[CE24-2] Piazza Grande 2 - Ziska
Posted: Sun Sep 01, 2024 7:50 pm
Non ha solo un altro viso, ma anche un altro nome. Non è più Francesca, ora è Ziska, Ziska Wagner.
Francesca è rimasta a Bologna venticinque anni fa, quando ancora era legata a Michele.
I modi da genio maledetto di Michele non erano facili da digerire, erano più bagordi che arte.
Ai tempi adorava guardarlo mentre dipingeva alla foggia di Tintoretto o, su due piedi, le esibiva un Modigliani. Lo amava mentre concionava sui massimi sistemi, lei sdraiata sul divano tarmato. “Se ogni singolo individuo si sentisse responsabile della propria felicità, sarebbe inevitabile evolvere verso il benessere universale. Se ogni singolo individuo praticasse quel minimo di onestà intellettuale necessaria alla sopravvivenza del genere umano, non esisterebbe più violenza e nemmeno povertà!” La voce appassionata con cui declamava le proprie idee era indimenticabile.
Ma i suoi discorsi erano come la sua arte, un confuso collage di nozioni prese qua e la e riportate con lo stesso entusiasmo di un bambino nel paese dei balocchi.
Quello che Michele sapeva fare bene era imitare i propri eroi. Quindi la amava come una star del cinema compresi tutti i gesti drammatici e romantici che lo colpivano. Ed era un maestro in colpi di scena e sorprese costose.
Ziska socchiude gli occhi, Tobia è sbiadito davanti a lei, sopraffatto dagli eventi. Glielo legge in faccia che non è una buona cosa avere un fratello barbone con un senso della giustizia talmente sviluppato da sacrificarsi per salvare una sua pari da uno stupro.
Ma peggio ancora trovare la donna che lo aveva lasciato per suo fratello, che lavora affacciata sulle aiuole dove vive il disgraziato.
“Scusa, sono davvero sorpreso. Sei così inusuale e tutta questa storia mi confonde.”
Eccolo il Tobia che conosceva lei, quello che doveva digerire tutto fin nei minimi dettagli prima di poter agire. È così spaesato dalla situazione che la tenerezza che ha provato per un momento si trasforma in lieve disprezzo. Non è cambiato davvero nulla in oltre venticinque anni.
“Sei andato a visitare Michele? Come sta?”
“È ancora in coma farmacologico. Ma sapevi che le ha prese per salvare un’altra barbona da uno stupro? Ma vi parlavate?”
“Era scritto anche sul Resto del Carlino: eroico senzatetto interviene contro uno stupro di gruppo.”
Ziska glissa sulla seconda domanda. Non vuole confidarsi con Tobia, ha la sensazione che non gli interessi davvero. In fondo ai suoi occhietti da professore vede una luce che non le piace del tutto.
“Sai, ormai vivo a Milano da anni, e il Resto del Carlino non lo leggo più. Michele l’ho lasciato al suo destino un sacco di anni fa, sai come era fatto. E anche la mamma è morta senza rivederlo. Tu invece?”
Ziska si specchia nella vetrina e si chiede io cosa? Gli deve raccontare della sua vita ad Amsterdam, del successo, dei soldi, dell’amatissimo marito scomparso? Deve fare l’elenco dei successi dei suoi figli, della voglia di tornare alle origini, nella sua terra?
Oppure Tobia vuole solo sapere com’è andata a finire davvero fra suo fratello e lei. Forse è interessato ai dettagli sordidi. Quelli legati al consumo e spaccio di cocaina, quando Michele faceva i soldi con i falsi d’autore ed era così fuori di testa che a giorni la rendeva felice come non mai per gettarla negli abissi della disperazione il giorno dopo. E poi gli acidi, quelle pratiche pastigliette da buttare giù a qualsiasi ora.
Francesca era fuggita da quella sensazione di onnipotenza chimica, che spingeva la creatività oltre ogni limite per lasciarti puzzolente e inerme davanti alla quotidianità.
“Io invece sono rientrata in Italia da poco, ho appena aperto la mia galleria e riprenderò a brevissimo il mio lavoro.”
“Gestisci la galleria per qualcuno? Ti faccio i miei complimenti, magari Michele fosse stato come te.”
