Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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«Don Libero, la messa è finita. Ho chiuso la sagrestia e anche l'entrata principale: i fedeli sono usciti tutti. Don Saverio è in giro per la comunione agli infermi. Se ha bisogno, sono nella mia camera. Buonanotte».
Senza aspettare risposta, il giovane prete accostò con misurata lentezza la porta della stanza del vecchio parroco per dargli il tempo, se lo avesse voluto, di impartirgli altri ordini. Nessun suono si udì dall'interno, ed egli andò via.
Don Libero chiuse il testo in ebraico del Qoèlet, lo poggiò sul piccolo tavolo lì accanto e vi sistemò sopra gli occhiali da lettura. Si alzò adagio dalla poltrona e infilò sulla tonaca un vecchio cardigan di lana nera. Uscì dalla stanza senza spegnere l'abat-jour e senza inchinarsi, come suo solito, all'immagine della Madonna che stava accanto alla luce dorata.
Scese le scale al buio, un gradino dopo l'altro, lentamente. Entrò in sagrestia e richiuse a chiave la porta dietro di sé; non ebbe bisogno di accendere la luce perché conosceva a memoria ogni centimetro della piccola sala. Arrivò alla porta dalla quale si accedeva all'altare, l'aprì senza difficoltà e chiuse anch'essa alle proprie spalle. Non accese neppure le luci della chiesa: gli era sufficiente il chiarore che vi penetrava attraverso le larghe finestre piombate e copriva di trame lattiginose il maestoso crocifisso di legno appeso alla parete dietro l'altare.

A Don Libero interessava unicamente fissare quel crocifisso. Se le luci perlate dei lampioni e delle case non lo avessero reso visibile ai suoi occhi, se lì dentro vi fossero state le tenebre, per lui non vi sarebbe stata differenza: egli conosceva ogni minuta sporgenza di quel Cristo, ne sentiva il calore e la freddezza, perché molte volte le sue dita si erano addentrate nelle ferite di quei piedi contorti e schiacciati uno sull'altro dai chiodi, ed erano risalite su, fin dove potevano arrivare, a sfiorare le gambe coi nervi in rilievo e le gocce scolpite di sangue e sudore. Poggiò la schiena all'altare e ne fissò il costato.
E l’Eterno disse a Mosè: "Ecco, io verrò a te in una folta nuvola, affinché il popolo oda quand’io parlerò con te, e ti presti fede per sempre".
Il vecchio prete salì con lo sguardo alla testa reclinata da un lato e alle braccia esauste: i suoi occhi indugiarono tra i chiodi che foravano le mani. Le stesse mani delle quali egli aveva ripetuto per tanti anni il gesto sacro di spezzare il pane e versare il vino. Un microcosmo di pazzia è l'uomo, egli pensò, e desiderò in quel momento di non essere mai nato. Era un verme della terra, una lurida bestia infedele. Avrebbe voluto infilarsi le dita nelle orbite, cavarsi fuori gli occhi e tirarli contro quel legno muto. Strapparsi gli ultimi capelli della testa, aprirsi lo sterno e gettare il suo cuore sul costato da cui zampillavano gocce di legno. Dio taceva con lui da decenni, ormai. Anche la più lunga delle notti oscure egli sapeva che aveva avuto una fine: o aveva frainteso le parole di Giovanni della Croce?

