Precarietà e follia

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(ex WD)

Ero sdraiata sul prato, leggevo.
Ora una nebbia impalpabile sfoca ogni cosa.
Sento richiami concitati, gente mi si affanna intorno, qualcuno parla di vittime e bombe, mentre una luce insistente lampeggia davanti alle mie pupille.
Ascolto domande rivolte a me, altre le fa mia madre all'uomo che mi prende il polso. Non ci sono risposte da parte mia, non ce ne sono nemmeno per mia madre.
Se ne vanno immagini e richiami, e una quiete mai provata m'invade; un silenzio che per la prima volta – comprendo – non ha le note della solitudine.
Non so dove mi trovo, ma i giardini di Kuekenhof sono niente al confronto, addirittura ridicoli quelli di Monet.
Il prato dove stavo distesa era tutt'altro. Dovrei chiedermi, allora, da dove vengono questi nuovi colori e cos'è questo sbocciare di luce!?
Il corpo è deliziato dall'abbraccio della natura, qualcosa di misterioso e mistico insieme.
Non ho più occhi, ma scopro di vedere, non ho più orecchie e sento ugualmente. Con lo stordimento di un risveglio comincio a saggiare questa atmosfera quieta.
Ogni passo mi sorprende, e la leggerezza che avverto si tramuta veloce in libertà.
Avanzo.
Avverto un crescendo di felicità che mi ricorda l'infanzia, quando spalancavo gli occhi su tutte le cose più "grandi" di me.
Riconosco l'onniscienza e, impressionata, non riesco a spiegarla neppure a me stessa; o forse sì, è come vedere case senza pareti, posso scoprire ogni angolo, ogni stoviglia, ogni quadro sospeso. È questa la percezione del mondo che adesso mi raggiunge. Ogni cosa mi è chiara, tristemente chiara. Eppure sento che potrei parlarne ad oltranza senza riuscire a far comprendere nulla a chi è lontano da qui.
Tra un'infinità di specie di alberi, fiori..., diverse per forme e altezze, si snoda un sentiero, è agevole, lo percorro. Progredisco nello stupore. Emozionata mi addentro in una terra nuova e che sento più mia.
Cos'era dunque il mio corpo?
La gabbia che mi teneva ancorata, suppongo. Che strano, in essa cercavo la mia libertà, non potevo immaginare che lei esistesse, invece, lontano dal corpo: incorruttibile e bella.
Il telo, che oscurava tutto ciò, è caduto.
È questa, dunque, la nostra vera natura?
Sono vita in essenza, e in questo giardino immenso vivrò in eterno.
Non ho voglia neppure di voltarmi indietro.

Della vita, ricordo, solo precarietà e follia.

Re: Precarietà e follia

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Ciao @Adel J. Pellitteri
Devo dire che il titolo mi ha tratto in inganno facendomi immaginare qualcosa di molto diverso (anche a causa della mia deformazione professionale). Confesso che durante la prima lettura mi sono perso, poi, all'ultima riga, disinnescato il tema della follia, sono tornato alla prima riga che avevo del tutto sottovalutato e che invece, se ho capito bene, è la chiave di interpretazione di tutto il testo.
Ricomincio da capo e ora tutto torna, e torna anche bene.
Forse l'unico rimprovero, si fa per dire, sta in quel titolo che non riesce a instradare il lettore nel tema che stai svolgendo.
Entrando più nel merito e tornando a parlare di follia, farei attenzione a questo concetto.
Cos'era dunque il mio corpo?
La gabbia che mi teneva ancorata, suppongo. Che strano, in essa cercavo la mia libertà, non potevo immaginare che lei esistesse, invece, lontano dal corpo: incorruttibile e bella.
Se vogliamo mantenere una buona salute mentale, quello è un confine che non andrebbe superato se non nel breve momento della lettura, diversamente si trasforma in un'esperienza psicotica.
In fondo, in modo circolare, sono tornato a parlare di follia, probabilmente dando un significato diverso da quello che hai voluto dare con la tua conclusione, ma spesso i folli pensano che gli altri siano tutti matti. Chissà chi ha ragione?
Comunque, se oltre al tema della lettura ti interessa anche il tema della follia, ho riportato qui una discussione sul tema aperta tanti anni fa.

Re: Precarietà e follia

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Grazie @Poldo per il bel commento. In effetti il problema titolo mi era stato già fatto notare.
Ma come hai detto tu: tornando alla prima frase, diventa più comprensibile. Non parlo dell'alienazione mentale della protagonista ma dell'umanità terrena.
Trama: una ragazza sta leggendo distesa su un prato. Scoppia una bomba e muore. Non ha la percezione dolorosa della morte ma di un risveglio in un'altra dimenzione (il paradiso). Si incammina riuscendo a percepirne tutta la meraviglia, arrivando a comprendere, pur senza poterla spiegare del tutto, l'onniscenza. Adesso sa che il corpo è solo una gabbia che conosce più sofferenze che felicità, e del mondo - in virtù della sua esperienza - non prova la mancanza, né l'istinto di voltarsi indietro perché esso è solo "precarietà (una vita che si spezza in un attimo come la sua) e "follia" (folle è il gesto di fare espledere la bomba in un parco).
Grazie infinite per il tuo passaggio
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