All’improvviso si ricorda perfettamente il suo modo di non ascoltare, il vero motivo per cui non aveva funzionato fra loro due.
“Non gestisco niente, sono mercante d’arte.” Secca e veloce: “Michele ha fatto le sue scelte, ha trovato la sua dimensione.”
“Giusto Francesca, mi stavi dicendo che vi parlavate?”
Di nuovo l’uomo convinto di aver capito tutto talmente bene, che nemmeno era necessario ascoltare gli altri.
“Ziska, prego. Questo adesso è il mio nome, e no, non ho mai parlato con Michele.”
“Ma scusa, la memoria del vostro amore non è bastata per dargli una mano, riportarlo alla normalità?”
“Quella è la sua vita e poi non mi ha nemmeno riconosciuta.”
“Ci credo, sei così diversa. Hai almeno voglia di accompagnarmi in ospedale?”
Il suo piccolo ricatto morale le serve per cedere alla voglia di accertarsi con i propri occhi sullo stato di salute di Michele.
Tacciono lungo il tragitto, non c’è traccia della confidenza che avevano avuto.
In silenzio anche le scale e il corridoio fino alla vetrata dietro alla quale Michele è collegato a tutte quelle macchine.
L’infermiera li informa che è stazionario.
Ziska non riesce a staccare gli occhi dal suo volto, per la prima volta sereno nonostante le ferite e le bende. Sereno come mai lo aveva visto.
Annuisce per educazione alle spiegazioni di Tobia. Non le interessa quale tubo porti l’ossigeno e attraverso quale venga nutrito e per quanto tempo ancora lo tengano nel mondo dei sogni.
Intuisce l’uomo che sarebbe stato se solo fosse stato possibile domare la sua passione, se solo l’amore per le esagerazioni fosse stato in equilibrio con l’amore per lei. Sulla sua fronte le pare di leggere di tutte le occasioni perdute, l’uomo che avrebbe potuto essere.
Emerge un “Hai visto come è ridotto?” nel parlottio di Tobia.
“Il pestaggio o la vita?” Chiede Ziska piano, gli occhi fissi su Michele. Lo sa che non avrà più occasione di memorizzare i suoi tratti. Sa che non sarebbe in grado di resistere allo sguardo stralunato del Michelaccio, con una sola occhiata consapevole la trasformerebbe in madre, sorella, amica, amante, ma soprattutto la strapperebbe dalla propria vita per trascinarla con sé.
“Macché vita e vita, Michele ha fatto le sue scelte e adesso ne paga le conseguenze. E poi, Francesca, lo sai anche tu. A modo tuo ci hai provato a salvarlo e hai fallito, perché sei di un'altra stoffa. Guardati ricca e rifatta, che c’azzecchi con lui?”
Questa banalità la irrita, ma si trattiene.
Non può raccontare del tuffo al cuore che aveva provato vedendo Michele con lo sguardo stralunato da Michelaccio, che faceva da leader a quella banda di disadattati sociali. Nemmeno vuole parlare dei disegni a carboncino che conserva nella galleria, quelli che lui faceva fra un turista e l’altro e che la sua amica le portava in cambio di acqua, cibo, coperte e altro materiale da disegno. Quelli in cui Ziska riconosceva il proprio volto di venticinque anni prima. Non può parlare del talento che lei ancora vede in lui e nemmeno del fatto, che per quanto sia stata felice con suo marito, forse ama questo pazzo, cencioso Michele.
Non può nemmeno confidare, a questo arido omuncolo, che la prima volta che ha rivisto Michele rannicchiato nell’aiuola con i suoi amici, dal bar proveniva la voce di Lucio Dalla. In quel momento avrebbe voluto essere lei a dargli le carezze di cui aveva bisogno.
“Come faccio ad aiutare mio fratello. Gli do soldi? Prendermelo in casa sarebbe un problema. Magari nemmeno gli interessa venire a vivere a Milano.”
Ziska non risponde. Ripete tra sé ultimi due versi della canzone: Voglio morire in Piazza Grande/
Tra i gatti che non han padrone come me attorno a me. La loro bellezza e semplicità racchiudono l’unica risposta possibile.