«Tu mi ha fatto innamorare di te ch'ero un ragazzo, e per tanti anni mi hai amato» sussurrava Don Libero con rabbia. «Io ti ho servito degnamente, e ti ho amato senza misura. La mia vita era tua, la mia vita è trascorsa nel desiderio di conoscerti. Tu hai cessato di amarmi. Tu non mi hai mai più parlato. Tu non esisti. Io sto per morire, e non troverò le tue braccia ad accogliermi. Tu mi hai ingannato. Io non ho figli, non ho avuto moglie, né una casa. Tu stesso affermi: "Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi". Io vorrei non averti mai conosciuto. I miei genitori morti, i miei fratelli morti, le persone a cui ho voluto bene sono ossa e polvere. Non incontrerò più nessuno di loro, perché non vi è il luogo in cui ti vedrò faccia a faccia. La morte ha l'ultima parola. Io ho ingannato me stesso, e non so come ciò sia potuto accadere. Non vi è luce in me, perché tu non esisti».
Il prete sentì nelle gambe una grande stanchezza. Lentamente si mise seduto e poggiò la schiena dolorante al basamento di marmo bianco dell'altare. Prese il volto nelle mani ed emise un lungo gemito. Il corpo si piegò da una parte ed egli rimase così, accasciato su un lato, tra l'altare e il crocifisso. Il suo piccolo corpo buio si confondeva nel nero della chiesa. Nel pianto stringeva i pugni e li batteva contro le tempie, fino a provare dolore. Poi la vecchiezza ebbe la meglio e un sonno leggero chiuse i suoi occhi.
Vide il prato dove correva bambino e le lenzuola bianche stese al vento d'estate; e dietro di esse, in lontananza, la madre con la cesta del bucato poggiata su un fianco. «Libero! Hai munto la vacca? Porta il latte alla nonna, e poi va' dal babbo: oggi al paese c'è la fiera, ricordi? Mi porti una trina per la toletta, se vedi comare Teresa? Libero! Ti voglio bene!». E vide i denti bianchi nel sorriso e i fratelli intorno a lei, e il cucciolo di cane che gli correva incontro per rotolarsi insieme a lui nel campo, e il sole immenso, e i fiordalisi.


Citazioni nel racconto:

Esodo, 19,9: "E l’Eterno disse a Mosè: "Ecco, io verrò a te in una folta nuvola, affinché il popolo oda quand’io parlerò con te, e ti presti fede per sempre".

"Un microcosmo di pazzia è l'uomo", Mefistofele nel Faust.

Qoèlet, 1,11: "Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi".

Prima Lettera ai Corinzi, 13,12: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia".
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Solita erudizione e tocco poetico di @Ippolita. In alcune parti si respira il tuo studio dei libri sapienziali. Solo una piccola critica (per risultare utile): trovo un filo didascalico il discorso del prete. Per il mio gusto, farei qualcosa di più amaro, ironico, concreto. Bellissimo racconto comunque, nel finale mi si è allargato un sorriso nel cuore. Alla prossima.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Ciao, Domenico, che grande piacere incontrarti qui. Grazie per aver letto e per le tue considerazioni. Hai ragione sull'aspetto didascalico, ma c'è un motivo: il racconto è nato per un contest la cui traccia chiedeva di parlare della perdita della fede. Per questo ho calcato un po' la mano. Forse troppo, come sottolinei. Felice, comunque, che ti sia piaciuto.
Magari fossi esperta di libri sapienzali! Quel poco che so, spesso mi torna alla mente mentre scrivo. Ancora grazie e un saluto, @Domenico S..

