[MI 182] L’orologio della morte
Posted: Wed Jul 10, 2024 5:51 pm
Traccia 2 Rumore impossibile
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Per Filippo Marini le sei del mattino erano l’ora migliore per scendere in strada al riparo da sguardi indiscreti.
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Per Filippo Marini le sei del mattino erano l’ora migliore per scendere in strada al riparo da sguardi indiscreti.
Camminava piano con lo sguardo rivolto al selciato. Visto da lontano poteva sembrare ubriaco: si muoveva a passi incerti e ondeggiava un po’; ogni tanto si fermava, restava qualche attimo assorto ad accarezzarsi la barba e, dopo aver invertito il senso di marcia, muoveva qualche passo nella direzione opposta, come se avesse dimenticato qualcosa e dovesse tornare indietro. Poi, infilava la mano nella tasca del giaccone, la ispezionava frenetico fino a sentire la consistenza fredda e metallica della moneta da cento lire che portava sempre con sé. “Con questa potrai diventare ricco” gli aveva detto un giorno suo nonno. E lui gli aveva creduto.
Quindi si voltava di nuovo per riprendere la direzione originale ma, prima di proseguire, alzava la mano sinistra, faceva le corna verso il cielo e sputava per terra.
Le mattine si assomigliavano tutte, cambiavano le stagioni, ma Filippo Marini pareva non curarsene. Mai un raffreddore, mai un colpo di tosse o una linea di febbre: alle sei in punto apriva la porta di casa per recarsi al lavoro. Arrivava sempre prima del suo titolare; si sedeva su una panchina ubicata nel vialetto alberato in prossimità dell’impresa funebre.
«Dai entra, fa un freddo cane stamani e non vorrei ti buscassi un malanno proprio oggi» gli disse un giorno il signor Oreste.
Filippo tastò la moneta nella tasca, alzò le spalle ed entrò bofonchiando frasi sconnesse.
«Stamani ho appuntamento con il vedovo Cicerone e voglio che sia tutto perfetto: avremo gli occhi del paese intero puntati addosso. Si dice che Cicerone forse sarà il prossimo sindaco.»
Filippo alzò per un istante lo sguardo al cielo.
«Anzi, ora che la signora è…» sospirò Oreste «defunta, lo diventerà di sicuro. Lei era ricchissima e lui erediterà una fortuna visto che non hanno avuto figli.»
Filippo scosse la testa borbottando qualche frase fra sé e sé. Stava per mettersi a tirare a lucido la cassa più elegante in mostra, quando udì un ticchettio. Sembrava simile a quello dell’orologio da polso che indossava suo nonno: ogni tanto faceva delle variazioni nel ritmo: “Tic, toc, tic, toc, tic tic tiritic toc…”
«Filippo, hai capito bene cosa ti ho appena detto?»
«Schhhh!»
«Questa, poi! Ma che ti prende?»
«Schhhhhh!» Filippo lo zittì di nuovo.
Il ticchettio riprese più forte di prima. Iniziò a contare i movimenti con le dita: ogni sei colpi regolari ne capitava uno fuori melodia. Annotò mentalmente i numeri.
«Non lo sente?»
«Non sento niente perché non c’è niente da sentire. Sbrigati!»
Filippo annuì e si mise all’opera; dopo una buona mezz’ora e seicentotredici ticchettii regolari seguiti da cinquantaquattro irregolari, la bara brillava come uno specchio.
Il vedovo si presentò che era quasi ora di pranzo e dopo aver ricevuto le condoglianze di rito esaminò con una rapida occhiata la cassa.
«Le piace? È un modello esclusivo. Rovere massello. Il prezzo al pubblico è di dodicimilacinquecento euro ma, per lei, posso fare un’eccezione: gliela offro a prezzo di costo: ottomila euro cerimonia funebre inclusa.»
«Veramente pensavo a qualcosa di più economico. Legno di pino, per esempio.»
La richiesta fu seguita da qualche istante di silenzio.
“Tic, toc, tic, toc, tic tic tiritic toc…”
Il vedovo e futuro sindaco Cicerone sbiancò in volto. «Avete sentito?»
«Io non ho sentito nulla» si affrettò a rispondere il signor Oreste.
Filippo, che si era tenuto in disparte fino a quel momento, si lisciò la barba e ripetè a bassa voce:
«Tic, toc, tic, toc, tic tic tiritic toc…»
«Sì! Proprio quello! Ma cos’è?»
«Non lo sa? È l’orologio della morte! Tic, toc, tic…»
«Non badi a lu è un po’…» l’imprensario picchiettò la tempia con l’indice «ma è una brava persona. Ci vuole pazienza.»
Filippo, nel frattempo continuava a guardare dritto negli occhi il cliente.