Forse questo è l’ultimo e unico atto d’amore che lei si può permettere per Michelaccio.
“Tobia, non hai mai fatto nulla, continua così.”
Francesca è rimasta a Bologna venticinque anni fa, quando ancora era legata a Michele.
I modi da genio maledetto di Michele non erano facili da digerire, erano più bagordi che arte.
Ai tempi adorava guardarlo mentre dipingeva alla foggia di Tintoretto o, su due piedi, le esibiva un Modigliani. Lo amava mentre concionava sui massimi sistemi, lei sdraiata sul divano tarmato. “Se ogni singolo individuo si sentisse responsabile della propria felicità, sarebbe inevitabile evolvere verso il benessere universale. Se ogni singolo individuo praticasse quel minimo di onestà intellettuale necessaria alla sopravvivenza del genere umano, non esisterebbe più violenza e nemmeno povertà!” La voce appassionata con cui declamava le proprie idee era indimenticabile.
Ma i suoi discorsi erano come la sua arte, un confuso collage di nozioni prese qua e la e riportate con lo stesso entusiasmo di un bambino nel paese dei balocchi.
Quello che Michele sapeva fare bene era imitare i propri eroi. Quindi la amava come una star del cinema compresi tutti i gesti drammatici e romantici che lo colpivano. Ed era un maestro in colpi di scena e sorprese costose.
Ziska socchiude gli occhi, Tobia è sbiadito davanti a lei, sopraffatto dagli eventi. Glielo legge in faccia che non è una buona cosa avere un fratello barbone con un senso della giustizia talmente sviluppato da sacrificarsi per salvare una sua pari da uno stupro.
Ma peggio ancora trovare la donna che lo aveva lasciato per suo fratello, che lavora affacciata sulle aiuole dove vive il disgraziato.
“Scusa, sono davvero sorpreso. Sei così inusuale e tutta questa storia mi confonde.”
Eccolo il Tobia che conosceva lei, quello che doveva digerire tutto fin nei minimi dettagli prima di poter agire. È così spaesato dalla situazione che la tenerezza che ha provato per un momento si trasforma in lieve disprezzo. Non è cambiato davvero nulla in oltre venticinque anni.
“Sei andato a visitare Michele? Come sta?”
“È ancora in coma farmacologico. Ma sapevi che le ha prese per salvare un’altra barbona da uno stupro? Ma vi parlavate?”
“Era scritto anche sul Resto del Carlino: eroico senzatetto interviene contro uno stupro di gruppo.”
Ziska glissa sulla seconda domanda. Non vuole confidarsi con Tobia, ha la sensazione che non gli interessi davvero. In fondo ai suoi occhietti da professore vede una luce che non le piace del tutto.
“Sai, ormai vivo a Milano da anni, e il Resto del Carlino non lo leggo più. Michele l’ho lasciato al suo destino un sacco di anni fa, sai come era fatto. E anche la mamma è morta senza rivederlo. Tu invece?”
Ziska si specchia nella vetrina e si chiede io cosa? Gli deve raccontare della sua vita ad Amsterdam, del successo, dei soldi, dell’amatissimo marito scomparso? Deve fare l’elenco dei successi dei suoi figli, della voglia di tornare alle origini, nella sua terra?
Oppure Tobia vuole solo sapere com’è andata a finire davvero fra suo fratello e lei. Forse è interessato ai dettagli sordidi. Quelli legati al consumo e spaccio di cocaina, quando Michele faceva i soldi con i falsi d’autore ed era così fuori di testa che a giorni la rendeva felice come non mai per gettarla negli abissi della disperazione il giorno dopo. E poi gli acidi, quelle pratiche pastigliette da buttare giù a qualsiasi ora.
Francesca era fuggita da quella sensazione di onnipotenza chimica, che spingeva la creatività oltre ogni limite per lasciarti puzzolente e inerme davanti alla quotidianità.
“Io invece sono rientrata in Italia da poco, ho appena aperto la mia galleria e riprenderò a brevissimo il mio lavoro.”
“Gestisci la galleria per qualcuno? Ti faccio i miei complimenti, magari Michele fosse stato come te.”
All’improvviso si ricorda perfettamente il suo modo di non ascoltare, il vero motivo per cui non aveva funzionato fra loro due.
