[MI180] Svegli e dormienti
Inviato: mer mar 13, 2024 1:51 pm
Traccia 1 "Bene o male"
Quella sera era possibile. Rosa aveva insistito così tanto per rimanere in città, che i genitori l’avevano accontentata. Dopo tutto aveva sedici anni, era grande. Le avevano fatto le solite raccomandazioni ed erano andati per il weekend nella casa su al paese, dove passavano parte dell’estate.
Quindi quella sera si poteva fare. Mandò l’sms di ok sul cellulare di mio padre, che all’epoca espropriavo per comunicare con lei.
Non abitavamo poi così vicini: io al centro, lei in un quartiere periferico a cinque o sei chilometri di distanza e duecento mento metri di dislivello. Riesumai la vecchia bici.
Erano le dieci di sera, ma l’aria era lo stesso torrida, la strada lunga e in salita, le gomme della bicicletta completamente a terra. Quando arrivai, Rosa si mise a ridere e mi portò in bagno: andavo asciugato corpo, capelli e vestiti.
Fu anche la scusa per spogliarmi, per accarezzarmi il petto mentre vi passava l’asciugamani, per rompere con lo scherzo l’imbarazzo. Se la salita mi aveva spossato, le sue carezze da un lato mi ridavano il fiato, dall’altro mi acceleravano di nuovo i battiti del cuore. No, non di desiderio o d’amore. Di ansia.
La seconda prima volta è di sicuro più difficile della prima. Con la mia prima ragazza ci eravamo svezzati l’un l’altro, eravamo cresciuti insieme, avevamo fatto insieme le stesse scoperte e gli stessi errori, avevamo capito pian piano cosa ci piacesse e cosa no, cosa fare per esser sicuri di far piacere all’altro.
Di Rosa, non sapevo nulla. Sarebbero andate bene le cose che piacevano a Gabriella, oppure avrebbe voluto dell’altro? Il suo primo ragazzo, un tipo biondino, alto, carino, dagli occhi azzurri, cosa le faceva? Sapevo solo che facevano l’amore su delle coperte, nel garage di lei, e basta. Lo sapevo perché glielo avevo estorto io, interrogandola fin quasi alla tortura, per poi rimanere lacerato dalla confessione.
Riccardo, ecco, si chiamava Riccardo. Cosa le faceva Riccardo? Sarei stato altrettanto bravo?
Quando ti accingi a fare l’amore con simili pensieri in testa, è difficile che vada bene. Si sa.
Allora, anche io sedicenne, non lo sapevo. Mi affannavo su Rosa, sudavo sul suo lettino, cercavo un capezzolo, un lembo di schiena, un lobo d’orecchio, il bottoncino magico del suo piacere. E intanto, il mio, di piacere, aveva disertato quell’appuntamento.
Pensare che erano mesi che aspettavamo! Pensare che anche io avevo avuto il mio bel da fare per convincere i miei a lasciarmi uscire a quell’ora di notte! Pensare che avevo sognato quel momento come una scena delle mille e una notte corretta al kamasutra, un sogno esotico estivo di concreta carnalità!
I preliminari non stavano andando bene, dunque decisi di prendere il preservativo.
Non mi spiego ancora oggi l’avventatezza di una simile mossa, come potevo mai sperare che, date le premesse, entrambi i piaceri assenti, il preservativo avrebbe potuto servirmi a qualcosa?
E invece si sbaglia il me di adesso, e il me di allora ebbe ragione, perché il preservativo, o meglio la sua assenza, mi salvò la faccia.
Andando a frugare nelle tasche esterne della borsa in canapa, non trovai niente. Nessun condom. Eppure, ne ero certo, ero lì che lo nascondevo e custodivo. Cerca e ricerca, niente. Sinceramente fingendo un sentimento di stizza, buttai a terra la borsa e spiegai a Rosa che non avevo il preservativo. Non si poteva fare. Lei rispose con molta sportività, che, vabbeh, sarebbe stata per un’altra volta.
Grazie al cielo, era solo colpa del preservativo. Me ne scappai riconfortato, convincendomene. E dunque adirandomi tra me e me con mio fratello dodicenne, l’unico indiziato possibile della sparizione. Era lui il colpevole della mia sessualità frustrata.
Quando lo interrogai, il giorno dopo, con mio stupore, non negò. Aveva preso il profilattico, mi disse, ma solo per curiosità, e se non lo aveva rimesso a posto era stato perché gli era caduto nella nutella. Testuali parole. Si scusava tanto e, cosa davvero inconsueta, sembrava davvero mortificato.
