Otto passi
Posted: Mon Jan 18, 2021 11:25 pm
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Otto passi. Il primo all'indietro, poi sinistra, avanti e avanti, un cambio peso sul posto poi ancora avanti col piede sinistro, il settimo a destra poi si conclude con un altro cambio per avere di nuovo il destro libero con cui ricominciare.
Ernesto, seduto al tavolino, seguiva con sguardo attento le coppie che gli passavano davanti al ritmo in quattro quarti di una melodia di Carlos Gardel. Cercava di riconoscere, in quelle veloci sequenze, nei passi che si intrecciavano senza mai scontrarsi, lo schema che aveva imparato alle prime tre lezioni di tango.
Sul tavolino, il tè che aveva ordinato si stava raffreddando nella tazza. Nella borsa che aveva appesa alla spalliera della sedia c'erano le scarpe da ballo che non aveva ancora avuto il coraggio di calzare.
Era stato Giorgio a insistere: “Vedrai che ti piacerà” gli aveva detto, poi aveva continuato con un lungo discorso infarcito qua e là di parole in spagnolo. “Il tango è un pensiero triste che si balla, una storia d'amore che dura tre minuti.”
Di pensieri tristi, Ernesto, ne aveva coltivati parecchi nell'ultimo anno, da quando un tumore al seno gli aveva portato via la sua Giulia; né si sentiva pronto a innamorarsi, nemmeno per tre minuti, ma quel turbinio di gambe che gli scorreva davanti in qualche modo lo affascinava.
In tanti anni di matrimonio, in cui lui e Giulia si erano bastati l'un l'altra, non aveva mai pensato che il ballo potesse entrare nella sua vita; non si era nemmeno mai chiesto se a lei avrebbe fatto piacere uscire qualche volta, frequentare qualche locale. La loro vita era trascorsa in una tranquilla armonia casalinga.
Quando alla prima lezione di tango aveva dovuto abbracciare un'altra donna, Ernesto aveva provato un brivido, si era tutto irrigidito e gli era sembrato di essere perfino arrossito. Per un attimo aveva maledetto Giorgio che lo aveva convinto a provarci, poi si era ripetuto nella testa le sue parole: “Non puoi continuare così, la vita va avanti. Non puoi seppellirti in questa casa nel ricordo di tua moglie.” Aveva sentito il sudore colargli lungo la schiena, si era fatto forza e aveva cominciato a contare gli otto passi immaginando cosa avrebbe pensato Giulia se lo avesse visto in quella situazione.
La sala da ballo si stava riempiendo, le coppie continuavano a vorticare in spazi sempre più angusti, in una sorta di gioco a incastro davvero complicato.
All'ingresso della sala finalmente comparve Giorgio accompagnato da due signore in pelliccia. Si sbracciò per farsi vedere e per dire a gesti che sarebbero arrivati subito dopo aver posato i cappotti al guardaroba. Come promesso, di lì a poco arrivarono al tavolo.
– Ti presento Caterina e Josephine.
Ernesto si sollevò goffamente dalla sedia per stringere la mano alle due nuove conoscenze.
Caterina era bionda, la più alta delle due, un viso affilato e un vestito di seta grigio stile anni trenta. Non avevano ancora finito le presentazioni, ma gli fu subito chiaro che tra lei e Giorgio esisteva un qualche tipo di relazione non meglio definita.
Josephine vestiva un abito scarlatto che metteva in mostra i fianchi larghi e un sostanzioso decoltè, i capelli neri erano acconciati in modo rialzare la sua figura di qualche centimetro, il trucco pesante riprendeva i colori del vestito e dei capelli.
– Allora, come va il tuo battesimo in milonga? – Disse Giorgio dandogli una pacca sulla spalla. – Hai già fatto il cabeceo a qualche seniorita?
– Veramente ti stavo aspettando. – Rispose Ernesto stringendosi nelle spalle. – Non so, ma per queste cosa non mi sento ancora a mio agio.
– Andiamo! Non è difficile. Lasciati andare.
Mentre parlava così, sia Giorgio che le signore presero ad armeggiare per togliersi le scarpe e indossare quelle da ballo.
– Su, dai, non perdiamoci questa tanda.
