La Villa Bianca

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Revisione di un racconto nato per il Ferragosto d'Inchiostro del 2018
https://www.writersdream.org/forum/foru ... la-bianca/
(racconto spudoratamente ispirato a "Signora bionda dei ciliegi" di Ivan Graziani https://youtu.be/c6ornOyhXt4)

Credeva di aver camminato senza una direzione, è sorpreso di ritrovarsi lì davanti.
Quanti anni sono passati dall’ultima volta? Nulla sembra cambiato, tranne l'edera che è ben più densa ora. Suppone che la villa sia di nuovo occupata.
La Villa Bianca.
Lo assale il desiderio stupido e doloroso di risalire il tempo fino a un pomeriggio di trent’anni prima. Quel muro verde non era così folto e lasciava comodi spiragli da cui lui e Ettore lanciavano occhiate furtive e eccitate.
La Signora era distesa su di un lettino al centro del prato all’inglese. Che fosse all’inglese lo ha saputo dopo, glielo ha spiegato lei insieme a tutto il resto. Mentre sbirciava, quella donna seminuda gli sembrò bella come una stella del cinema. Lo pensava con tutto il corpo: il gonfiore all’inguine era lo stesso di quando sfogliava le riviste con le foto delle dive lussuosamente svestite. Si sentì arrossire quando l’amico gli diede un colpetto col gomito.
«Vuoi che ti dica che le farei a quella?»
Non lo seppe mai, perché “quella” si mise a sedere e sorrise.
«Ehi, ragazzi, volete entrare? Ho della limonata fresca e starete più comodi che nascosti nella siepe».
Sentì le gambe tremare, mentre il turgore al basso ventre evaporava come una goccia d’acqua al sole. Cercò il sostegno di Ettore, ma a lui le gambe dovevano reggere perché era già scappato. Saverio era rigido di imbarazzo e paura, ma non poteva scollarsi da quel sorriso.
Ricorda ogni attimo di quel primo pomeriggio nel giardino della Villa.
Le chiacchiere, la limonata, la musica. Le risate. Non riusciva a trattenersi. Si sentiva scemo, piccolo e inadeguato a ridere per un nonnulla, ma la Signora lo rassicurava:
«Mi piace sentirti ridere, sei così giovane: la tua risata è vita».
Rimase tutto il pomeriggio seduto a guardarla e sorridere. E lasciarsi guardare. Gli faceva un effetto strano sentirsi osservato e ammirato, una miscela di fastidio e lusinga. Nessuno lo aveva mai guardato così, prima.
«Sei bello, sarai un uomo magnifico. Infrangerai molti cuori… promettimi di non essere troppo cattivo con le tue vittime».
Non poteva smettere di fissarla, forse per essere sicuro che era proprio a lui che quella donna magnifica sorrideva così.
Gli fu difficile sottrarsi alla magia strana della situazione: ci si rassegnò solo quando il sole cominciò a calare. Se ne scusò: «Mia madre detesta quando arrivo tardi per cena».
La Signora sorrise.
«Bello e ben educato. Un ragazzo perfetto. Puoi tornare, se vuoi anche domani. Sono sempre sola».
Le tese la mano, pregando perché apparisse salda. La donna la strinse tra le sue e gli posò un bacio leggero sulla guancia.
«Ciao, Saverio.»
Annuì e chiuse gli occhi nel tentativo di trattenerne il profumo.
Tornò. L’indomani e i pomeriggi seguenti.

Si sente stupido, lì da solo intento a fissare una recinzione. Cosa penserebbe chi dovesse vederlo? Si guarda intorno preoccupato, ma non c’è nessuno. Così come nessuno lo scorse mai nelle sue visite clandestine alla Villa e alla sua proprietaria. Darebbe qualsiasi cosa per poter tornare ad allora, sentire di nuovo il profumo della Signora, il tocco delle sue mani.

«Mi chiamo Agathe», gli aveva detto con quel suo accento leggero, quasi impalpabile, invitandolo a sedersi accanto a lei e a darle del tu. Ma non ci riuscì mai.
Per lui fu, è, sarà sempre la Signora. Anche dopo aver esplorato e conosciuto ogni anfratto del suo corpo e averle concesso ogni centimetro del suo. Se chiude gli occhi, riassapora i brividi della prima volta in cui la mano di lei scese sulla sua coscia.
«Hai già fatto l’amore, Saverio?»
Rimase immobile a fissarla, incapace di darle la risposta così evidente, paralizzato dalla paura e dal bisogno che quelle mani non smettessero di toccarlo. Non smisero. E gli mostrarono come muovere le sue. Ricorda il desiderio: quello divertito e un po’ colpevole della donna e quello che gli invadeva il corpo, che gli faceva perdere ogni controllo e timore per tuffarsi nella scoperta proibita e invitante di ciò che fino ad allora aveva solo visto nei giornalini sconci o sentito nelle millanterie dagli amici.
Consumò troppo presto il suo piacere, quella prima volta. Appena il tempo di entrare in lei. Non ha dimenticato il gemito di delusione, né il proprio goffo tentativo di scusarsi e lo sforzo per trattenere le lacrime. Come ricorda bene il tono dolce con cui lo consolò, da madre. Trova quasi blasfemo ancora oggi pensarlo, ma era quello il tono, nella voce di una donna che aveva trent’anni più di lui.
Ma non è da madre che continuò.
«Non importa. Sono cose che capitano anche a chi è più esperto. E apprezzo l’entusiasmo, – ammiccò – se vuoi posso aiutarti a riprovare».
Le sue dita gli sfiorarono il sesso molle e appiccicoso, lo plasmarono, la bocca seguì. Il turgore risorse, insieme alla voglia.
Ci vollero giorni perché imparasse a trattenersi, a far durare il piacere, a ritardare l’orgasmo. Settimane, poi mesi, per esercitarsi a dare piacere e scoprire in quanti e quali modi sentirlo e spartirlo. Passava le notti a immaginare le cose che avrebbe voluto provare con lei e i pomeriggi a renderle vere. Non gli rifiutò mai nessuna fantasia, ne aveva sempre una in più.
Fu un’avventura segreta e stordente che gli fece quasi perdere interesse per ogni altra cosa. Quando i suoi voti peggiorarono spingendo sua madre a minacciare punizioni, furono le parole di Agathe a smuoverlo.
«Non mi toccherai più fino a che i tuoi risultati scolastici non ridiventeranno eccellenti».
Studiò notte e giorno. Sua madre ritrovò il sorriso e lui il letto della Signora. E non solo il letto: si possedettero, avvinghiarono, accarezzarono, succhiarono in ogni angolo della casa. Per più di un anno.
Non sa dire come si spense: un pomeriggio preferì raggiungere gli amici al cinema invece della Villa. Seguirono altri pomeriggi, altri impegni di sedicenne. Poi arrivò Cristina. Gli riuscì difficile, all’inizio, andarci piano con lei, giocare all’inesperto, le fece paura un paio di volte prima di imparare.
Fu la sola con cui ebbe problemi. Forse non ha mai imparato a essere un buon compagno, ma sa che tutte le donne che ha conosciuto hanno apprezzato i suoi talenti d’amante. Grazie ad Agathe. Ora riesce a pronunciarne il nome. Agathe.