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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Ciao @Ippolita 
Ricordo che avevo già letto questo racconto sul WD se la memoria non mi tradisce. Non circolano molti racconti con queste ambientazioni e introspezioni.
Da un particolare deduco che don Libero, per quanto possa essere anziano, segua e si sia adeguato, pur forse senza troppa convinzione, alle direttive e al conseguente andamento post Concilio Vaticano II.
Il particolare è il testo di Qohèlet; ho una copia della Bibbia di fine anni Ottanta del secolo scorso dove ho ritrovato il capitolo e il verso che se pure scritti in maniera diversa riportano perfettamente alla tua citazione. Ma le Bibbie preconciliari (Vat. II) sono molto diverse da quelle tradotte e stampate successivamente. Ne posseggo una tradotta dall’abate Ricciotti, della fine degli anni Cinquanta, dove per farti un esempio Qohèlet ha ben 51 capitoli, mentre altre stampate successivamente ne hanno soltanto 12 di capitoli. E molte differenze anche negli altri Libri sia A.T che N.T.
Inutile chiedersi  perché un libro così sacro sia stato “sfoltito” per usare un termine innocuo, tralasciando altamente la masoretica.  Non voglio certo affrontare l’esegetica dei testi cristiani non avendone titolo, parlo solo come lettore appassionato. Secondo il mio ragionamento però, è quasi scientemente matematico che dopo decenni post Vat. II, con tutte le forme di pensiero, di forma, di insegnamento e quant’altro è avvenuto, un uomo, un cristiano, un prete si trovi al punto di concludere e dedurre di non avere più la fede.
Ciò è stato voluto e preparato. Certamente don Libero è andato avanti, si è adeguato più che altro per inerzia, abitudine, quieto vivere. Si è mosso tutta la vita e ha agito come a una recita teatrale, smessa la quale si trova a non avere più nessun appiglio di fede, se pure ne aveva mai avuto uno.
In un tale contesto mi è molto piaciuto come  rappresenti i pensieri del vecchio prete. Il fatto che sia vecchio è poi un’aggravante, perché aveva mente e mezzi ben diversi dai giovani preti per informarsi e tornare al passato, rifugiarsi nel vetus Ordo a costo di essere scomunicato, come è avvenuto a molti.
Mi è molto piaciuto come fai analizzare il Crocifisso da don Libero. Certo, lo conosce molto bene, si è dilungato sui particolari visivi della Passione, giungendo quasi a un passo dall’entrare nell’estasi mistica, ma si è miseramente fermato con le sue piccole domande materiali e opportunistiche. Non poteva avere una risposta, non come lui desiderava e immaginava.
Non ha capito che non basta guardare, non basta seguire, non basta nutrirsi di testi sacri approvati o permessi né basta fare un generico bene ai propri simili.
Bisogna saper “diventare”, perdersi nella divinità e allora si può cominciare a capire che siamo davvero il tempio del Signore. Nulla a questo punto ci potrà fermare. Ma all’ultimo appare una speranza. Evidentemente il prete muore, se male non ho capito, e rivede i momenti della sua infanzia, sua madre, la sua famiglia. Forse questo può essere anche il paradiso; amo credere e figurarmi simili ipotesi. Un uomo non può essere colpevole se le basi della sua religione sono state alterate da esseri umani malvagi, non è colpevole se nella sua ingenuità e amore verso i suoi simili non ha intuito, non ha visto l’inganno, la mistificazione e si è adeguato. Cioè si è perso. Forse era scritto che doveva perdersi, non avere più la fede e tantomeno non essere più in grado di trasmetterla ad altri. Penso che questo sia una nuova forma di inconsapevole martirio dei nostri tempi.
Un testo che fa pensare.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Alberto Tosciri ha scritto:
Non ha capito che non basta guardare, non basta seguire, non basta nutrirsi di testi sacri approvati o permessi né basta fare un generico bene ai propri simili.
Bisogna saper “diventare”, perdersi nella divinità e allora si può cominciare a capire che siamo davvero il tempio del Signore. Nulla a questo punto ci potrà fermare.
Caro @Alberto Tosciri , bellissimo questo tuo stralcio! La traccia del racconto era sulla perdita della fede: penso che niente possa essere più terribile che immaginare un prete senza di essa. 
Alberto Tosciri ha scritto: Ma all’ultimo appare una speranza. Evidentemente il prete muore, se male non ho capito, e rivede i momenti della sua infanzia, sua madre, la sua famiglia. Forse questo può essere anche il paradiso; amo credere e figurarmi simili ipotesi.
Anch'io immagino questo, che cioè nella visione onirica (non ho pensato che don Libero muoia, in verità, ma va bene lo stesso) il vecchio riacquisti finalmente consapevolezza del fatto che Dio lo pensa e lo ama. 
Nell'esclamazione "Libero, ti voglio bene!" ho immaginato che, attraverso la madre, Dio riveli il suo amore al prete disperato.
Alberto Tosciri ha scritto: Penso che questo sia una nuova forma di inconsapevole martirio dei nostri tempi.
Molto interessante questa considerazione.
Alberto Tosciri ha scritto: Un testo che fa pensare.
Grazie infinite per aver letto e per il tuo articolato commento, Alberto. Sono onorata che il racconto ti sia piaciuto.
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Bello e intenso, cara @Ippolita  questo tuo racconto che ci narra di un rapporto tra un uomo votato a Dio e la sua crisi di fede.
Questo tema è ricorrente in diversi tuoi scritti che ho avuto il piacere di leggere, denotando una tua grande conoscenza dei testi sacri, al punto da farmi sospettare una tua formazione teologica.
L’argomento mi affascina, poiché pur dichiarandomi ateo e materialista in senso marxsiano, ho sempre avuto una forte componente mistica della mia interiorità.
Come ti sarà capitato di leggere attraverso qualche mio strampalato racconto, in gioventù, affascinato dal misticismo indiano, ho praticato a lungo lo yoga e meditazione trascendentale.
Queste discipline, hanno il pregio di insegnare al corpo come ottenere attraverso posture e respirazione, degli stati di elevazione della coscienza che ti permettono di escludere per il tempo voluto, il contatto con la realtà sensibile del corpo fisico.
In altre parole ti estranei dal mondo intorno e resti in uno stato di vigile abbandono, nel quale esiste solo la tua mente.
Queste tecniche hanno il pregio di diventare come il senso dell’equilibrio che ti consente di viaggiare in bicicletta.
Si sa che, in bicicletta, una volta che hai imparato ad andarci, puoi restare per decine di anni senza più montarci, ma quando lo fai il tuo corpo ricorda come si fa, quindi vai tranquillo.
Ero, senza modestia, assai portato per quella disciplina orientale, al punto che sognavo con la maggiore età di parire per l’India e andare a fare il monaco buddista in qualche monastero himalayano.
Poi la vita, ovviamente, mi ha condotto altrove. Ma, i primi tempi ragionavo sul fatto che anche Gautama Buddha, aveva vissuto nelle cose
del mondo per metà della sua vita, sposandosi, avendo figli, lavorando e facendo affari, infine aveva lasciato tutto per dedicarsi al raggiungimento della sua illuminazione.
Se lo aveva fatto lui, che era Buddah, avrei ben potuto farlo anch’ io che non ero nessuno.
Avevo letto che anche Sant’ Agostino (CONFESSIONI - LIBRI VII) "Dammi la castità e la continenza, ma non subito".
Diciamo che mi presi del tempo per fare qualche esperienza di vita che mi mancava, dicendomi che la mia rinuncia alla vita mondana sarebbe stata maggiormente cosciente, avrei rinunciato ai piaceri del mondo con maggior convinzione, poiché li avevo conosciuti e praticati.

