[Lab16] La signora grigio perla
Posted: Sun Feb 09, 2025 7:15 pm
La rabbia è un grande motore.
Quella rabbia che fa alzare quando si è crollati a terra, figlia della disperazione e della tristezza.
“Amore, non fare quel faccino triste, mi fai soffrire. Sorridimi, ti ho anche preparato la cena.”
“Tu non mangi, Carlo?”
“Certo, volevo solo dire che l’ho fatto per alleggerirti, tesoro.”
Chissà se si ricorda ancora il mio nome oppure gli è scivolato in mezzo a ciò che inghiotto per non farlo soffrire.
Inoltre, lo dico per esperienza personale, un bel tesoro è anche pratico, ci sta sempre bene e impedisce di dire il nome sbagliato nel momento sbagliato.
Cucina bene il Carlo in qualità di marito, sarei curiosa di sapere se il livello delle prestazioni è uguale anche nel suo ruolo di amante. Ha imparato imitando gli spadellatori professionisti di Youtube. Tutto un colpo di polso, mestolo in legno e padella wok.
In ogni caso si sa che l’uomo in cucina è sexy.
Lo pensavo anch’io e assieme a me un certo numero di altre signore che però non si fregiavano del titolo di moglie e madre dei suoi figli.
Si dice che sia il rossetto sul collo della camicia a far scoprire l’amante.
Nel mio caso invece solo pura e semplice logica.
“Amore, sono stanco, cerca di capirmi.”
Eccerto che lo capivo, ma lui capiva che menopausa non è sinonimo di calo del desiderio?
Le endorfine me le producevo in palestra, al resto rinunciavo.
Ma questa stanchezza non passava nonostante le vitamine e la biancheria sexy su un corpo tonico.
Mia nonna, santa donna, era una fonte inesauribile di detti popolari – Gallo che non becca a casa…- quei puntini di sospensione erano mille coltelli che avevano sostituito le farfalle nel mio stomaco.
Erano sudori freddi e gambe che cedevano ad ogni suo rientro a casa.
“Tesoro, sei stanca, non farmi preoccupare, vai a dormire che devo scrivere ancora qualche mail.”
Il vantaggio di essere una moglie obbediente e abitudinaria è quella di regalare l’illusione di avere tutto sotto controllo.
Finito di lavorare da casa lo stanco si fa una doccia e la moglie affidabile entra nello studio.
Una chat mi è passata sul cuore come un bulldozer impazzito. Un fuoco d’artificio di parole intrise di amore e passione, di progetti, desideri, abitudini, vezzeggiativi e coccole.
Io dov’ero?
A piedi nudi sul parquet col freddo che si arrampicava sui polpacci, muta di dolore.
Il mio peso specifico si era centuplicato.
L’ho guardato mentre fresco e profumato si infilava nel letto.
Un bacio in fronte e “Sogni d’oro, anima mia.”
Girata di spalle una lacrima al tritolo mi ha rigato la guancia.
Il giorno dopo mi sono svegliata bambina e capricciosa. Furiosa con me stessa e il mondo. Furiosa per averci creduto, per aver incarnato un ideale di donna che non mi apparteneva, per non essermi lasciata alle spalle il mio essere madre e casalinga, per essermi assestata su questo binario morto che mi portava dritta alla tomba.
Il vantaggio di avere un marito ricco e donnaiolo, consiste nel fatto che i sensi di colpa vengono placati in contanti senza fare domande.
Quindi ho vuotato i miei armadi, mi sono drogata di shopping, beauty center e quant’altro mi sembrava fosse utile alla mia rinascita.
Volevo mostrargli che “Tesoro” a casa non aveva nulla di meno rispetto a “tesoro” chissà dove.
La riconquista sembrava un’opzione praticabile.
“Cara, sei bellissima!” e finiva lì. Tutta la cura che ci avevo messo sbiadiva di fronte a quello sguardo assente, a quelle parole formali.
La lettura della chat era una droga.
Quello che avanzava di me urlava che non dovevo interessarmene, che era una grave lesione della privacy, tutto il resto sputava giustificazioni come controllare il nemico, tenere sotto controllo la situazione.
Cretina fino in fondo mi accontentavo di scrollare su e giù, alla ricerca di indizi, stupita di non venire mai nominata nemmeno come quella che lo aveva reso infelice.