Giorgio prese la mano di Caterina e la trascinò in mezzo alla pista. Per un po' Ernesto cercò di seguirli con lo sguardo, ma presto si confusero nella folla.
– Lei non ha le scarpe da ballo?
La voce di Josephine lo aveva colpito di lato come un'improvvisa folata di vento.
– Sì, certo, – rispose – ma è che non so... non penso di essere capace. Poi non vorrei pestare i piedi a qualcuno.
– Giorgio ci ha detto che lei è andato a lezione da Carlo e Patrizia: due insegnanti splendidi. C'ero stata anch'io sa?
– Sì, ma ho fatto solo tre lezioni, so contare appena gli otto passi.
– E beh? Quelli sono sufficienti, il resto viene dopo.
Per un attimo Ernesto si fermò a fissare quella donna così particolare. Aveva qualcosa di buffo, di esagerato. Il vestito rosso troppo appariscente, il nero attorno agli occhi, il rossetto vivace e il neo disegnato su una guancia; ma aveva un sorriso aperto e sincero, un'espressione del tutto opposta al fare ieratico della sua amica. Dopotutto gli sembrò una presenza rassicurante.
– Davvero lei vorrebbe ballare con me? – Chiese Ernesto con un po' di meraviglia.
– Dai, svelto, mettiti le scarpe che questa che stanno suonando è una delle mie preferite.
Cercò di cambiarsi le scarpe più in fretta che poteva per non scontentare la sua compagna.
– Possiamo darci del tu? – le chiese.
Lei lo guardò da sotto in su, poi gli offrì la mano.
– Ma dai, non fare il timidone, su, andiamo.
Lo portò al bordo della pista, si fermò, lo guardò negli occhi e spalancò le braccia. Lui la abbracciò delicatamente, ma ancora non si mossero.
– Non così. – disse lei portandoselo più vicino, – Stringimi di più, altrimenti non ti sento.
Ernesto sentì il seno di Josephine premergli sul petto, sentì il suo profumo leggermente acre e i suoi capelli sulla guancia.
– Ora possiamo andare. – Disse lei con un sussurro.
Un passo indietro, poi uno a sinistra... Il ritmo incalzante e la voce calda del bandoneon riempivano l'atmosfera della sala. Entrare nel giro dei ballerini era come tuffarsi nel mare in tempesta. Ernesto, aggrappato a Josephine come un naufrago al relitto, cercava di procedere come meglio poteva. Lei seguiva i suoi movimenti con straordinaria leggerezza, sembrava leggere in anticipo tutte le sue intenzioni, perfino le sue esitazioni.
Il primo brano della tanda terminò. I due ebbero appena il tempo di guardarsi e la musica riprese. Il flusso dei ballerini lo investì come un onda e lui cercò di rimanere a galla. Josephine continuava a seguire i suoi movimenti, ma lui temeva di annoiarla, di non essere all'altezza. Aveva bisogno di un ulteriore rassicurazione.
– Sono uno strazio, non è vero?
Lei non rispose.
– Josephine, ma tu sei francese?
– No, è il tuo amico che mi chiama così, sono italianissima, chiamami Pina se preferisci. Però impara subito una cosa: non si fa conversazione quando si balla. Ascolta la musica e concentrati.
Finì anche il secondo brano e lei gli sorrise come se volesse farsi perdonare quel piccolo rimprovero.
Poi una nota lunga, languida, inconfondibile, introdusse Oblivion. Lei si fece ancora più vicina, appoggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e attese. Il giro nella sala divenne più lento, Ernesto si sentì invadere da tutta la tristezza di quella musica. e anche lui iniziò a muoversi lentamente. Sentì la mano di Josephine accarezzargli la nuca, a quel contatto anche lui provò il desiderio di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, ma non se lo poteva permettere: lui era l'uomo, era lui a dover guidare la danza. Muoversi in quella sala non era più così difficile, era come seguire la corrente della vita. Non pensò più agli otto passi, ma si sentì trascinare in un vortice di struggente malinconia che il suo corpo esprimeva in quel lento movimento.
Sentì sul collo il respiro della sua donna, caldo e profumato. Pensò a Giulia e una lacrima scese lentamente dai suoi occhi.
