La sera in cui cambiò la mia vita

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Questo è uno dei racconti a cui sono più legata. L'ho scritto per un MI di tre anni fa in omaggio a mia madre. Il caso ha voluto che fosse proprio oggi l'anniversario di quell'evento che ha cambiato le nostre vite e mi è sembrato giusto, avendo deciso di riportare qui solo gli scritti a cui tenevo molto, pubblicarlo ora con delle piccole modifiche rispetto ad allora. Il link originale trovate qui.
A Vera, mia madre, che ha sempre creduto fosse possibile

I fiocchi bianchi si rincorrono dall’altra parte del vetro in perfetta sintonia. Li osservo in silenzio, lo sguardo vacuo perso nei soliti pensieri cupi. Sono passati quattro anni e un mese. Quattro anni di battaglie estenuanti, porte sbattute in faccia e parole confortanti che non fanno che accrescere la mia rabbia.
Ogni giorno è uguale al precedente. Per quanto lo desideri con tutta me stessa, la vita si ostina a non cambiare mai il suo percorso. Sono così stanca di combattere.
Per fortuna c’è lei, la mia dolce bambina. Mi basta vedere il suo sorriso per stare subito meglio. Non posso mollare ora. Sono l’unica ad avere speranza. Tutti ormai si sono convinti che sto perdendo tempo. Tutti tranne mio marito.
I medici tacciono. Non sanno più che cosa inventarsi. Alla sua nascita dissero solo che avrebbe avuto un ritardo nello sviluppo. Nessuno mai aveva accennato alla disabilità anche se le prime diagnosi ipotizzavano persino una paralisi cerebrale.
Avevamo consultato diversi specialisti in città e nella capitale, nessuno in grado di stabilire se e quando avrebbe iniziato a camminare. L’ultimo luminare ci aveva persino detto che non era una questione di scienza, dovevamo rivolgerci altrove.
Non credo né in Dio né in ciarlatani che si dicono capaci di guarire l’inguaribile, eppure non c’è stata strada che non abbiamo battuto per aiutare nostra figlia. Quando stai per annegare, ti afferri a qualunque cosa pur di rimanere a galla.
Lei è sempre uguale. Non peggiora, ma nemmeno migliora. Parla però, e anche troppo. È una bambina sveglia e curiosa, molto socievole. In ogni ospedale in cui siamo state finora, e ne abbiamo frequentati parecchi di istituti di riabilitazione, ha sempre trovato amici.
La cosa che mi fa più rabbia è sapere che non era colpa nostra. Sono stata sempre sana, mio marito anche. La gravidanza procedeva benissimo. Se non fosse stato per il comportamento di quell’incosciente dottoressa Marić, la nostra bambina sarebbe venuta al mondo senza alcuna complicazione.
Non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, le sofferenze a cui quella donna mi aveva sottoposto quella notte: schiaffi, percosse, grida, insulti. Non ho mai capito perché di tutto quell'accanimento nei miei confronti. Anche se i lividi non si notano più, sono le lesioni all’anima che rimarginano per ultime, quando e se lo fanno.
Sarebbe bastato un semplice taglio cesareo e avremmo avuto il nostro lieto fine. E invece no, quella donna non ce lo permise. Dopo ore e ore di maltrattamenti, la mazzata finale all'alba. Sento ancora ronzarmi in testa quelle parole orribili: Il mio turno è finito. Non mi interessa né la tua né la vita della tua bambina.
L’ostetrica Olivera continuava a parlarmi, a incoraggiarmi. Aveva già avvisato il primario, sarebbe stato in sala parto a momenti. Andrà tutto bene. Mi aggrappavo alla speranza che mi regalava la sicurezza nella sua voce.
Le immagini non sono nitide, ma ricordo bene quella concitazione intorno al mio corpo. Non c’è tempo da perdere. Dobbiamo tirare fuori subito la bambina altrimenti moriranno entrambe. Capivo che rischiavo la vita, ma non mi importava. Bastava che lei si salvasse.
L’agonia ebbe fine alle sette del mattino. L’ostetrica Olivera mi fece vedere la bambina per alcuni istanti. Era bellissima e così indebolita che dovettero portarla subito in incubatrice. Avrebbe dovuto essere il giorno più bello della mia vita, e invece fu l’inizio di un lungo incubo.
Oggi quella donna orribile continua a lavorare indisturbata nello stesso ospedale. Per fortuna che abitiamo in zone diverse della città. Dovessi incontrarla per caso non so come reagirei. Non credo che sarei capace di farle del male sul serio, però a volte mi capita di sognare di ammazzarla con le mie stesse mani.

