[MI180] Labirinto
Posted: Wed Mar 13, 2024 1:10 am
Traccia: Bene o male
Sono in una bolla, galleggio, provo sensazioni contrastanti: Piacevole incredulità per una testa finalmente sgombra; paura, per il medesimo motivo.
Sono una persona che si mette in dubbio da sempre, non per insicurezza, ma per la indomita certezza di poter imparare, migliorare. Mi sconvolge sentirmi accusata di non mettermi mai in discussione, di voler avere sempre ragione. Addirittura che sia impossibile parlare con me.
Ho mila altri sintomi che mi instillano il dubbio di stare impazzendo, una demenza precoce forse, oppure un tumore al cervello.
Torno nella mia bolla di non pensiero. È un’autodifesa la mia, che crolla in una manciata di secondi.
Sono una donna che nel lavoro ha ricevuto gratificazioni, ma il lavoro non mi ha mai appagata.
La famiglia ha rappresentato il mio impegno massimo, il mio posto preferito dove stare, l’essenza della mia vita. Il rapporto con mio marito, con i miei figli, il desiderio di un’unione felice, la certezza di sapere come fare, le modalità. Il cuore al centro della mia esistenza. L’assoluta convinzione che il nostro rapporto non avrebbe avuto nulla a che vedere con quello della mia famiglia di origine.
“In questa casa non esiste serenità. Non vedo l’ora di andarmene.”
Mio figlio maggiore.
“Siete impossibili, mi sento inadeguata, non posso continuare a vivere con voi, mi fate male.”
Mia figlia minore.
Ecco.
I miei figli. In momenti diversi, con parole diverse, più volte. Non hanno lesinato motivazioni che mi fanno vacillare.
Sono stanca, esausta.
Quando pensavo fosse finito il periodo peggiore dell’ adolescenza, è arrivato questo.
Mi sento sbagliata in tutto.
Sono stata rigida nell’educazione.
Nel corso degli anni mi hanno definita crudele.
Mi hanno fatto pesare che gli altri genitori si comportano come amici, al contrario di noi, rigidi e inflessibili. Non ho mai lasciato correre nulla durante la prima infanzia, sempre spiegandone i motivi, parlandone con loro, ragionandoci insieme.
Ho spiegato il mio punto di vista, la mia idea di genitore. Un ruolo scomodo, che deve tracciare un solco perché i figli lo percorrano, mettere dei paletti, delle regole, perché i figli nella loro ricerca di autonomia faranno le loro deviazioni e tracceranno la loro strada, ma avranno metabolizzato gli insegnamenti, sapranno discernere Il bene dal male, potranno sbagliare con la consapevolezza di avere accanto persone su cui contare.
Se il genitore diventa amico, cosa deve fare un figlio per imporre la sua personalità, la sua autonomia? Se tutto viene concesso, quale deviazione dovrà compiere per il naturale processo di crescita?
La teoria c’era tutta.
L’accoglienza, la serenità che potessero sempre e comunque contare su di noi, più volte dimostrata.
Ho superato le accuse di essere un gendarme, di non lasciare libertà, di non capire. Già dall’adolescenza abbiamo dosato le libertà premiando la maturità in divenire.
Abbiamo concesso esperienze non permesse a molti loro coetanei. Hanno viaggiato, non hanno avuto imposizioni sulle scelte dei percorsi scolastici, si sono cimentati in esperienze lavorative.
Quanta presuntuosa autostima di genitori capaci.
Crudeli, crudeli, ancora crudeli.
Entrambi, prossimi alla maturità anagrafica, mi hanno raccontato di come non concepissero i comportamenti di molti loro coetanei, loro stesse imputando le colpe alle concessioni e agli esempi dei genitori, accrescendo la mia convinzione di essere nel giusto.
Quanta difficoltà hanno avuto ad integrarsi con il gruppo dei pari? Avranno mai sentito un senso di appartenenza al di fuori della famiglia, oppure fin da piccolissimi li ho messi su una strada in salita, con macigni legati alle caviglie?
Perché sono uscita dalla mia bolla? Il tempo di percepirla ed è svanita. La mia testa lavora sempre troppo.
I miei ragazzi però, a parte queste uscite, queste fucilate che mi trapassano le viscere, sono affettuosi, aperti, solari. Sono incredibilmente in gamba ed educati. Sanno relazionarsi con il mondo. Sono forti.
Possiedono dei valori granitici, quegli stessi valori che nel mondo di oggi diventano ostacoli, ma rappresentano l’ancora di salvezza di un’umanità in decomposizione.