Otto passi. Il primo all'indietro, poi sinistra, avanti e avanti, un cambio peso sul posto poi ancora avanti col piede sinistro, il settimo a destra poi si conclude con un altro cambio per avere di nuovo il destro libero con cui ricominciare.
Ernesto, seduto al tavolino, seguiva con sguardo attento le coppie che gli passavano davanti al ritmo in quattro quarti di una melodia di Carlos Gardel. Cercava di riconoscere, in quelle veloci sequenze, nei passi che si intrecciavano senza mai scontrarsi, lo schema che aveva imparato alle prime tre lezioni di tango.
Sul tavolino, il tè che aveva ordinato si stava raffreddando nella tazza. Nella borsa che aveva appesa alla spalliera della sedia c'erano le scarpe da ballo che non aveva ancora avuto il coraggio di calzare.
Era stato Giorgio a insistere: “Vedrai che ti piacerà” gli aveva detto, poi aveva continuato con un lungo discorso infarcito qua e là di parole in spagnolo. “Il tango è un pensiero triste che si balla, una storia d'amore che dura tre minuti.”
Di pensieri tristi, Ernesto, ne aveva coltivati parecchi nell'ultimo anno, da quando un tumore al seno gli aveva portato via la sua Giulia; né si sentiva pronto a innamorarsi, nemmeno per tre minuti, ma quel turbinio di gambe che gli scorreva davanti in qualche modo lo affascinava.
In tanti anni di matrimonio, in cui lui e Giulia si erano bastati l'un l'altra, non aveva mai pensato che il ballo potesse entrare nella sua vita; non si era nemmeno mai chiesto se a lei avrebbe fatto piacere uscire qualche volta, frequentare qualche locale. La loro vita era trascorsa in una tranquilla armonia casalinga.
Quando alla prima lezione di tango aveva dovuto abbracciare un'altra donna, Ernesto aveva provato un brivido, si era tutto irrigidito e gli era sembrato di essere perfino arrossito. Per un attimo aveva maledetto Giorgio che lo aveva convinto a provarci, poi si era ripetuto nella testa le sue parole: “Non puoi continuare così, la vita va avanti. Non puoi seppellirti in questa casa nel ricordo di tua moglie.” Aveva sentito il sudore colargli lungo la schiena, si era fatto forza e aveva cominciato a contare gli otto passi immaginando cosa avrebbe pensato Giulia se lo avesse visto in quella situazione.
La sala da ballo si stava riempiendo, le coppie continuavano a vorticare in spazi sempre più angusti, in una sorta di gioco a incastro davvero complicato.
All'ingresso della sala finalmente comparve Giorgio accompagnato da due signore in pelliccia. Si sbracciò per farsi vedere e per dire a gesti che sarebbero arrivati subito dopo aver posato i cappotti al guardaroba. Come promesso, di lì a poco arrivarono al tavolo.
– Ti presento Caterina e Josephine.
Ernesto si sollevò goffamente dalla sedia per stringere la mano alle due nuove conoscenze.
Caterina era bionda, la più alta delle due, un viso affilato e un vestito di seta grigio stile anni trenta. Non avevano ancora finito le presentazioni, ma gli fu subito chiaro che tra lei e Giorgio esisteva un qualche tipo di relazione non meglio definita.
Josephine vestiva un abito scarlatto che metteva in mostra i fianchi larghi e un sostanzioso decoltè, i capelli neri erano acconciati in modo rialzare la sua figura di qualche centimetro, il trucco pesante riprendeva i colori del vestito e dei capelli.
– Allora, come va il tuo battesimo in milonga? – Disse Giorgio dandogli una pacca sulla spalla. – Hai già fatto il cabeceo a qualche seniorita?
– Veramente ti stavo aspettando. – Rispose Ernesto stringendosi nelle spalle. – Non so, ma per queste cosa non mi sento ancora a mio agio.
– Andiamo! Non è difficile. Lasciati andare.
Mentre parlava così, sia Giorgio che le signore presero ad armeggiare per togliersi le scarpe e indossare quelle da ballo.
– Su, dai, non perdiamoci questa tanda.