L’orologio a pendolo nel corridoio fa nove rintocchi e mi desta all’improvviso dai miei pensieri. Mi giro di scatto e prima di tornare in cucina, dove mi aspetta una montagna di piatti da lavare, passo in soggiorno per dare un’occhiata alla bambina. Anche questa sera siamo sole. Mio marito è spesso assente per lavoro che lo porta a viaggiare per tutta la Jugoslavia. Quando non fa il camionista, soprattutto nei weekend, canta alle feste nuziali.
La mia piccola è seduta sulla sua sedia di polistirene bianco e guarda la televisione. Appena si accorge di me, mi fa un ciao ciao con la manina. A quest’ora trasmettono un quiz che le piace molto. Posso stare tranquilla. Le mando un bacio e torno alle faccende domestiche che non possono più aspettare.
L’acqua scorre lentamente. Lavare i piatti mi rilassa e mi porta a estraniarmi dai ricordi che fanno ancora male. Anche se è dura andare avanti, non smetto mai di lottare. Lo faccio soprattutto per lei. Quando la vedo su quella sedia, da cui osserva come una principessa sul trono il piccolo mondo che la circonda, mi si stringe il cuore dal dolore. Vorrei vederla correre per casa come fanno i suoi coetanei, o suo cugino che ha solo un anno meno di lei.
Ogni volta che ne parlo con mia sorella mi pervade una forte angoscia. Vorrei che si sforzasse di capirmi, di aiutarmi, e invece dice sempre che se fosse stata al mio posto, si sarebbe tolta la vita da un pezzo. Lei che continua ad andare alle feste, a ballare con il marito, e io a passare lunghi periodi con la mia figlia saltando da un istituto di cura all’altro.
Non mi lamento, però. Sono sempre stata più forte di mia sorella. So badare a me stessa. Le mie amiche mi chiamano leonessa per tutte le battaglie che sono riuscita a vincere per dare alla mia bambina una vita normale.
Una vocina mi chiama. Potrei giurare che sia alle mie spalle però so che non è possibile. Ho lasciato la piccola in soggiorno. Non può essere sua la voce che mi chiama mamma. Stringo forte tra le mani il piatto coperto dalle bolle di sapone e tengo gli occhi chiusi. Me la sto immaginando. Alternative non ci sono. Deve per forza essere così.
La voce però insiste. Ha detto chiaramente: mamma, guardami. Non può essere nemmeno la televisione. Riconoscerei la voce della mia bambina tra le mille altre. Apro gli occhi e giro la testa. Fatico a mettere l’immagine al fuoco. Il piatto cade sul parquet e si rompe in tanti piccoli pezzi. Urlo.
Prendo la bambina e la stringo forte a me. Non è possibile che si sia alzata dalla sedia. Non è possibile che sia venuta lì da sola. La strattono, le grido. La confusione si dipinge sul visino rotondo e paffutello. Non ho mai alzato la voce contro di lei.
Le mani mi tremano, tutto il corpo è uno scossone violento. Non può essere che stia lì, di fronte a me, a reggersi sulle sue gambe. Lei non le sente, le gambe. Non le ha mai sentite.
Mi chiama di nuovo e fa un passo, piccolo e incerto però è un passo. Strofino gli occhi con il dorso della mano, li chiudo e poi riapro di nuovo. Lei è sempre lì, in piedi. Leggermente titubante, però in piedi.
La prendo in braccio e ci sediamo sul divano. Ci osserviamo in silenzio per qualche minuto. Mi alzo, la prendo in braccio di nuovo e poi la rimetto a terra. Cadrà. Lei non sa camminare e cadrà. E invece no, il piede destro va avanti, quello sinistro indietro. Avanti. Indietro. Poi cade e io mi spavento, ma dice che non è nulla. È solo stanca. Si addormenta subito.
Alle tre del mattino mi alzo. Non ho chiuso un occhio. Mi avvicino al suo lettino. Lei dorme sorridente. La sveglio e prendo in braccio e poi metto in piedi.
Cadrà, questa volta sicuramente cadrà.
E invece no. Cammina. Mi viene incontro titubante. Ci fondiamo in un abbraccio forte di felicità.
Piccoli Grandi Sognatori