Quella spiegazione, palesemente falsa, fu talmente assurda e sciocca che lo lasciai stare: non sapevo cosa controbattere. Ancora oggi non so cosa sia accaduto veramente.
Fatto sta che alla successiva occasione che si ripresentò con Rosa, arrivammo entrambi molto tesi. Lei era passiva, io feci delle cose con la bocca che a Benedetta piacevano molto, ma che lei definii delle porcate. Mi inibii ulteriormente. Stavolta non ci fu la scusa del preservativo mancante, non funzionava.
Incominciammo ad avere quasi paura del sesso, e a non provarci più. Restammo insieme castamente.
La cosa che mi tormentava non era che tra noi non funzionasse, ma che a me non funzionava!
Mi confidai vergognosamente con qualche amico, un po’ tutti mi canzonarono, qualcuno tra i più saggi mi suggerì che dovevo parlarne con uno psicologo, altrimenti il problema me lo portavo appresso a lungo.
Non andai dallo psicologo - non allora-, ma feci yoga e sedute di agopuntura.
Con Rosa, per il resto, andava bene. Lei era molto dolce e mi ammirava molto, la coppia resistette per altri mesi, che per dei sedicenni valgono anni.
Poi ci fu la festa di capodanno a cui Rosa non potè venire. Io mi dispiacqui parecchio: magari era davvero l’occasione giusta per sbloccarci.
Festeggiammo con la comitiva in una cascina di campagna di proprietà di non so quale parente di un nostro amico. Ballammo, dicemmo stronzate, ci ubriacammo. Soprattutto ci ubriacammo. Parecchi stettero male e dovettero tornarsene a casa, chiamando i genitori. Noi superstiti rimanemmo a dormire in un grande stanzone con tre letti a castello. Col senno di poi, in quella situazione, dubito io e Rosa avremmo mai potuto sbloccarci.
I letti non bastavano, avremmo dovuto condividerli.
Accanto a me si sdraiò Carmela, forse la più malmessa della serata, che però non aveva voluto andarsene, perché i genitori, in generale, nella vita, stavano più malmessi di lei.
Nel dormiveglia alcolico Carmela mi abbracciava, e mi chiedeva di stringerla. Malmessa era malmessa, ma era anche la ragazza più bella della festa, per cui l’abbracciai. O almeno credo fu per quello.
Lei mi premeva la faccia sulla faccia, e io avvertii risvegliarsi qualcosa nella mia virilità. Passai tutta la notte così, la mia virilità eretta e Carmela che mi russava sulla faccia.
A mio fratello, della mia eccitazione notturna con Carmela, non dissi mai. Dissi, così, giusto per farmi bello, che avevo condiviso il letto con Carmela. È per questo che mi meraviglia e mi inalberai così tanto quando, rispondendo al cellulare di mio padre, raccontò a Rosa che ero stato a letto con Carmela. Detto così era una calunnia!
Ebbi modo di spiegare a Rosa come stavano le cose veramente, e di recuperare il rapporto. Ricucimmo e rimanemmo insieme, per mesi, forse per un altro anno. Ma era chiaro che qualcosa si era rotto. Io non riuscivo a non pensare a quell’erezione di una notte intera, a Carmela sulla mia faccia, al senso di risveglio provato. Perché con Rosa non poteva essere lo stesso? Lei, dal canto suo, era diventata diffidente, gelosissima, in special modo di Carmela. E siccome quando si è feriti si va all’attacco, mi tradì, come venni a sapere da un amico, con un tipo di nome Gregorio, bruttissimo. Litigammo. Lei negò. Ci lasciammo. Tornammo insieme. Pochi mesi dopo lei mi lasciò per mettersi con Gregorio.
Peccato. Eravamo ragazzi, non avevamo l’esperienza per gestire difficoltà che adesso mi sembrano banali, ma che allora apparivano come enormi ed etichettanti.
Quello che davvero mi dispiace è che la crepa sia nata da un puro equivoco, non so perché Rosa abbia preso tanto sul serio l’incidente con Carmela. Non eravamo che due ubriachi che hanno condiviso un materasso.
Oggi io e Carmela abbiamo due figli e viviamo nelle isole Tonga. Qui si sta proprio bene. Ogni tanto, pensando a Rosa, mi scappa di dire che mi dispiace di non averle potuto offrire tutto questo. Ma lo dico in maniera del tutto innocente. Eppure Carmela si incazza, e la vedo sparire, anche per ore, nel villaggio indigeno.
