[CN24] La contessa Evarista
Posted: Sat Jan 04, 2025 10:27 pm
Pacco nr. 12
Nella grande sala illuminata dai candelabri, i calici erano alzati per il brindisi. Prima che il cristallo potesse risuonare, un tonfo sordo echeggiò dal piano superiore. Gli ospiti si guardarono intorno confusi, finché un urlo non spezzò il silenzio: "È stato assassinato!"
La contessa sbuffò “Chiedo venia, il personale davvero non sa come comportarsi.”
“Vengo con te, nonna?”
“Ti ringrazio ma cherie, ma certe cose riguardano solo ed unicamente la padrona di casa.” Appoggiandosi al suo bastone dal pomello d’argento si avviò verso la scalinata che portava ai piani superiori. Prima di affrontare la salita, fece segno ai domestici di rabboccare i bicchieri degli ospiti.
Che poi ospiti era una parola grossa, erano tutti i suoi parenti. Li sentiva alle sue spalle quei parassiti in visita, sempre pronti a controllare il suo stato di salute.
A metà scala le venne incontro la cameriera “Contessa, la prego, non salga, non è una bella vista. Ho già chiamato il dottor Borboni.”
A dispetto della disperata posa da operetta della cameriera, la contessa Evarista non perse il sangue freddo.
“Ma è morto oppure no?”
“Contessa, non riesco a capire, ma non vada. Sarà stato ucciso.”
La contessa Evarista delle Piamaggine vedova Caramellazzi, sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, socia di maggioranza della EPC spa, e tutt’ora alla guida della stessa, non si sarebbe tirata indietro per nulla al mondo. Sapeva con certezza che non c’era alcun motivo di sospettare una morte violenta a meno di non incolpare il cuoco e i suoi manicaretti.
Il tacco quadrato delle scarpe di vernice nera risuonava di gradino in gradino, man mano che si avvicinava alla galleria degli antenati.
“Dove si trova?”
“Nella sua stanza, contessa.”
Davanti alla porta di quercia ebbe un’esitazione, ma la cameriera la precedette.
Ai piedi del letto a baldacchino nella sua cuccia preferita era sdraiato immobile Minú, il suo adorato bassottino. Il muso era circondato dai libri che era riuscito a far cadere dal comodino. La lingua pendeva a lato, pareva proprio non respirasse. Forse l’ultimo amorevole dispetto gli era costata la vita.
“La cuccia sul letto, prego.”
Seduta di fianco a Minú accarezzò il corpicino immobile fino all’arrivo del dottor Borboni, che non fece altro che constatarne il decesso.
Nemmeno una lacrima, un’incertezza nel passo, come se niente fosse tornò dai propri ospiti.
Il dottor Borboni, scapolo incallito, si aggiunse alla compagnia, mentre il cadaverino riposava nel freezer in attesa di essere tumulato appena passate le feste di Natale.
La contessa nemmeno condivise la scomparsa di Minú con i propri ospiti per non prolungare troppo la tradizionale cena della vigilia. Quando fu il momento di aprire i regali gioì dell’unico fattole da ma cherie: un cappottino scozzese destinato al bassottino. L’avrebbe seppellito proprio con quello.
“Ma il botolo rognoso che fine ha fatto?”
Fra il personale calò un momento di gelo, proprio suo genero doveva fare la sgarbata domanda. Già aveva sposato Manrica per interesse, tradendola a ogni piè sospinto, ma, non contento, non si premurava nemmeno di nascondere il profondo disprezzo per la vecchia suocera, che a suo avviso avrebbe dovuto nominarlo amministratore delegato con tutti i benefit consoni. Invece no, gli toccava continuare a fare l’avvocato di campagna per godere dei privilegi della famiglia delle Piamaggine.
“Minú ci ha lasciato questa sera.” Le mani raccolte in grembo dalla sua poltrona fissò gli altri presenti ancora occupati a scartare le strenne.