Giorgio prese la mano di Caterina e la trascinò in mezzo alla pista. Per un po' Ernesto cercò di seguirli con lo sguardo, ma presto si confusero nella folla.
– Lei non ha le scarpe da ballo?
La voce di Josephine lo aveva colpito di lato come un'improvvisa folata di vento.
– Sì, certo, – rispose – ma è che non so... non penso di essere capace. Poi non vorrei pestare i piedi a qualcuno.
– Giorgio ci ha detto che lei è andato a lezione da Carlo e Patrizia: due insegnanti splendidi. C'ero stata anch'io sa?
– Sì, ma ho fatto solo tre lezioni, so contare appena gli otto passi.
– E beh? Quelli sono sufficienti, il resto viene dopo.
Per un attimo Ernesto si fermò a fissare quella donna così particolare. Aveva qualcosa di buffo, di esagerato. Il vestito rosso troppo appariscente, il nero attorno agli occhi, il rossetto vivace e il neo disegnato su una guancia; ma aveva un sorriso aperto e sincero, un'espressione del tutto opposta al fare ieratico della sua amica. Dopotutto gli sembrò una presenza rassicurante.
– Davvero lei vorrebbe ballare con me? – Chiese Ernesto con un po' di meraviglia.
– Dai, svelto, mettiti le scarpe che questa che stanno suonando è una delle mie preferite.
Cercò di cambiarsi le scarpe più in fretta che poteva per non scontentare la sua compagna.
– Possiamo darci del tu? – le chiese.
Lei lo guardò da sotto in su, poi gli offrì la mano.
– Ma dai, non fare il timidone, su, andiamo.
Lo portò al bordo della pista, si fermò, lo guardò negli occhi e spalancò le braccia. Lui la abbracciò delicatamente, ma ancora non si mossero.
– Non così. – disse lei portandoselo più vicino, – Stringimi di più, altrimenti non ti sento.
Ernesto sentì il seno di Josephine premergli sul petto, sentì il suo profumo leggermente acre e i suoi capelli sulla guancia.
– Ora possiamo andare. – Disse lei con un sussurro.
Un passo indietro, poi uno a sinistra... Il ritmo incalzante e la voce calda del bandoneon riempivano l'atmosfera della sala. Entrare nel giro dei ballerini era come tuffarsi nel mare in tempesta. Ernesto, aggrappato a Josephine come un naufrago al relitto, cercava di procedere come meglio poteva. Lei seguiva i suoi movimenti con straordinaria leggerezza, sembrava leggere in anticipo tutte le sue intenzioni, perfino le sue esitazioni.
Il primo brano della tanda terminò. I due ebbero appena il tempo di guardarsi e la musica riprese. Il flusso dei ballerini lo investì come un onda e lui cercò di rimanere a galla. Josephine continuava a seguire i suoi movimenti, ma lui temeva di annoiarla, di non essere all'altezza. Aveva bisogno di un ulteriore rassicurazione.
– Sono uno strazio, non è vero?
Lei non rispose.
– Josephine, ma tu sei francese?
– No, è il tuo amico che mi chiama così, sono italianissima, chiamami Pina se preferisci. Però impara subito una cosa: non si fa conversazione quando si balla. Ascolta la musica e concentrati.
Finì anche il secondo brano e lei gli sorrise come se volesse farsi perdonare quel piccolo rimprovero.
Poi una nota lunga, languida, inconfondibile, introdusse Oblivion. Lei si fece ancora più vicina, appoggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e attese. Il giro nella sala divenne più lento, Ernesto si sentì invadere da tutta la tristezza di quella musica. e anche lui iniziò a muoversi lentamente. Sentì la mano di Josephine accarezzargli la nuca, a quel contatto anche lui provò il desiderio di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, ma non se lo poteva permettere: lui era l'uomo, era lui a dover guidare la danza. Muoversi in quella sala non era più così difficile, era come seguire la corrente della vita. Non pensò più agli otto passi, ma si sentì trascinare in un vortice di struggente malinconia che il suo corpo esprimeva in quel lento movimento.
Sentì sul collo il respiro della sua donna, caldo e profumato. Pensò a Giulia e una lacrima scese lentamente dai suoi occhi.