Sappiamo che non sono diventato un illuminato, ho però vissuto pienamente, conoscendo il peccato e operando per riscattarmene.
So per certo che se c’è un aldilà in cui la mia anima, per la sua condotta terrena verrà processata, non sarà un dibattimento breve e semplice, se dovranno condannarmi gli toccherà sorbirsi un bel malloppo di nutriti fascicoli da mettere agli atti. Ma questa è un’altra storia.
Il tuo sacerdote è così credibile e vivo nella sua crisi vocativa ed esistenziale che ci smuove un sentimento di comprensione, pena ed empatia.
L’amore per Dio è un sentimento così assoluto da rendere chiara e presente, in chi lo avverte, la certezza della sua esistenza.
Un amore di una forza tanto travolgente, per alcuni, da votagli la propria esistenza, rinunciando in quel voto di vivere la dimensione comune alla pluralità degli uomini, avere una compagna, dei figli, vivere una vita di
semplicità e morigeratezza.
Dio è un amante che chiede per sé l’amore esclusivo del corpo e dell’anima, ma, allo stesso tempo richiede che il suo amante spenda la sua esistenza nell’ amore e l’accudimento del prossimo.
Anche i grandi amori, possono, però, nel tempo stemperarsi e perdere la loro attrattiva catalizzatrice, divenire una voce muta all’ interno dell’innamorato.
Fra un uomo e una donna i tali casi, come scelta estrema c’è il divorzio.
Divorziare da Dio non è cosa che si possa sbrigare tra legali e carta bollata. Il silenzio di Dio nell’ anima di chi lo ha amato e gli ha dedicato una intera esistenza è un silenzio lacerante e distruttivo.
Perdere la fede ti lascia lo sgomento di aver gettato la tua vita in un inutile sogno.
Nella conclusione del racconto, le visioni dell’infanzia del vecchio sacerdote, ci lascia un interrogativo sul suo risveglio: non sappiamo se quel sogno ristorato, di momenti felici della sua infanzia, sarà interpretato da lui come un segno di vitale speranza, o semplicemente come un sogno consolatorio, di quelli che l’inconscio costruisce per difendere la nostra mente da crisi di sconforto, dolorose e devastanti.