“Nonna, mi spiace tanto. Sei triste?”
“Non ti preoccupare, ma cherie, va tutto bene.” Aveva il cuore straziato, sentiva un dolore pungente, non a sinistra, ma al centro del petto. Sembrava che lo sterno volesse stritolarle i polmoni. Non era il caso di sentirsi male ora: una contessa non mostra i propri sentimenti durante un evento famigliare.
Il decesso di Minú venne sommerso da una serie di esclamazioni di soddisfatto stupore. La contessa Evarista proprio quel Natale aveva deciso di essere particolarmente generosa.
Si era preoccupata di informarsi dei desideri di ognuno.
Alcuni piccoli pacchetti contenevano la chiave di una macchina tanto desiderata oppure di uno chalet nelle alpi svizzere, altri invece gioielli importanti che alla luce delle candele dell’albero rilucevano.
Solo a ma cherie la contessa consegnò il regalo di persona: uno scatolino minuscolo confezionato con la carta rossa e un fiocco d’oro.
Ma cherie lo mise da parte per prendere le mani della nonna fra le sue.
“Nonna, grazie, ti voglio bene.”
Con fatica la contessa represse quell’unica lacrima che sarebbe valsa la pena piangere.
Ma cherie con i suoi ventidue anni era la sua nipote più giovane. Era l’unica che non la compiaceva levandosi i piercing, che andava a trovarla per mostrarle ogni nuovo tatuaggio e infine la contessa si era anche abituata ai rasta di tutti i colori che le adornavano la testa. Era anche l’unica che le aveva chiesto un lavoro e aveva scelto di fare l’inserviente alla mensa aziendale, perché doveva ancora terminare gli studi, ma non voleva impegnarsi troppo per non rinunciare al divertimento.
Certo non aveva problemi economici, ma voleva spendere i propri soldi senza dover rendere conto a nessuno. Ma cherie, il cui nome era un altisonante Mariavittoria, aveva un bel caratterino e si faceva rispettare da tutti.
“Su, apri il pacchetto, tesoro.”
Conteneva una piccola chiave dorata da poco prezzo, di quelle che servono per i lucchetti dei diari da supermercato.
Mariavittoria senza pensarci due volte se la appese alla catenina e ringraziò la nonna.
A mezzanotte la contessa congedò i suoi figli, generi, nuore e nipoti.
Con fatica tornò nella sua camera orfana di Minú e penso che novantatré anni fossero una bella età per morire.
Il suo cuore era stanco e Mariavittoria si sarebbe laureata a primavera.
La contessa Evarista delle Piamaggine vedova Caramellazzi aveva già sistemato la successione e mentre versava l’intera boccetta del valium nel bicchiere si chiese se l’anima sua avrebbe avuto il piacere di assistere all’apertura del testamento. Assieme al giovane notaio Tramontini aveva deciso la disposizione dei posti per la lettura del testamento: ma cherie Mariavittoria sarebbe stata seduta al centro e tutti gli altri attorno. Il notaio, a fronte di un congruo compenso, si era impegnato a rimanere a disposizione di ma cherie per dieci anni dopo la morte della contessa.
Si sdraiò con addosso il vestito di velluto blu notte che aveva scelto per quella sera, si lisciò la gonna, sistemò il colletto di pizzo e tenne le scarpe. Voleva essere una gran signora fino in fondo.
Bevve tutto il bicchiere in un unico sorso e assunse la classica posa di chi muore sereno e con l’anima in pace. Mentre la coglieva questo profondo sonno si immaginò l’espressione stupita di ma cherie quando avrebbe scoperto che quella chiave dava accesso a tutte le informazioni necessarie per prendere il suo posto alla EPC spa.
Chissá se s qualcuno sarebbe venuto in mente di seppellire Minú assieme a lei. Sarebbe stata una buona compagnia.
Infine, quell’unica lacrima di commozione trovò la sua via fra cipria e rughe per scivolare sul collo, ma la contessa non se ne accorse più.