“Non gestisco niente, sono mercante d’arte.” Secca e veloce: “Michele ha fatto le sue scelte, ha trovato la sua dimensione.”
“Giusto Francesca, mi stavi dicendo che vi parlavate?”
Di nuovo l’uomo convinto di aver capito tutto talmente bene, che nemmeno era necessario ascoltare gli altri.
“Ziska, prego. Questo adesso è il mio nome, e no, non ho mai parlato con Michele.”
“Ma scusa, la memoria del vostro amore non è bastata per dargli una mano, riportarlo alla normalità?”
“Quella è la sua vita e poi non mi ha nemmeno riconosciuta.”
“Ci credo, sei così diversa. Hai almeno voglia di accompagnarmi in ospedale?”
Il suo piccolo ricatto morale le serve per cedere alla voglia di accertarsi con i propri occhi sullo stato di salute di Michele.
Tacciono lungo il tragitto, non c’è traccia della confidenza che avevano avuto.
In silenzio anche le scale e il corridoio fino alla vetrata dietro alla quale Michele è collegato a tutte quelle macchine.
L’infermiera li informa che è stazionario.
Ziska non riesce a staccare gli occhi dal suo volto, per la prima volta sereno nonostante le ferite e le bende. Sereno come mai lo aveva visto.
Annuisce per educazione alle spiegazioni di Tobia. Non le interessa quale tubo porti l’ossigeno e attraverso quale venga nutrito e per quanto tempo ancora lo tengano nel mondo dei sogni.
Intuisce l’uomo che sarebbe stato se solo fosse stato possibile domare la sua passione, se solo l’amore per le esagerazioni fosse stato in equilibrio con l’amore per lei. Sulla sua fronte le pare di leggere di tutte le occasioni perdute, l’uomo che avrebbe potuto essere.
Emerge un “Hai visto come è ridotto?” nel parlottio di Tobia.
“Il pestaggio o la vita?” Chiede Ziska piano, gli occhi fissi su Michele. Lo sa che non avrà più occasione di memorizzare i suoi tratti. Sa che non sarebbe in grado di resistere allo sguardo stralunato del Michelaccio, con una sola occhiata consapevole la trasformerebbe in madre, sorella, amica, amante, ma soprattutto la strapperebbe dalla propria vita per trascinarla con sé.
“Macché vita e vita, Michele ha fatto le sue scelte e adesso ne paga le conseguenze. E poi, Francesca, lo sai anche tu. A modo tuo ci hai provato a salvarlo e hai fallito, perché sei di un'altra stoffa. Guardati ricca e rifatta, che c’azzecchi con lui?”
Questa banalità la irrita, ma si trattiene.
Non può raccontare del tuffo al cuore che aveva provato vedendo Michele con lo sguardo stralunato da Michelaccio, che faceva da leader a quella banda di disadattati sociali. Nemmeno vuole parlare dei disegni a carboncino che conserva nella galleria, quelli che lui faceva fra un turista e l’altro e che la sua amica le portava in cambio di acqua, cibo, coperte e altro materiale da disegno. Quelli in cui Ziska riconosceva il proprio volto di venticinque anni prima. Non può parlare del talento che lei ancora vede in lui e nemmeno del fatto, che per quanto sia stata felice con suo marito, forse ama questo pazzo, cencioso Michele.
Non può nemmeno confidare, a questo arido omuncolo, che la prima volta che ha rivisto Michele rannicchiato nell’aiuola con i suoi amici, dal bar proveniva la voce di Lucio Dalla. In quel momento avrebbe voluto essere lei a dargli le carezze di cui aveva bisogno.
“Come faccio ad aiutare mio fratello. Gli do soldi? Prendermelo in casa sarebbe un problema. Magari nemmeno gli interessa venire a vivere a Milano.”
Ziska non risponde. Ripete tra sé ultimi due versi della canzone: Voglio morire in Piazza Grande/
Tra i gatti che non han padrone come me attorno a me. La loro bellezza e semplicità racchiudono l’unica risposta possibile.
Forse questo è l’ultimo e unico atto d’amore che lei si può permettere per Michelaccio.
“Tobia, non hai mai fatto nulla, continua così.”