi era mai arrivato.
  Semplicemente fantastico!
 Hai la capacità di fare quello che vuoi con la scrittura. Forse...potrebbe essere un'ingenuità il fatto che il collega Lone sia stato impiccato? L'impiccagione è più una pratica dell'esercito americano che degli Apache, credo.
massimopud ha scritto: Povero vecchio Lone, sempre da solo, con quella dannata musica a stordirlo continuamente…
Mi sfugge il riferimento musicale..
massimopud ha scritto: Comunque il travestimento funzionava, finora gli apache mi avevano evitato come il diavolo.
A questo punto il diavolo mi sembra scontato come figura da evitare..
massimopud ha scritto: Mi guardai intorno, ecco i cartelli: “Passo dei Quattro Impiccati -1301 m s.l.m.”, però, che solerzia, avevano già aggiornato la segnaletica. “Fort Apache (via relativamente sicura) 38 miglia”, “Fort Apache (via infestata da scorpioni, puma e apache) 28 miglia”.
Ci sarebbero anche i serpenti a sonagli che non scherzano.
massimopud ha scritto: Facendomi largo con mestiere tra scorpioni, puma e apache giunsi nella misteriosa Foresta degli Elfi, che percorsi in discesa al gran galoppo, investendone mortalmente cinque o sei; sapete come sono gli elfi: vi si buttano sotto all’ultimo istante, non c’è modo di evitarli.
Lo so, lo so. Quelli sopravvissuti li ho portati a un mercatino dell'usato.
massimopud ha scritto: La foresta fini,
Finalmente! Un piccolo refuso.
massimopud ha scritto: nuovo cartello: “Villaggio degli Invisibili - Benvenuti”. Dovevo chiedere la strada, ma non c’era un cane, un bel problema. Ma è qui che si apprezza l’addestramento dei ranger: estrassi le pistole e sparai dodici colpi ad altezza d’uomo ruotando su me stesso di trenta gradi a ogni colpo, a coprire tutto il cerchio azimutale.
Gran cosa la statistica, un urlo disumano risuonò dal nulla.
- Scusi, Fort Apache?
- Pezzo di cornuto, bastava chiedere, sei miglia a nord!
- Grazie mille, arrivederci - questi Invisibili sono un po’ rozzi ma in fondo brava gente, spronai verso nord.
Eccomi infine al forte, suonai al citofono, rispose una fitta scarica di fucileria:
- Via di qua, rompipalle! Non ci servono né sapone né deodoranti.
Grande, grande, grande.
massimopud ha scritto: - Sappia dunque che un’oscura maledizione grava sui Senzanome dalla notte dei tempi: da secoli e secoli, fin da quando si ha notizia del nostro casato, ogni mio antenato, giunto a ottanta, novanta, cento anni o più, muore. Non c’è scampo, non se n’è mai salvato uno.
Anche questa fantastica.

Un racconto mirabolante. Mescoli con sapienza e invenzione fatti ed eventi in maniera surreale e demenziale, ma con profonde riflessioni tra le righe.

Difficile trovare difetti come difficile è tenere alta la qualità dell'inventiva, e ci riesci alla grande. Anche la scrittura mi sembra ottima.
Forse ma forse, nel finale c'è qualche battuta meno brillante rispetto alla media altissima.
La battuta su Modugno e quella della quinta elementare degli indiani. Ma entriamo in una sfera del tutto personale.
Con il citare le guide indiane (fantastici i nomi), delinei un passaggio che nella realtà dev'essere stato drammatico, come ho detto all'inizio. Mi sembra di aver letto di qualche evento realmente accaduto. Indiani che per disperazione hanno tradito il loro popolo, manipolati anche dall'alcol. Nel tuo caso si prospetta l'inverso: una spia a favore degli indiani che a istinto mi sembrerebbe più improbabile poiché frutto di una mente subdola tipica dei conquistatori.
Non posso che rinnovare i complimenti e leggere altre tue cose.

Re: Missione a Fort Apache

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@Kasimiro   Ehilà, grazie per aver riesumato questo vecchio racconto! Era un po' una presa in giro dei film western vecchia maniera, o anche dei fumetti vecchia maniera, in cui i bianchi erano i buoni e gli indiani (o nativi, come si dice oggi) quelli brutti, sporchi e cattivi. 
Da qui i vari cliché sull'ignoranza, sulla scarsa igiene, etc., ormai politicamente scorrettissimi, ma è solo per ridere e poi la presa in giro riguarda anche la dabbenaggine del comandante del forte, le assurdità del ranger e della sua stirpe, etc.
Kasimiro ha scritto: dom giu 06, 2021 10:57 pmMi sfugge il riferimento musicale..
Si riferisce al vecchio cartone animato Lone Ranger, che aveva come sigla e come tema di sottofondo un po' ossessivo la musica dell'ouverture del Guglielmo Tell di Rossini (ovviamente all'epoca in cui lo guardavo io non sapevo niente né di Rossini né di ouverture, per me era la musichetta di Lone Ranger).
Kasimiro ha scritto: dom giu 06, 2021 10:57 pmForse ma forse, nel finale c'è qualche battuta meno brillante rispetto alla media altissima.
La battuta su Modugno e quella della quinta elementare degli indiani. Ma entriamo in una sfera del tutto personale.
Sì, sono d'accordo, nel finale qualcosa si poteva migliorare, ma si sa che il finale è quasi sempre la parte più rognosa da sistemare.

Grazie mille per l'apprezzamento, a risentirci.
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