Precarietà e follia
Posted: Thu Jan 21, 2021 12:15 pm
(ex WD)
Ero sdraiata sul prato, leggevo.
Ora una nebbia impalpabile sfoca ogni cosa.
Sento richiami concitati, gente mi si affanna intorno, qualcuno parla di vittime e bombe, mentre una luce insistente lampeggia davanti alle mie pupille.
Ascolto domande rivolte a me, altre le fa mia madre all'uomo che mi prende il polso. Non ci sono risposte da parte mia, non ce ne sono nemmeno per mia madre.
Se ne vanno immagini e richiami, e una quiete mai provata m'invade; un silenzio che per la prima volta – comprendo – non ha le note della solitudine.
Non so dove mi trovo, ma i giardini di Kuekenhof sono niente al confronto, addirittura ridicoli quelli di Monet.
Il prato dove stavo distesa era tutt'altro. Dovrei chiedermi, allora, da dove vengono questi nuovi colori e cos'è questo sbocciare di luce!?
Il corpo è deliziato dall'abbraccio della natura, qualcosa di misterioso e mistico insieme.
Non ho più occhi, ma scopro di vedere, non ho più orecchie e sento ugualmente. Con lo stordimento di un risveglio comincio a saggiare questa atmosfera quieta.
Ogni passo mi sorprende, e la leggerezza che avverto si tramuta veloce in libertà.
Avanzo.
Avverto un crescendo di felicità che mi ricorda l'infanzia, quando spalancavo gli occhi su tutte le cose più "grandi" di me.
Riconosco l'onniscienza e, impressionata, non riesco a spiegarla neppure a me stessa; o forse sì, è come vedere case senza pareti, posso scoprire ogni angolo, ogni stoviglia, ogni quadro sospeso. È questa la percezione del mondo che adesso mi raggiunge. Ogni cosa mi è chiara, tristemente chiara. Eppure sento che potrei parlarne ad oltranza senza riuscire a far comprendere nulla a chi è lontano da qui.
Tra un'infinità di specie di alberi, fiori..., diverse per forme e altezze, si snoda un sentiero, è agevole, lo percorro. Progredisco nello stupore. Emozionata mi addentro in una terra nuova e che sento più mia.
Cos'era dunque il mio corpo?
La gabbia che mi teneva ancorata, suppongo. Che strano, in essa cercavo la mia libertà, non potevo immaginare che lei esistesse, invece, lontano dal corpo: incorruttibile e bella.
Il telo, che oscurava tutto ciò, è caduto.
È questa, dunque, la nostra vera natura?
Sono vita in essenza, e in questo giardino immenso vivrò in eterno.
Non ho voglia neppure di voltarmi indietro.
Della vita, ricordo, solo precarietà e follia.
Ero sdraiata sul prato, leggevo.
Ora una nebbia impalpabile sfoca ogni cosa.
Sento richiami concitati, gente mi si affanna intorno, qualcuno parla di vittime e bombe, mentre una luce insistente lampeggia davanti alle mie pupille.
Ascolto domande rivolte a me, altre le fa mia madre all'uomo che mi prende il polso. Non ci sono risposte da parte mia, non ce ne sono nemmeno per mia madre.
Se ne vanno immagini e richiami, e una quiete mai provata m'invade; un silenzio che per la prima volta – comprendo – non ha le note della solitudine.
Non so dove mi trovo, ma i giardini di Kuekenhof sono niente al confronto, addirittura ridicoli quelli di Monet.
Il prato dove stavo distesa era tutt'altro. Dovrei chiedermi, allora, da dove vengono questi nuovi colori e cos'è questo sbocciare di luce!?
Il corpo è deliziato dall'abbraccio della natura, qualcosa di misterioso e mistico insieme.
Non ho più occhi, ma scopro di vedere, non ho più orecchie e sento ugualmente. Con lo stordimento di un risveglio comincio a saggiare questa atmosfera quieta.
Ogni passo mi sorprende, e la leggerezza che avverto si tramuta veloce in libertà.
Avanzo.
Avverto un crescendo di felicità che mi ricorda l'infanzia, quando spalancavo gli occhi su tutte le cose più "grandi" di me.
Riconosco l'onniscienza e, impressionata, non riesco a spiegarla neppure a me stessa; o forse sì, è come vedere case senza pareti, posso scoprire ogni angolo, ogni stoviglia, ogni quadro sospeso. È questa la percezione del mondo che adesso mi raggiunge. Ogni cosa mi è chiara, tristemente chiara. Eppure sento che potrei parlarne ad oltranza senza riuscire a far comprendere nulla a chi è lontano da qui.
Tra un'infinità di specie di alberi, fiori..., diverse per forme e altezze, si snoda un sentiero, è agevole, lo percorro. Progredisco nello stupore. Emozionata mi addentro in una terra nuova e che sento più mia.
Cos'era dunque il mio corpo?
La gabbia che mi teneva ancorata, suppongo. Che strano, in essa cercavo la mia libertà, non potevo immaginare che lei esistesse, invece, lontano dal corpo: incorruttibile e bella.
Il telo, che oscurava tutto ciò, è caduto.
È questa, dunque, la nostra vera natura?
Sono vita in essenza, e in questo giardino immenso vivrò in eterno.
Non ho voglia neppure di voltarmi indietro.
Della vita, ricordo, solo precarietà e follia.