Ho commesso errori, è indubbio. Mi ritrovo a replicare atteggiamenti di mia madre che non ho mai sopportato. È fiele che arriva alle labbra, piegandole in un sorriso amaro, il ricordo del profetico cliché: “Capirai quando anche tu avrai dei figli.”
Caratteri forti. I nostri ragazzi sono forgiati da un amore travolgente e prepotente. Abbiamo tutti una personalità dominante, a tratti aggressiva.
Il sano distacco che ci fa interagire, valutare, rapportarci con serenità al di fuori della famiglia, nel rapporto viscerale genitori-figli diventa, ad un certo punto, interpretazione del non detto, pretenziosità, paura, scontro.
Sbaglio tante volte, ne sono consapevole, provo sinceramente a controllarmi, ad usare le parole giuste, ma la tensione ci avvolge in molteplici occasioni; sbaglio, ma temo sia necessario. Vorrei fosse indolore questo distacco.
I figli diventano adulti. Il legame non può, non deve rimanere viscerale. Lo scontro, immagino sia inevitabile.
Dopo ogni tempesta, ci culliamo in una dolcezza infinita. L’idillio può durare poche ore. Motivi per esplodere nelle banalità d’inciampo. A mente fredda mi sono imposta un sorriso botulinico, da sfoggiare sempre e comunque, auto convinta a non andare in contrasto, assumere una leggerezza che spesso invidio in altri.
Dovrei annullarmi.
Non mi sembra corretto per me stessa, ma nemmeno nei confronti dei miei figli.
Siamo elastici che si tendono fin quasi a lacerarsi, ci riavviciniamo, cogliamo sprazzi di empatia e ripartiamo.
So che è un momento di passaggio importante. So che non devo prenderla sul personale. So che ci possiamo sciogliere in un abbraccio.
Forse non so nulla, ma sono coerente.
Non mi limito a dire, faccio.
L’esempio sopra qualsiasi cosa.
Se sbaglio, alzo le mani, non mi nascondo.
I miei ragazzi stanno crescendo bene. Alcune mie certezze vacillano. Accolgo i loro punti di vista.
A ventitré e venti anni sono proiezione nel futuro, vitalità, speranza.
Io sono in bilico, tra il mio passato, la mia famiglia di origine, il mio piano di vita e il presente. Si cambia in corsa. Sono disposta a percorrere nuove strade, a dare nuove possibilità, a rivalutare ciò che è stato.
È un labirinto da percorrere insieme.
Sono in una bolla, galleggio, provo sensazioni contrastanti: Piacevole incredulità per una testa finalmente sgombra; paura, per il medesimo motivo.
Sono una persona che si mette in dubbio da sempre, non per insicurezza, ma per la indomita certezza di poter imparare, migliorare. Mi sconvolge sentirmi accusata di non mettermi mai in discussione, di voler avere sempre ragione. Addirittura che sia impossibile parlare con me.
Ho mila altri sintomi che mi instillano il dubbio di stare impazzendo, una demenza precoce forse, oppure un tumore al cervello.
Torno nella mia bolla di non pensiero. È un’autodifesa la mia, che crolla in una manciata di secondi.
Sono una donna che nel lavoro ha ricevuto gratificazioni, ma il lavoro non mi ha mai appagata.
La famiglia ha rappresentato il mio impegno massimo, il mio posto preferito dove stare, l’essenza della mia vita. Il rapporto con mio marito, con i miei figli, il desiderio di un’unione felice, la certezza di sapere come fare, le modalità. Il cuore al centro della mia esistenza. L’assoluta convinzione che il nostro rapporto non avrebbe avuto nulla a che vedere con quello della mia famiglia di origine.
“In questa casa non esiste serenità. Non vedo l’ora di andarmene.”
Mio figlio maggiore.
“Siete impossibili, mi sento inadeguata, non posso continuare a vivere con voi, mi fate male.”
Mia figlia minore.
Ecco.
I miei figli. In momenti diversi, con parole diverse, più volte. Non hanno lesinato motivazioni che mi fanno vacillare.
Sono stanca, esausta.
Quando pensavo fosse finito il periodo peggiore dell’ adolescenza, è arrivato questo.
Mi sento sbagliata in tutto.
Sono stata rigida nell’educazione.
Nel corso degli anni mi hanno definita crudele.
Mi hanno fatto pesare che gli altri genitori si comportano come amici, al contrario di noi, rigidi e inflessibili. Non ho mai lasciato correre nulla durante la prima infanzia, sempre spiegandone i motivi, parlandone con loro, ragionandoci insieme.