Ma come il destino vuole, un movimento inconsulto mi buttó fuori dalla chat e trovai un mondo di chat fotocopia, fatto di cene, finesettimana, serate, di tesori, amori, porcellina mia, come lo fai tu nessuna, rispetto la tua situazione, sarò discretissimo.
Davvero ero un tale zerbino?
Potevo davvero competere contro questo plotone di donne presenti e passate?
Donne emancipate, divertenti e leggere, donne senza calzini da rammendare e mutande da lavare?
Per cosa e per chi stavo entrando in competizione? Per essere scopata una volta ogni tre settimane, forse, ed essere portata fuori a pranzo la domenica? Davvero avevo bisogno di qualcuno a cui appoggiarmi durante la laurea dei figli?
Ligia alle istruzioni di tutte le riviste lette dal parrucchiere tiravo dritta nella mia vita da casalinga privilegiata con un sacco di tempo libero. Prima del disastro non mi pesavano le giornate vuote fatte di tintoria, caffè, palestra, biblioteca e aperitivo con le amiche.
Ora mi chiedevo cosa sapessi fare.
Come tutte le benestanti frustrate e cornute mi sarei data alla beneficenza. Un buon modo per sentirsi importante e nutrire un ego che strisciava nelle pozzanghere della desolazione.
Quale posto migliore se non la parrocchia del duomo, centrale ed elegante. Un coacervo di beghine profumate piene di buone intenzioni e pessimi consigli, tutte indistintamente esperte di mariti da schifo, tranne le vedove che ai morti si perdona tutto.
Immersa in questo gineceo la mia anima era ingessata, tornare a casa da “Tesoro, non arrabbiarti, così mi ferisci” faceva meno male, e anche le chat erano meno interessanti.
Un giorno, mentre preparavamo la lotteria di Natale con cena, una di queste grigie signore racconta del tradimento del proprio marito. Ma lo raccontava con una leggerezza che sembrava non fosse mai accaduto. Tutte attorno al tavolo a piegare tovaglioli e io zitta che mi chiedevo come fosse finita la storia. Ognuna diceva la sua, chi lo avrebbe affrontato dicendogliene quattro, chi gli avrebbe spaccato la faccia, chi se ne sarebbe andata o lo avrebbe buttato fuori casa, ma la maggior parte a occhi bassi. Erano quelle che come me non avevano fatto nulla, se non bere il fiele dell’autodistruzione.
“No, no, niente di tutto ciò” continuò quella “gli ho semplicemente ricambiato il favore.”
Gli sguardi sbigottiti si rincorrevano lungo la tavola.
Come ricambiare il favore? Ma non era peccato? E dirlo proprio qui che eravamo muro a muro con la casa del Signore, Don Luigi che poteva entrare ogni momento.
“E smettetela di fare quelle facce da galline spaventate, che vi manca solo il coraggio di rientrare in gioco. E poi non è davvero peccato, basta non desiderare l’uomo altrui; oltre al fatto che le promesse matrimoniali parlano chiaro: in salute e in malattia, nel bene e nel male, e perché non nelle corna?”
Eravamo rimaste in quattro ad ascoltare a bocca aperta.
La signora era diventata grigio perla ai miei occhi.
Come aveva fatto?
Finiti i tovaglioli, i centritavola, i bigliettini della lotteria e controllato due volte tutti gli inviti, mi ero affiancata per uscire con lei.
Sfacciata indaga la mia curiosità, e mi racconta mirabolanti storie di uomini giovani e meno giovani che amano donne mature.
Le amano tutte, senza distinzione, riservatamente e con grande dedizione. Se avessi voluto avrei potuto fare aperitivo con lei l’indomani per verificare di persona.
Ho imparato a piacere, a scegliere e a divertirmi.
Al momento sono in una situazione imbarazzante, vorrei passare qualche giorno in baita con Arrigo, prestante maestro di sci della Valtellina. Non posso inventarmi un pellegrinaggio a Cascia, e nemmeno dare scandalo.
Ma credo che lo stanco capirà l’importanza di una full immersion di tre giorni con un personal trainer a me dedicato, presente h24, per perfezionare il mio stile sulla neve.
Ne sono certa, dato che le sue assistenti svolgono un ruolo fondamentale durante i suoi viaggi di lavoro, oltre al fatto che soffre quando sono triste e sarei tristissima.
Si apre la porta, e Carlo, il re della spadellata, ipnotizzato dal mio tacco dodici che dondola, credo intuisca l’arrivo di qualche novità.