Complimenti amica mia, leggerti è sempre un piacere, ricco di suggestioni e spunti di riflessione.

Un grande abbraccio. :)

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Innanzi tutto complimenti, molto bello. Ti faccio solo alcuni piccoli appunti, ma davvero m'è piaciuto molto, soprattutto la tirata del vecchio prete contro Dio è di grande effetto. 

Se ha bisogno, sono nella mia camera. Buonanotte».


Io toglierei quella virgola, mi sembra che tolga fluidità alla frase. 


Scese le scale al buio, un gradino dopo l'altro, lentamente. Entrò in sagrestia e richiuse a chiave la porta dietro di sé; non ebbe bisogno di accendere la luce perché conosceva a memoria ogni centimetro della piccola sala. Arrivò alla porta dalla quale si accedeva all'altare, l'aprì senza difficoltà e chiuse anch'essa alle proprie spalle. Non accese neppure le luci della chiesa: gli era sufficiente il chiarore che vi penetrava attraverso le larghe finestre piombate e copriva di trame lattiginose il maestoso crocifisso di legno appeso alla parete dietro l'altare.
A Don Libero interessava unicamente fissare quel crocifisso. Se le luci perlate dei lampioni e delle case non lo avessero reso visibile ai suoi occhi, se lì dentro vi fossero state le tenebre, per lui non vi sarebbe stata differenza: egli conosceva ogni minuta sporgenza di quel Cristo, ne sentiva il calore e la freddezza, perché molte volte le sue dita si erano addentrate nelle ferite di quei piedi contorti e schiacciati uno sull'altro dai chiodi, ed erano risalite su, fin dove potevano arrivare, a sfiorare le gambe coi nervi in rilievo e le gocce scolpite di sangue e sudore. Poggiò la schiena all'altare e ne fissò il costato.
E l’Eterno disse a Mosè: "Ecco, io verrò a te in una folta nuvola, affinché il popolo oda quand’io parlerò con te, e ti presti fede per sempre".
Il vecchio prete salì con lo sguardo alla testa reclinata da un lato e alle braccia esauste: i suoi occhi indugiarono tra i chiodi che foravano le mani. Le stesse mani delle quali egli aveva ripetuto per tanti anni il gesto sacro di spezzare il pane e versare il vino. Un microcosmo di pazzia è l'uomo, egli pensò, e desiderò in quel momento di non essere mai nato. Era un verme della terra, una lurida bestia infedele. Avrebbe voluto infilarsi le dita nelle orbite, cavarsi fuori gli occhi e tirarli contro quel legno muto. Strapparsi gli ultimi capelli della testa, aprirsi lo sterno e gettare il suo cuore sul costato da cui zampillavano gocce di legno. Dio taceva con lui da decenni, ormai. Anche la più lunga delle notti oscure egli sapeva che aveva avuto una fine: o aveva frainteso le parole di Giovanni della Croce?
  1. Bello, ma lascerei fluire un po’ più la narrazione. Basta dirlo una volta che il vecchio prete conosce a memoria il posto e non ha bisogno della luce. D’altronde è, per l’appunto, un vecchio prete nella sua sagrestia/chiesa.
  2. Eviterei il pronome “egli”: “Sapeva che anche la più lunga delle notti oscure aveva avuto una fine”. Ad esempio non sarebbe meglio così?

Vide il prato dove correva bambino e le lenzuola bianche stese al vento d'estate; e dietro di esse, in lontananza, la madre con la cesta del bucato poggiata su un fianco. «Libero! Hai munto la vacca? Porta il latte alla nonna, e poi va' dal babbo: oggi al paese c'è la fiera, ricordi? Mi porti una trina per la toletta, se vedi comare Teresa? Libero! Ti voglio bene!». E vide i denti bianchi nel sorriso e i fratelli intorno a lei, e il cucciolo di cane che gli correva incontro per rotolarsi insieme a lui nel campo, e il sole immenso, e i fiordalisi.
Bella scena, bella idea. Unico, piccolo, appunto: secondo me alcune immagini sono un po’ troppo stereotipate, quasi eccessive. Intendo dire che alcune cose ce lo possiamo anche immaginare senza che tu le dica. Forse basta dire, ad esempio, che c’è sua madre, senza specificare la cesta poggiata sul fianco, d’altronde sta stendendo il bucato. Comunque bella scena. 