 Without faith, without hope, there can be no peace of mind. [cit.]

Re: La sera in cui cambiò la mia vita

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Ciao @Emy. E' un racconto commovente e ben scritto. Un unico appunto: la negatività della dottoressa e di una sorella che dice alla protagonista che al suo posto si ucciderebbe. E' vero che alla cattiveria umana non c'è limite, ma che questa cattiveria si concentri in due improbabili casi contro la protagonista, già colpita dalla sorte nell'affetto più caro, mi sembra eccessivo, anche se serve ad aumentare il pathos nel racconto che, comunque, trovo molto bello.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: La sera in cui cambiò la mia vita

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Ciao, @Cheguevara. Scusami per la risposta tardiva, è un periodo piuttosto impegnativo.
E' vero che alla cattiveria umana non c'è limite, ma che questa cattiveria si concentri in due improbabili casi contro la protagonista, già colpita dalla sorte nell'affetto più caro, mi sembra eccessivo
Purtroppo, anche se mi duole dirlo, d'improbabile non c'è nulla. Le cose, ahimè, sono andate proprio così come le ho descritte. Avrei potuto "addolcire la pillola", e in quel MI molti commentatori mi fecero le tue stesse obiezioni. Non so dirti perché ho voluto raccontare gli eventi in tutta sincerità, so solo che dopo ho sentito una tale liberazione che mi ha permesso di stare bene con me stessa per la prima volta dopo tanto tempo. Non è sempre facile fare i conti con il proprio passato, però per me la scrittura è spesso terapeutica e mi aiuta non solo a mettere in ordine i ricordi, ma anche a dare voce ai miei sentimenti.
Grazie per essere passato e per aver apprezzato questo racconto autobiografico. Un caro saluto. A rileggerci!
Piccoli Grandi Sognatori

 Without faith, without hope, there can be no peace of mind. [cit.]

Re: La sera in cui cambiò la mia vita

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Emy ha scritto: dom gen 24, 2021 4:16 pm Ciao, @Cheguevara. Scusami per la risposta tardiva, è un periodo piuttosto impegnativo.

Purtroppo, anche se mi duole dirlo, d'improbabile non c'è nulla. Le cose, ahimè, sono andate proprio così come le ho descritte. Avrei potuto "addolcire la pillola", e in quel MI molti commentatori mi fecero le tue stesse obiezioni. Non so dirti perché ho voluto raccontare gli eventi in tutta sincerità, so solo che dopo ho sentito una tale liberazione che mi ha permesso di stare bene con me stessa per la prima volta dopo tanto tempo. Non è sempre facile fare i conti con il proprio passato, però per me la scrittura è spesso terapeutica e mi aiuta non solo a mettere in ordine i ricordi, ma anche a dare voce ai miei sentimenti.
Grazie per essere passato e per aver apprezzato questo racconto autobiografico. Un caro saluto. A rileggerci!
Perdonami. Non immaginavo che il racconto fosse autobiografico. La dottoressa è davvero da uccidere e la sorella da disconoscere (legame di sangue a parte). I conti col passato prima o poi toccano a tutti e non è facile riuscire a farli per iscritto, coinvolgendo il lettore come tu hai saputo fare.
Buona serata.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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