Quella rabbia che fa alzare quando si è crollati a terra, figlia della disperazione e della tristezza.
“Amore, non fare quel faccino triste, mi fai soffrire. Sorridimi, ti ho anche preparato la cena.”
“Tu non mangi, Carlo?”
“Certo, volevo solo dire che l’ho fatto per alleggerirti, tesoro.”
Chissà se si ricorda ancora il mio nome oppure gli è scivolato in mezzo a ciò che inghiotto per non farlo soffrire.
Inoltre, lo dico per esperienza personale, un bel tesoro è anche pratico, ci sta sempre bene e impedisce di dire il nome sbagliato nel momento sbagliato.
Cucina bene il Carlo in qualità di marito, sarei curiosa di sapere se il livello delle prestazioni è uguale anche nel suo ruolo di amante. Ha imparato imitando gli spadellatori professionisti di Youtube. Tutto un colpo di polso, mestolo in legno e padella wok.
In ogni caso si sa che l’uomo in cucina è sexy.
Lo pensavo anch’io e assieme a me un certo numero di altre signore che però non si fregiavano del titolo di moglie e madre dei suoi figli.
Si dice che sia il rossetto sul collo della camicia a far scoprire l’amante.
Nel mio caso invece solo pura e semplice logica.
“Amore, sono stanco, cerca di capirmi.”
Eccerto che lo capivo, ma lui capiva che menopausa non è sinonimo di calo del desiderio?
Le endorfine me le producevo in palestra, al resto rinunciavo.
Ma questa stanchezza non passava nonostante le vitamine e la biancheria sexy su un corpo tonico.
Mia nonna, santa donna, era una fonte inesauribile di detti popolari – Gallo che non becca a casa…- quei puntini di sospensione erano mille coltelli che avevano sostituito le farfalle nel mio stomaco.
Erano sudori freddi e gambe che cedevano ad ogni suo rientro a casa.
“Tesoro, sei stanca, non farmi preoccupare, vai a dormire che devo scrivere ancora qualche mail.”
Il vantaggio di essere una moglie obbediente e abitudinaria è quella di regalare l’illusione di avere tutto sotto controllo.
Finito di lavorare da casa lo stanco si fa una doccia e la moglie affidabile entra nello studio.
Una chat mi è passata sul cuore come un bulldozer impazzito. Un fuoco d’artificio di parole intrise di amore e passione, di progetti, desideri, abitudini, vezzeggiativi e coccole.
Io dov’ero?
A piedi nudi sul parquet col freddo che si arrampicava sui polpacci, muta di dolore.
Il mio peso specifico si era centuplicato.
L’ho guardato mentre fresco e profumato si infilava nel letto.
Un bacio in fronte e “Sogni d’oro, anima mia.”
Girata di spalle una lacrima al tritolo mi ha rigato la guancia.
Il giorno dopo mi sono svegliata bambina e capricciosa. Furiosa con me stessa e il mondo. Furiosa per averci creduto, per aver incarnato un ideale di donna che non mi apparteneva, per non essermi lasciata alle spalle il mio essere madre e casalinga, per essermi assestata su questo binario morto che mi portava dritta alla tomba.
Il vantaggio di avere un marito ricco e donnaiolo, consiste nel fatto che i sensi di colpa vengono placati in contanti senza fare domande.
Quindi ho vuotato i miei armadi, mi sono drogata di shopping, beauty center e quant’altro mi sembrava fosse utile alla mia rinascita.
Volevo mostrargli che “Tesoro” a casa non aveva nulla di meno rispetto a “tesoro” chissà dove.
La riconquista sembrava un’opzione praticabile.
“Cara, sei bellissima!” e finiva lì. Tutta la cura che ci avevo messo sbiadiva di fronte a quello sguardo assente, a quelle parole formali.
La lettura della chat era una droga.
Quello che avanzava di me urlava che non dovevo interessarmene, che era una grave lesione della privacy, tutto il resto sputava giustificazioni come controllare il nemico, tenere sotto controllo la situazione.
Cretina fino in fondo mi accontentavo di scrollare su e giù, alla ricerca di indizi, stupita di non venire mai nominata nemmeno come quella che lo aveva reso infelice.