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Letto, @Ippolita, e apprezzato.
Da nostalgico dei libri di Guareschi (e dei film di Don Camillo) mi sarei aspettato una risposta dal crocifisso. Scherzi a parte, non mi soffermo sulla tua eleganza e sui numerosi riferimenti - che fa piacere anche leggere in modo così ordinato ed elegante -, quanto sulla tematica del dubbio e sul contrasto tra una tematica del genere e la fede. Sembra sempre che la fede assoluta non presupponga dubbi e una crisi mistica alla fine di una vita vissuta all'insegna della fede è un paradosso esistenziale che, in senso quasi poetico, porta via con sé l'anziano prete.
A livello personale mi piace pensare che lo sfogo sia più per un momento di debolezza e che il dubbio, messo così magari portato per un'intera vita, sia più che altro lo stimolo per una ricerca profonda, illuminata dalla stessa fede abbracciata dal parroco (sto un po' citando l'enciclica Fides et Ratio di S. Giovanni Paolo II).
E ho solo lasciato un pensiero, tutto qui. Di certo c'è molto di più e sono d'accordo con chi dice che si tratta di un racconto che fa pensare. Anche perché, in un certo senso, molti di questi pensieri ce li portiamo dietro da millenni...
Alla prossima e buon fine settimana.
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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@Ippolita questo tuo racconto tocca temi a me molto cari: la perdita della fede, i sentimenti di chi si avvicina alla morte, la vita consacrata. Anche nei commenti di chi lo ha letto si nota come il tema sia profondo e vissuto da tanti. 

E' peraltro scritto molto bene, con immagini che rimangono vivide nella mente, dalla contemplazione del crocifisso alla scena finale che davvero prefigura un possibile paradiso.

Forse, se posso fare un appunto, don Libero mi pare un pò troppo inaridito dalla solitudine e dalla mancanza di affetti propri rispetto alla  vocazione: un sacerdote sceglie questa strada per la passione di aiutare altri essere umani, sembra all'inizio mancare del tutto la "com-passione" che è tipica di ogni vero seguace di Cristo, o anche la Carità la più importante delle virtù teologali secondo san Paolo, che rinsalda la Fede e la Speranza.
Tuttavia forse anche la Carità si ritrova nel finale consolante: il ricordo della famiglia e della madre è pieno di amore ed è li che intuiamo che don Libero può esser stato anche un buon prete, perché solo chi si sente amato fin da bimbo  può amare . E lui, da quell'immagine finale sembra proprio esser stato amato dai suoi.     

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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[font="Open Sans", sans-serif]“Nell'esclamazione "Libero, ti voglio bene!" ho immaginato che, attraverso la madre, Dio riveli il suo amore al prete disperato”.[/font]
[font="Open Sans", sans-serif] [/font]
[font="Open Sans", sans-serif]È esattamente ciò che mi hai trasmesso. [/font]
[font="Open Sans", sans-serif]Trovo il tuo racconto splendido. La descrizione dei gesti lenti, fa immergere subito il lettore nel silenzio claustrale, poi segue quella magnifica del crocifisso, e il dolore fisico del Gesù in croce si intreccia con il tormento spirituale di Don Libero (Libero, nome non scelto a caso, immagino). Il sangue scolpito però diventa "raffigurazione" di una sofferenza artefatta, nel senso di arte fatta dall’uomo, che allontana l’immagine del dolore fisico realmente vissuto da Gesù e che pertanto aggrava la crisi del prete. Anche Madre Teresa di Calcucca ha dichiarato che Gesù ha smesso di parlarle per circa dieci anni; era affranta, disperata, ma ha continuato la sua missione con maggiore tenacia fino a quando Lui non è tornato a parlarle di nuovo. [/font]
[font="Open Sans", sans-serif]La tua narrazione porta inevitabilmente il lettore a immaginare tante crisi vocazionali che, per forza maggiore, molti preti avranno affrontato (e chissà se superato realmente). Il fallimento delle proprie idee, del proprio mestiere, il dubbio di avere sbagliato ogni cosa colpisce, sebbene in modo diverso,  tutti gli uomini, fosse anche solo per un attimo. Ciò accade allo stesso modo in campo spirituale, così come nei sentimenti, nell’amore tra due persone. Ritrovarsi è una rinascita, ed è nella morte con la visione della madre amorevole che io ho rivisto la rinascita di Don Libero. Il suo ritrovare se stesso e l'amore di Dio.[/font]
[font="Open Sans", sans-serif]@Ippolita    Brava, brava, brava.   [/font]

Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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bwv582 ha scritto: ho solo lasciato un pensiero, tutto qui
Un bellissimo pensiero, Giovanni! Grazie per aver letto, sono felice che il racconto ti sia piaciuto, @bwv582
Dostojevskj ha scritto: Tuttavia forse anche la Carità si ritrova nel finale consolante
Dostojevskj ha scritto: dalla contemplazione del crocifisso alla scena finale che davvero prefigura un possibile paradiso.
Una lettura del tutto aderente alle mie intenzioni. Ti ringrazio moltissimo, @Dostojevskj. Benvenuto tra noi.
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Nightafter ha scritto: al punto da farmi sospettare una tua formazione teologica
Carissimo, come prima cosa grazie infinite per esserti soffermato su questo racconto.
La mia formazione è prettamente classica, ma ho avuto a che fare con molti testi teologici quando ho lavorato (come redattore: è proprio il mio lavoro) ad alcuni volumi di testi miscellanei latini e greci dedicati alla nascita e lo sviluppo nei secoli della figura dell'Anticristo. Mi sono appassionata. Da lì è cominciata la mia ricerca. 
Nightafter ha scritto: ho praticato a lungo lo yoga e meditazione trascendentale.
Queste discipline, hanno il pregio di insegnare al corpo come ottenere attraverso posture e respirazione, degli stati di elevazione della coscienza che ti permettono di escludere per il tempo voluto, il contatto con la realtà sensibile del corpo fisico.
In altre parole ti estranei dal mondo intorno e resti in uno stato di vigile abbandono, nel quale esiste solo la tua mente.
Queste tecniche hanno il pregio di diventare come il senso dell’equilibrio che ti consente di viaggiare in bicicletta.
Sono affascinata da queste discipline, che purtroppo non ho mai avvicinato. Ricordo quando mio padre tornò dall'India, dove aveva trascorso più di un mese per questioni lavorative e dove aveva praticato yoga con un maestro del luogo, che lo portava a bagnarsi nel Gange dopo ogni seduta. Non dimentico la serenità che aveva in faccia mio padre quando tornò, lui uomo di scienza e sedicente ateo. 
Non so perché non ho mai praticato yoga: oltretutto vicino casa mia c'è una scuola che dicono famosa.
Nightafter ha scritto: sab lug 03, 2021 8:43 pmEro, senza modestia, assai portato per quella disciplina orientale, al punto che sognavo con la maggiore età di parire per l’India e andare a fare il monaco buddista in qualche monastero himalayano.
Peccato che abitiamo lontani, altrimenti ti avrei chiesto certamente di farmi da maestro. Complimenti.
Nightafter ha scritto: sab lug 03, 2021 8:43 pm L’amore per Dio è un sentimento così assoluto da rendere chiara e presente, in chi lo avverte, la certezza della sua esistenza.
Un amore di una forza tanto travolgente, per alcuni, da votagli la propria esistenza
Non potevi usare parole più belle e vere.
Nightafter ha scritto: sab lug 03, 2021 8:43 pmDio è un amante che chiede per sé l’amore esclusivo del corpo e dell’anima, ma, allo stesso tempo richiede che il suo amante spenda la sua esistenza nell’ amore e l’accudimento del prossimo.
Perché nell'amore per il prossimo si manifesta l'amore per Dio (Vangelo di Giovanni, 25, 34-40):
«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». 
Nightafter ha scritto: sab lug 03, 2021 8:43 pmIl silenzio di Dio nell’ anima di chi lo ha amato e gli ha dedicato una intera esistenza è un silenzio lacerante e distruttivo.
Il Dio dei cristiani è un deus absconditus, che si svela anche nel silenzio. Ma, come sottolinei, non è facile da sopportare né da comprendere.
Nel finale ho desiderato che attraverso le parole della madre Dio manifestasse di nuovo il suo amore per il vecchio prete.