Ho spiegato il mio punto di vista, la mia idea di genitore. Un ruolo scomodo, che deve tracciare un solco perché i figli lo percorrano, mettere dei paletti, delle regole, perché i figli nella loro ricerca di autonomia faranno le loro deviazioni e tracceranno la loro strada, ma avranno metabolizzato gli insegnamenti, sapranno discernere Il bene dal male, potranno sbagliare con la consapevolezza di avere accanto persone su cui contare.
Se il genitore diventa amico, cosa deve fare un figlio per imporre la sua personalità, la sua autonomia? Se tutto viene concesso, quale deviazione dovrà compiere per il naturale processo di crescita?
La teoria c’era tutta.
L’accoglienza, la serenità che potessero sempre e comunque contare su di noi, più volte dimostrata.
Ho superato le accuse di essere un gendarme, di non lasciare libertà, di non capire. Già dall’adolescenza abbiamo dosato le libertà premiando la maturità in divenire.
Abbiamo concesso esperienze non permesse a molti loro coetanei. Hanno viaggiato, non hanno avuto imposizioni sulle scelte dei percorsi scolastici, si sono cimentati in esperienze lavorative.
Quanta presuntuosa autostima di genitori capaci.
Crudeli, crudeli, ancora crudeli.
Entrambi, prossimi alla maturità anagrafica, mi hanno raccontato di come non concepissero i comportamenti di molti loro coetanei, loro stesse imputando le colpe alle concessioni e agli esempi dei genitori, accrescendo la mia convinzione di essere nel giusto.
Quanta difficoltà hanno avuto ad integrarsi con il gruppo dei pari? Avranno mai sentito un senso di appartenenza al di fuori della famiglia, oppure fin da piccolissimi li ho messi su una strada in salita, con macigni legati alle caviglie?
Perché sono uscita dalla mia bolla? Il tempo di percepirla ed è svanita. La mia testa lavora sempre troppo.
I miei ragazzi però, a parte queste uscite, queste fucilate che mi trapassano le viscere, sono affettuosi, aperti, solari. Sono incredibilmente in gamba ed educati. Sanno relazionarsi con il mondo. Sono forti.
Possiedono dei valori granitici, quegli stessi valori che nel mondo di oggi diventano ostacoli, ma rappresentano l’ancora di salvezza di un’umanità in decomposizione.
Ho commesso errori, è indubbio. Mi ritrovo a replicare atteggiamenti di mia madre che non ho mai sopportato. È fiele che arriva alle labbra, piegandole in un sorriso amaro, il ricordo del profetico cliché: “Capirai quando anche tu avrai dei figli.”
Caratteri forti. I nostri ragazzi sono forgiati da un amore travolgente e prepotente. Abbiamo tutti una personalità dominante, a tratti aggressiva.
Il sano distacco che ci fa interagire, valutare, rapportarci con serenità al di fuori della famiglia, nel rapporto viscerale genitori-figli diventa, ad un certo punto, interpretazione del non detto, pretenziosità, paura, scontro.
Sbaglio tante volte, ne sono consapevole, provo sinceramente a controllarmi, ad usare le parole giuste, ma la tensione ci avvolge in molteplici occasioni; sbaglio, ma temo sia necessario. Vorrei fosse indolore questo distacco.
I figli diventano adulti. Il legame non può, non deve rimanere viscerale. Lo scontro, immagino sia inevitabile.
Dopo ogni tempesta, ci culliamo in una dolcezza infinita. L’idillio può durare poche ore. Motivi per esplodere nelle banalità d’inciampo. A mente fredda mi sono imposta un sorriso botulinico, da sfoggiare sempre e comunque, auto convinta a non andare in contrasto, assumere una leggerezza che spesso invidio in altri.
Dovrei annullarmi.
Non mi sembra corretto per me stessa, ma nemmeno nei confronti dei miei figli.
Siamo elastici che si tendono fin quasi a lacerarsi, ci riavviciniamo, cogliamo sprazzi di empatia e ripartiamo.
So che è un momento di passaggio importante. So che non devo prenderla sul personale. So che ci possiamo sciogliere in un abbraccio.
Forse non so nulla, ma sono coerente.
Non mi limito a dire, faccio.
L’esempio sopra qualsiasi cosa.
Se sbaglio, alzo le mani, non mi nascondo.
I miei ragazzi stanno crescendo bene. Alcune mie certezze vacillano. Accolgo i loro punti di vista.
A ventitré e venti anni sono proiezione nel futuro, vitalità, speranza.
Io sono in bilico, tra il mio passato, la mia famiglia di origine, il mio piano di vita e il presente. Si cambia in corsa. Sono disposta a percorrere nuove strade, a dare nuove possibilità, a rivalutare ciò che è stato.
È un labirinto da percorrere insieme.