Nella grande sala illuminata dai candelabri, i calici erano alzati per il brindisi. Prima che il cristallo potesse risuonare, un tonfo sordo echeggiò dal piano superiore. Gli ospiti si guardarono intorno confusi, finché un urlo non spezzò il silenzio: "È stato assassinato!"
La contessa sbuffò “Chiedo venia, il personale davvero non sa come comportarsi.”
“Vengo con te, nonna?”
“Ti ringrazio ma cherie, ma certe cose riguardano solo ed unicamente la padrona di casa.” Appoggiandosi al suo bastone dal pomello d’argento si avviò verso la scalinata che portava ai piani superiori. Prima di affrontare la salita, fece segno ai domestici di rabboccare i bicchieri degli ospiti.
Che poi ospiti era una parola grossa, erano tutti i suoi parenti. Li sentiva alle sue spalle quei parassiti in visita, sempre pronti a controllare il suo stato di salute.
A metà scala le venne incontro la cameriera “Contessa, la prego, non salga, non è una bella vista. Ho già chiamato il dottor Borboni.”
A dispetto della disperata posa da operetta della cameriera, la contessa Evarista non perse il sangue freddo.
“Ma è morto oppure no?”
“Contessa, non riesco a capire, ma non vada. Sarà stato ucciso.”
La contessa Evarista delle Piamaggine vedova Caramellazzi, sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, socia di maggioranza della EPC spa, e tutt’ora alla guida della stessa, non si sarebbe tirata indietro per nulla al mondo. Sapeva con certezza che non c’era alcun motivo di sospettare una morte violenta a meno di non incolpare il cuoco e i suoi manicaretti.
Il tacco quadrato delle scarpe di vernice nera risuonava di gradino in gradino, man mano che si avvicinava alla galleria degli antenati.
“Dove si trova?”
“Nella sua stanza, contessa.”
Davanti alla porta di quercia ebbe un’esitazione, ma la cameriera la precedette.
Ai piedi del letto a baldacchino nella sua cuccia preferita era sdraiato immobile Minú, il suo adorato bassottino. Il muso era circondato dai libri che era riuscito a far cadere dal comodino. La lingua pendeva a lato, pareva proprio non respirasse. Forse l’ultimo amorevole dispetto gli era costata la vita.
“La cuccia sul letto, prego.”
Seduta di fianco a Minú accarezzò il corpicino immobile fino all’arrivo del dottor Borboni, che non fece altro che constatarne il decesso.
Nemmeno una lacrima, un’incertezza nel passo, come se niente fosse tornò dai propri ospiti.
Il dottor Borboni, scapolo incallito, si aggiunse alla compagnia, mentre il cadaverino riposava nel freezer in attesa di essere tumulato appena passate le feste di Natale.
La contessa nemmeno condivise la scomparsa di Minú con i propri ospiti per non prolungare troppo la tradizionale cena della vigilia. Quando fu il momento di aprire i regali gioì dell’unico fattole da ma cherie: un cappottino scozzese destinato al bassottino. L’avrebbe seppellito proprio con quello.
“Ma il botolo rognoso che fine ha fatto?”
Fra il personale calò un momento di gelo, proprio suo genero doveva fare la sgarbata domanda. Già aveva sposato Manrica per interesse, tradendola a ogni piè sospinto, ma, non contento, non si premurava nemmeno di nascondere il profondo disprezzo per la vecchia suocera, che a suo avviso avrebbe dovuto nominarlo amministratore delegato con tutti i benefit consoni. Invece no, gli toccava continuare a fare l’avvocato di campagna per godere dei privilegi della famiglia delle Piamaggine.
“Minú ci ha lasciato questa sera.” Le mani raccolte in grembo dalla sua poltrona fissò gli altri presenti ancora occupati a scartare le strenne.
“Nonna, mi spiace tanto. Sei triste?”