Ancora grazie per il piacevolissimo commento. Un abbraccio, @Nightafter.
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Anche Madre Teresa ha dichiarato che Gesù ha smesso di parlarle per circa dieci anni; era affranta, disperata, ma ha continuato la sua missione con maggiore tenacia fino a quando Lui non è tornato a parlarle di nuovo.
Mentre scrivevo, pensavo proprio alla notte oscura di Madre Teresa: grazie per averlo sottolineato. E grazie con tutto il cuore per il tuo commento così bello e puntuale. Hai visto giusto anche col nome: Libero non è stato scelto a caso.
Un abbraccio e ancora grazie, @Adel J. Pellitteri:love:
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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

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Ammetto di non conoscere così tanto i testi sacri, pur avendo frequentato per molti anni l'ambiente, da cogliere la differenza fra testi pre e post conciliari. Però ho ritrovato, nella descrizione della chiesa e del crocefisso, molte delle atmosfere che conosco bene, e le ho viste molto corrispondenti alla realtà che conosco, soprattutto quello delle chiesette piccole e un po' vecchie, mi sono immaginata un paesino di montagna con qualche centinaio di abitanti, uno di quei posti in cui tutti si conoscono, nel bene e nel male. 
Per quanto riguarda la storia, da una parte mi ha fatto venire in mente i dialoghi di Don Camillo con il suo crocefisso, dall'altra, soprattutto nel finale, una di quelle cose che ti davano da leggere in oratorio (almeno da me) quando eri adolescente e avevi un momento di crisi. Il. testo che mi ha fatto venire in mente dovrebbe intitolarsi "Messaggio di tenerezza" e parla di un uomo che, guardando indietro alla propria vita, vede in certi momenti due serie di impronte sulla sabbia (le sue e quelle di Dio che camminano affiancati), in altri momenti (che corrispondevano ai momenti più difficili della sua vita) vede una serie sola di impronte. Allora si arrabbia con Dio e lo rimprovera perchè crede che Lui lo avesse lasciato solo proprio quando aveva più bisogno di aiuto. E Dio gli risponde che, in realtà, i momenti in cui l'uomo vedeva una sola serie di impronte sulla sabbia, erano quelli in cui Lui aveva portato l'uomo in braccio. 
Il finale mi sembra una versione più poetica di questa stessa idea, e mi è piaciuta molto, l'ho trovato di conforto, rassicurante. 
Il personaggio di Don Libero è di grande umanità, riesce a sintetizzare in poche frasi i sentimenti che, laici o consacrati, con maggiore o minore forza, indipendentemente dall'età, credo appartengano all'animo umano. E lo fa, tra l'altro, mostrandosi in un certo senso superiore alle banalità di tutti i giorni come spegnere le luci della chiesa o chiudere bene tutte le porte. Cose che, a volte, sempre per quella che è la mia esperienza nell'ambiente, diventano più importanti della fede in sè e per sè. Il che non vuol dire che si debba essere contemplativi in tutto e per tutto, per carità (e qui mi viene in mente la differenza fra Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro di Betania, nel Vangelo), ma che bisognerebbe riuscire a trovare un giusto mezzo fra concretezza e spiritualità, per quanto mi renda conto che non sia semplice. Il fatto che il protagonista si chiami Libero, forse, vuol dire anche che lui è riuscito in un certo modo a trovare un equilibrio fra questi due aspetti dell'animo umano. 
Insomma, un racconto che mi ha suscitato molti ricordi (abbastanza positivi, dai), per quanto il mio rappporto con certi aspetti della Chiesa non sia sempre stato ottimo e che è riuscito a farmi riflettere su diversi aspetti del mio passato.  :)
 
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)
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