«L’orologio della morte! Un po’ macabro, ma ci sta considerato dove ci troviamo... Dunque, dicevo che la mia povera moglie amava le cose semplici. Come una bara in legno di pino, per esempio.»
Il ticchettio riprese più forte di prima. Il futuro sindaco si schiarì la voce e rivolgendosi a Filippo gli chiese:
«Ma dov’è questo orologio della morte? Potrebbe fermarlo o portarlo altrove?»
Gli rispose a bruciapelo:
«Quello si fa sentire come vuole e da chi vuole. Forse la defunta non gradisce così tanto la semplicità.»
«Il nostro “omone” potrebbe aver ragione… che ne dice della cassa in noce? Cinquemila euro compreso il funerale!» disse l’impresario.
Tic, toc, tic, toc, tic tic tiritic toc… Il rumore riprese ancora più forte di prima
«Schhhhh! Questo deve essere un messaggio della fu signora Cicerone. Come è… passata a miglior vita?» chiese Filippo.
Il cliente si slacciò la cravatta.
«Perché non si siede? È bianco come un lenzuolo.» L’impresario guardò storto Filippo facendogli cenno di allontanarsi.
«Mia… mia moglie è morta nel sonno. Una santa! Una santa che ha fatto una morte santa!» balbettò.
Il ticchettio aumentò d’intensità.
«Allora, potete fermare o no quel maledetto orologio?»
Filippo, che non si era spostato di un centimetro, prese una sedia e si piazzò davanti al futuro sindaco.
«Eh, sì… la sua signora vuole raccontarci qualcosa. Sia a me che a lei…»
Tic, toc, tic, toc, tic tic tiritic toc
Il signor Cicerone abbozzò un sorriso. «E cosa vorrebbe dire la mia signora di tanto importante?»
«Per saperlo, bisogna metterle una moneta da cento lire in mezzo alla fronte. Ma lo sa che nelle cento lire era raffigurata la dea Minerva? Me lo diceva sempre mio nonno: Minerva si fa guidare dalla ragione è nata già adulta. Minerva è la ragione e non si fa ingannare dal cuore!»
L’impresario ascoltava con gli occhi spalancati e le dita incrociate il dialogo fra i due.
Il signor Cicerone tirò un sospiro di sollievo: «Allora vuol dire che la mia defunta coniuge si porterà il segreto nella tomba! Di cento lire, amico mio, non ce ne sono più.»
TIC, TOC, TIC, TIRITIC…
Stavolta il ticchettio sembrò quello di una gigantesca pendola.
Filippo si frugò in tasca, estrasse la moneta e la mostrò al vedovo: «Molto presto sapremo la verità. Riuscirò a fermare l’orologio.»
«Per l’amor di Dio. Lasciamo in pace i defunti. Quanto vuole per quella moneta? Ci penserò io stesso a… parl… sì, insomma, a comunicare con la mia signora.»
«Mi spiace, non intendo venderla. A nessun prezzo!»
«Comunque sia, vada per la bara di radica e se mi tratterete bene saprò come ricompensarvi quando sarò sindaco!»
Quando il cliente fu uscito, il principale si avvicinò a Filippo fregandosi le mani:
«Ma come te la sei inventata quella storia dell’orologio della morte? Sei stato bravissimo a spaventare a modo quello spilorcio. Non lo voterò di certo!»
«È una specie di tarlo molto grosso. Gli abbiamo venduto una cassa costosa e tarlata.»
Il signor Oreste allargò le braccia: «Pazienza! Di certo la signora non verrà a reclamare, ti pare? Piuttosto… la storia delle cento lire dove l’hai sentita dire?»
«È vera! Me la raccontava sempre il mio nonno. Anzi, credo che il signor Cicerone abbia proprio qualcosa da nascondere… Ha visto come sudava?»
Prima di rientrare a casa, quel giorno Filippo si fermò a una ricevitoria del lotto; aveva contato seicentotredici ticchettii regolari seguiti da cinquantaquattro irregolari. Giocò un terno sulla ruota di Bari: il sei, il tredici e il cinquantaquattro.
La notte sognò la defunta signora Cicerone.
Per Filippo Marini le sei del mattino erano l’ora migliore. Quella mattina, prima di entrare al lavoro, si diresse alla locale stazione dei Carabinieri. Quando ne uscì, frugò dentro alla tasca del giaccone, poi alzò le mani al cielo ma non fu per fare le corna: questa volta scoccò un bacio sonoro.
Qualche giorno dopo il giornale titolò: “Indagato il candidato sindaco Cicerone per sospetto uxoricidio e poco più in basso, “Vinti centomila euro alla ricevitoria xxx”. La moneta gli aveva portato fortuna. Il nonno glielo aveva detto e lui gli aveva sempre creduto.