Ripensò a lei qualche anno dopo. Di ritorno dall’università per le vacanze, corse alla villa con il cuore affannato, ma la trovò chiusa. Cercò informazioni in paese, fingendo distacco, fino a che sentì dire che pareva fosse tornata in Germania.
«Dicono sia malata, o senza un soldo, che si sia ricordata di avere dei figli, ora che ne ha bisogno».
Scosse la testa infastidito a quei pettegolezzi non richiesti, alla condanna implicita nel tono.
Fu solo allora che si rese conto di non sapere nulla di lei. Di non averle mai chiesto niente se non il piacere. Solo una volta aveva sfiorato d’un dito curioso la sottile cicatrice tra la peluria bionda che le vestiva il sesso.
Lei aveva sorriso: «Mio figlio ha fatto le bizze per venire al mondo», poi gli aveva stretto la testa tra le cosce e non avevano più parlato.

Smise di cercarla, terminò l’università, cominciò il lavoro a Milano, poi gli amici, la casa, le donne. La vita adulta. Tornava in città di rado per fare visita ai genitori. Le poche volte in cui è passato nei pressi della bella dimora l’ha sempre trovata sprangata, l’edera incolta e la cancellata stinta. Ma oggi, eccolo qui.
A quanto pare, dopo tanto tempo, la Villa è di nuovo abitata. Si diverte a immaginare che sia lei, che sia tornata. Tenta di immaginarne il volto, il corpo, le mani. Quanti anni avrebbe? Non riesce a pensarla velata di rughe. Immerso nei suoi pensieri, sobbalza al rumore di un’auto che s’avvicina.
Indietreggia. Osserva il cancello aprirsi lento e l’auto entrare. Resta lì, nascosto, a fissare i battenti richiudersi. Scuote la testa. Avvicina il volto alla siepe, in cerca di uno spiraglio.
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: La Villa Bianca

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Credeva di aver camminato senza una direzione, è sorpreso di ritrovarsi lì davanti.
Quanti anni sono passati dall’ultima volta? Nulla sembra cambiato, tranne l'edera che è ben più densa ora. Suppone che la villa sia di nuovo occupata.
Punteggiatura traballante per l'incipit. Suonerebbe meglio:
È sorpreso di ritrovarsi lì davanti: credeva di aver camminato senza una direzione.
Quanti anni sono passati dall’ultima volta? Tranne l'edera più densa, nulla sembra cambiato. Suppone che la villa sia di nuovo occupata.
Ettore lanciavano occhiate furtive e eccitate.
La d eufonica è obbligatoria se la parola che segue ha la stessa vocale: ed eccitate, in questo caso.
«Vuoi che ti dica che le farei a quella?»
Bisogna sempre cercare di creare dialoghi fluidi o più verosimili possibili dal punto di vista delle pause.
In questo caso hai due possibilità:
Vuoi che ti dica a quella che le farei? per essere più fluida e senza alcuna pausa.
Vuoi che ti dica che le farei, a quella? per rendere la tua costruzione più verosimile.

Nel racconto, comunque, più di tutto c'è più di un problema bello grosso di concordanza di verbi. Usi il presente perché il protagonista passa davanti alla villa e ricorda, ma poi fai un casino incredibile con imperfetti, passato remoto e trapassato. Inutile che io faccia esempi perché dipende dalla frase in sé e ogni volta l'errore è diverso.
A parte questo devo dire, @Bef, che i contenuti mi sono piaciuti e il racconto vale: sistemati i problemi di forma, rimane più che godibile; incipit, svolgimento e finale sono ben gestiti e il protagonista, insieme alla misteriosa Agathe, sono ottimi protagonisti del racconto breve.
Domenico Russo - Editor
Gruppo Dedalo - Servizi editoriali

Re: La Villa Bianca

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Mi associo al commento di Niko, soprattutto per quanto riguarda la consecutio temporum, che va a farsi benedire più o meno in tutto il racconto. A parte questo problema, si è trattato di una lettura piacevole e i due personaggi appaiono ben caratterizzati. E' sui verbi che dovresti lavorare, per migliorarti. Non avertene a male, tutti abbiamo bisogno di migliorarci, sempre.
Mario Izzi
2025 - Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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