“Non ti preoccupare, ma cherie, va tutto bene.” Aveva il cuore straziato, sentiva un dolore pungente, non a sinistra, ma al centro del petto. Sembrava che lo sterno volesse stritolarle i polmoni. Non era il caso di sentirsi male ora: una contessa non mostra i propri sentimenti durante un evento famigliare.
Il decesso di Minú venne sommerso da una serie di esclamazioni di soddisfatto stupore. La contessa Evarista proprio quel Natale aveva deciso di essere particolarmente generosa.
Si era preoccupata di informarsi dei desideri di ognuno.
Alcuni piccoli pacchetti contenevano la chiave di una macchina tanto desiderata oppure di uno chalet nelle alpi svizzere, altri invece gioielli importanti che alla luce delle candele dell’albero rilucevano.
Solo a ma cherie la contessa consegnò il regalo di persona: uno scatolino minuscolo confezionato con la carta rossa e un fiocco d’oro.
Ma cherie lo mise da parte per prendere le mani della nonna fra le sue.
“Nonna, grazie, ti voglio bene.”
Con fatica la contessa represse quell’unica lacrima che sarebbe valsa la pena piangere.
Ma cherie con i suoi ventidue anni era la sua nipote più giovane. Era l’unica che non la compiaceva levandosi i piercing, che andava a trovarla per mostrarle ogni nuovo tatuaggio e infine la contessa si era anche abituata ai rasta di tutti i colori che le adornavano la testa. Era anche l’unica che le aveva chiesto un lavoro e aveva scelto di fare l’inserviente alla mensa aziendale, perché doveva ancora terminare gli studi, ma non voleva impegnarsi troppo per non rinunciare al divertimento.
Certo non aveva problemi economici, ma voleva spendere i propri soldi senza dover rendere conto a nessuno. Ma cherie, il cui nome era un altisonante Mariavittoria, aveva un bel caratterino e si faceva rispettare da tutti.
“Su, apri il pacchetto, tesoro.”
Conteneva una piccola chiave dorata da poco prezzo, di quelle che servono per i lucchetti dei diari da supermercato.
Mariavittoria senza pensarci due volte se la appese alla catenina e ringraziò la nonna.
A mezzanotte la contessa congedò i suoi figli, generi, nuore e nipoti.
Con fatica tornò nella sua camera orfana di Minú e penso che novantatré anni fossero una bella età per morire.
Il suo cuore era stanco e Mariavittoria si sarebbe laureata a primavera.
La contessa Evarista delle Piamaggine vedova Caramellazzi aveva già sistemato la successione e mentre versava l’intera boccetta del valium nel bicchiere si chiese se l’anima sua avrebbe avuto il piacere di assistere all’apertura del testamento. Assieme al giovane notaio Tramontini aveva deciso la disposizione dei posti per la lettura del testamento: ma cherie Mariavittoria sarebbe stata seduta al centro e tutti gli altri attorno. Il notaio, a fronte di un congruo compenso, si era impegnato a rimanere a disposizione di ma cherie per dieci anni dopo la morte della contessa.
Si sdraiò con addosso il vestito di velluto blu notte che aveva scelto per quella sera, si lisciò la gonna, sistemò il colletto di pizzo e tenne le scarpe. Voleva essere una gran signora fino in fondo.
Bevve tutto il bicchiere in un unico sorso e assunse la classica posa di chi muore sereno e con l’anima in pace. Mentre la coglieva questo profondo sonno si immaginò l’espressione stupita di ma cherie quando avrebbe scoperto che quella chiave dava accesso a tutte le informazioni necessarie per prendere il suo posto alla EPC spa.
Chissá se s qualcuno sarebbe venuto in mente di seppellire Minú assieme a lei. Sarebbe stata una buona compagnia.
Infine, quell’unica lacrima di commozione trovò la sua via fra cipria e rughe per scivolare sul collo, ma la contessa non se ne accorse più.