Quella sera era possibile. Rosa aveva insistito così tanto per rimanere in città, che i genitori l’avevano accontentata. Dopo tutto aveva sedici anni, era grande. Le avevano fatto le solite raccomandazioni ed erano andati per il weekend nella casa su al paese, dove passavano parte dell’estate.
Quindi quella sera si poteva fare. Mandò l’sms di ok sul cellulare di mio padre, che all’epoca espropriavo per comunicare con lei.
Non abitavamo poi così vicini: io al centro, lei in un quartiere periferico a cinque o sei chilometri di distanza e duecento mento metri di dislivello. Riesumai la vecchia bici.
Erano le dieci di sera, ma l’aria era lo stesso torrida, la strada lunga e in salita, le gomme della bicicletta completamente a terra. Quando arrivai, Rosa si mise a ridere e mi portò in bagno: andavo asciugato corpo, capelli e vestiti.
Fu anche la scusa per spogliarmi, per accarezzarmi il petto mentre vi passava l’asciugamani, per rompere con lo scherzo l’imbarazzo. Se la salita mi aveva spossato, le sue carezze da un lato mi ridavano il fiato, dall’altro mi acceleravano di nuovo i battiti del cuore. No, non di desiderio o d’amore. Di ansia.
La seconda prima volta è di sicuro più difficile della prima. Con la mia prima ragazza ci eravamo svezzati l’un l’altro, eravamo cresciuti insieme, avevamo fatto insieme le stesse scoperte e gli stessi errori, avevamo capito pian piano cosa ci piacesse e cosa no, cosa fare per esser sicuri di far piacere all’altro.
Di Rosa, non sapevo nulla. Sarebbero andate bene le cose che piacevano a Gabriella, oppure avrebbe voluto dell’altro? Il suo primo ragazzo, un tipo biondino, alto, carino, dagli occhi azzurri, cosa le faceva? Sapevo solo che facevano l’amore su delle coperte, nel garage di lei, e basta. Lo sapevo perché glielo avevo estorto io, interrogandola fin quasi alla tortura, per poi rimanere lacerato dalla confessione.
Riccardo, ecco, si chiamava Riccardo. Cosa le faceva Riccardo? Sarei stato altrettanto bravo?
Quando ti accingi a fare l’amore con simili pensieri in testa, è difficile che vada bene. Si sa.
Allora, anche io sedicenne, non lo sapevo. Mi affannavo su Rosa, sudavo sul suo lettino, cercavo un capezzolo, un lembo di schiena, un lobo d’orecchio, il bottoncino magico del suo piacere. E intanto, il mio, di piacere, aveva disertato quell’appuntamento.
Pensare che erano mesi che aspettavamo! Pensare che anche io avevo avuto il mio bel da fare per convincere i miei a lasciarmi uscire a quell’ora di notte! Pensare che avevo sognato quel momento come una scena delle mille e una notte corretta al kamasutra, un sogno esotico estivo di concreta carnalità!
I preliminari non stavano andando bene, dunque decisi di prendere il preservativo.
Non mi spiego ancora oggi l’avventatezza di una simile mossa, come potevo mai sperare che, date le premesse, entrambi i piaceri assenti, il preservativo avrebbe potuto servirmi a qualcosa?
E invece si sbaglia il me di adesso, e il me di allora ebbe ragione, perché il preservativo, o meglio la sua assenza, mi salvò la faccia.
Andando a frugare nelle tasche esterne della borsa in canapa, non trovai niente. Nessun condom. Eppure, ne ero certo, ero lì che lo nascondevo e custodivo. Cerca e ricerca, niente. Sinceramente fingendo un sentimento di stizza, buttai a terra la borsa e spiegai a Rosa che non avevo il preservativo. Non si poteva fare. Lei rispose con molta sportività, che, vabbeh, sarebbe stata per un’altra volta.
Grazie al cielo, era solo colpa del preservativo. Me ne scappai riconfortato, convincendomene. E dunque adirandomi tra me e me con mio fratello dodicenne, l’unico indiziato possibile della sparizione. Era lui il colpevole della mia sessualità frustrata.
Quando lo interrogai, il giorno dopo, con mio stupore, non negò. Aveva preso il profilattico, mi disse, ma solo per curiosità, e se non lo aveva rimesso a posto era stato perché gli era caduto nella nutella. Testuali parole. Si scusava tanto e, cosa davvero inconsueta, sembrava davvero mortificato.