Ma come il destino vuole, un movimento inconsulto mi buttó fuori dalla chat e trovai un mondo di chat fotocopia, fatto di cene, finesettimana, serate, di tesori, amori, porcellina mia, come lo fai tu nessuna, rispetto la tua situazione, sarò discretissimo.
Davvero ero un tale zerbino?
Potevo davvero competere contro questo plotone di donne presenti e passate?
Donne emancipate, divertenti e leggere, donne senza calzini da rammendare e mutande da lavare?
Per cosa e per chi stavo entrando in competizione? Per essere scopata una volta ogni tre settimane, forse, ed essere portata fuori a pranzo la domenica? Davvero avevo bisogno di qualcuno a cui appoggiarmi durante la laurea dei figli?
Ligia alle istruzioni di tutte le riviste lette dal parrucchiere tiravo dritta nella mia vita da casalinga privilegiata con un sacco di tempo libero. Prima del disastro non mi pesavano le giornate vuote fatte di tintoria, caffè, palestra, biblioteca e aperitivo con le amiche.
Ora mi chiedevo cosa sapessi fare.
Come tutte le benestanti frustrate e cornute mi sarei data alla beneficenza. Un buon modo per sentirsi importante e nutrire un ego che strisciava nelle pozzanghere della desolazione.
Quale posto migliore se non la parrocchia del duomo, centrale ed elegante. Un coacervo di beghine profumate piene di buone intenzioni e pessimi consigli, tutte indistintamente esperte di mariti da schifo, tranne le vedove che ai morti si perdona tutto.
Immersa in questo gineceo la mia anima era ingessata, tornare a casa da “Tesoro, non arrabbiarti, così mi ferisci” faceva meno male, e anche le chat erano meno interessanti.
Un giorno, mentre preparavamo la lotteria di Natale con cena, una di queste grigie signore racconta del tradimento del proprio marito. Ma lo raccontava con una leggerezza che sembrava non fosse mai accaduto. Tutte attorno al tavolo a piegare tovaglioli e io zitta che mi chiedevo come fosse finita la storia. Ognuna diceva la sua, chi lo avrebbe affrontato dicendogliene quattro, chi gli avrebbe spaccato la faccia, chi se ne sarebbe andata o lo avrebbe buttato fuori casa, ma la maggior parte a occhi bassi. Erano quelle che come me non avevano fatto nulla, se non bere il fiele dell’autodistruzione.
“No, no, niente di tutto ciò” continuò quella “gli ho semplicemente ricambiato il favore.”
Gli sguardi sbigottiti si rincorrevano lungo la tavola.
Come ricambiare il favore? Ma non era peccato? E dirlo proprio qui che eravamo muro a muro con la casa del Signore, Don Luigi che poteva entrare ogni momento.
“E smettetela di fare quelle facce da galline spaventate, che vi manca solo il coraggio di rientrare in gioco. E poi non è davvero peccato, basta non desiderare l’uomo altrui; oltre al fatto che le promesse matrimoniali parlano chiaro: in salute e in malattia, nel bene e nel male, e perché non nelle corna?”
Eravamo rimaste in quattro ad ascoltare a bocca aperta.
La signora era diventata grigio perla ai miei occhi.
Come aveva fatto?
Finiti i tovaglioli, i centritavola, i bigliettini della lotteria e controllato due volte tutti gli inviti, mi ero affiancata per uscire con lei.
Sfacciata indaga la mia curiosità, e mi racconta mirabolanti storie di uomini giovani e meno giovani che amano donne mature.
Le amano tutte, senza distinzione, riservatamente e con grande dedizione. Se avessi voluto avrei potuto fare aperitivo con lei l’indomani per verificare di persona.
Ho imparato a piacere, a scegliere e a divertirmi.
Al momento sono in una situazione imbarazzante, vorrei passare qualche giorno in baita con Arrigo, prestante maestro di sci della Valtellina. Non posso inventarmi un pellegrinaggio a Cascia, e nemmeno dare scandalo.
Ma credo che lo stanco capirà l’importanza di una full immersion di tre giorni con un personal trainer a me dedicato, presente h24, per perfezionare il mio stile sulla neve.
Ne sono certa, dato che le sue assistenti svolgono un ruolo fondamentale durante i suoi viaggi di lavoro, oltre al fatto che soffre quando sono triste e sarei tristissima.
Si apre la porta, e Carlo, il re della spadellata, ipnotizzato dal mio tacco dodici che dondola, credo intuisca l’arrivo di qualche novità.