Quella spiegazione, palesemente falsa, fu talmente assurda e sciocca che lo lasciai stare: non sapevo cosa controbattere. Ancora oggi non so cosa sia accaduto veramente.
Fatto sta che alla successiva occasione che si ripresentò con Rosa, arrivammo entrambi molto tesi. Lei era passiva, io feci delle cose con la bocca che a Benedetta piacevano molto, ma che lei definii delle porcate. Mi inibii ulteriormente. Stavolta non ci fu la scusa del preservativo mancante, non funzionava.
Incominciammo ad avere quasi paura del sesso, e a non provarci più. Restammo insieme castamente.
La cosa che mi tormentava non era che tra noi non funzionasse, ma che a me non funzionava!
Mi confidai vergognosamente con qualche amico, un po’ tutti mi canzonarono, qualcuno tra i più saggi mi suggerì che dovevo parlarne con uno psicologo, altrimenti il problema me lo portavo appresso a lungo.
Non andai dallo psicologo - non allora-, ma feci yoga e sedute di agopuntura.
Con Rosa, per il resto, andava bene. Lei era molto dolce e mi ammirava molto, la coppia resistette per altri mesi, che per dei sedicenni valgono anni.
Poi ci fu la festa di capodanno a cui Rosa non potè venire. Io mi dispiacqui parecchio: magari era davvero l’occasione giusta per sbloccarci.
Festeggiammo con la comitiva in una cascina di campagna di proprietà di non so quale parente di un nostro amico. Ballammo, dicemmo stronzate, ci ubriacammo. Soprattutto ci ubriacammo. Parecchi stettero male e dovettero tornarsene a casa, chiamando i genitori. Noi superstiti rimanemmo a dormire in un grande stanzone con tre letti a castello. Col senno di poi, in quella situazione, dubito io e Rosa avremmo mai potuto sbloccarci.
I letti non bastavano, avremmo dovuto condividerli.
Accanto a me si sdraiò Carmela, forse la più malmessa della serata, che però non aveva voluto andarsene, perché i genitori, in generale, nella vita, stavano più malmessi di lei.
Nel dormiveglia alcolico Carmela mi abbracciava, e mi chiedeva di stringerla. Malmessa era malmessa, ma era anche la ragazza più bella della festa, per cui l’abbracciai. O almeno credo fu per quello.
Lei mi premeva la faccia sulla faccia, e io avvertii risvegliarsi qualcosa nella mia virilità. Passai tutta la notte così, la mia virilità eretta e Carmela che mi russava sulla faccia.
A mio fratello, della mia eccitazione notturna con Carmela, non dissi mai. Dissi, così, giusto per farmi bello, che avevo condiviso il letto con Carmela. È per questo che mi meraviglia e mi inalberai così tanto quando, rispondendo al cellulare di mio padre, raccontò a Rosa che ero stato a letto con Carmela. Detto così era una calunnia!
Ebbi modo di spiegare a Rosa come stavano le cose veramente, e di recuperare il rapporto. Ricucimmo e rimanemmo insieme, per mesi, forse per un altro anno. Ma era chiaro che qualcosa si era rotto. Io non riuscivo a non pensare a quell’erezione di una notte intera, a Carmela sulla mia faccia, al senso di risveglio provato. Perché con Rosa non poteva essere lo stesso? Lei, dal canto suo, era diventata diffidente, gelosissima, in special modo di Carmela. E siccome quando si è feriti si va all’attacco, mi tradì, come venni a sapere da un amico, con un tipo di nome Gregorio, bruttissimo. Litigammo. Lei negò. Ci lasciammo. Tornammo insieme. Pochi mesi dopo lei mi lasciò per mettersi con Gregorio.
Peccato. Eravamo ragazzi, non avevamo l’esperienza per gestire difficoltà che adesso mi sembrano banali, ma che allora apparivano come enormi ed etichettanti.
Quello che davvero mi dispiace è che la crepa sia nata da un puro equivoco, non so perché Rosa abbia preso tanto sul serio l’incidente con Carmela. Non eravamo che due ubriachi che hanno condiviso un materasso.
Oggi io e Carmela abbiamo due figli e viviamo nelle isole Tonga. Qui si sta proprio bene. Ogni tanto, pensando a Rosa, mi scappa di dire che mi dispiace di non averle potuto offrire tutto questo. Ma lo dico in maniera del tutto innocente. Eppure Carmela si incazza, e la vedo sparire, anche per ore, nel villaggio indigeno.