[CN23 -2] La luce del drago
Posted: Sun Jan 07, 2024 5:43 pm
Reinterpretazione del racconto di @Mina - Buon Natale, papà https://www.costruttoridimondi.org/forum/viewtopic.php?p=57646#p57646
Genere: fantasy
Commento: viewtopic.php?p=58050#p58050
Mi dispiace, non c'è futuro per noi
I calzari lunghi in pelle affondavano nella neve. Goccioline rosse lasciavano una nitida traccia sul manto bianco, nella notte illuminata da una mezza luna. Adagiato sul dorso che ancora piangeva, il neonato smise dopo poco, cullato dal cadenzare dei passi e dal torpore dovuto alla perdita di sangue.
Piangeva anche l'uomo, per non avere avuto il coraggio di porre fine alle sofferenze della piccola creatura, suo figlio. Il gelo lo avrebbe accompagnato senza altri patimenti. All'uomo lo aspettava la punizione più dura: il tormento, che lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.
La madre se l'erano portata via: prima il cielo e poi i lupi. La sepoltura non era contemplata d'inverno, la morte per parto sì.
Adagiò il bambino dormiente ai piedi di un grande albero, nutrimento per la pianta e per l'anima e riprese il cammino verso casa seguendo la scia di sangue che non lo abbandonerà più.
La luna stava lentamente calando lasciando posto al buio restante, quando in lontananza lampi di luce che sembravano fiammate illuminarono l'orizzonte. Si fecero sempre più vicini fino a risvegliare dal sonno, che sembrava perpetuo, il piccolo neonato. Il calore lo destò dal torpore e l'istinto primario si riaffacciò prepotente. Il pianto riprese impetuoso nel silenzio della foresta mentre la vampa aumentava sempre più.
La creatura si acquietò alla vista di un poderoso drago, che sputava fuoco dalle fauci affilate. Una fiammata sul braccio monco della mano cauterizzò la ferita e il bambino smise di piangere. I morsi della fame vennero improvvisamente sopiti.
Prese con delicatezza tra i denti affilati, cullato dal caldo respiro, il corpicino avvolto da stracci e si avviò in volo.
Giunse nella caverna e adagiò il bambino nel giaciglio già pronto, come se lo aspettasse.
Non era solo.
Un piccolo draghetto si illuminò alla vista del neonato; dalla gioia provò a sbuffare fiamme, ma riuscì a produrre sole piccole colonne di fumo che fuoriuscivano dalle narici.
Dagli stracci che avvolgevano il bambino sbucava una piccola bisaccia che conteneva due biberon, ultimo lascito, quasi a presagio, del padre.
Bevvero d'un fiato. Presi da euforia giocarono rotolando nel giaciglio che aveva preparato la madre.
Rimase commossa alla vista del figlioletto che giocava con il fratellino, quello che aveva perso per una rottura accidentale dell'uovo.
Sorvolavano di notte, felici, attaccati al dorso della madre. Il draghetto alla cresta con le sue zampette lunghe e affusolate; il bambino avvinghiato al corpicino del suo nuovo fratello, con la mano che stringeva l'avambraccio amputato.
Passava il tempo, crescevano sempre più, fino al giorno in cui accadde la disgrazia. Il giovane drago intento a stanare piccoli roditori lungo una facciata rocciosa, fu colto di sorpresa dal crollo di parte della montagna. Venne sepolto sotto gli occhi del ragazzo che si precipitò per cercare di salvarlo. Rimosse pietre su pietre fino a quando intravvide una lunga zampa affusolata con lunghi artigli. Era fredda, senza reazione. La accarezzò, in silenzio, con le lacrime agli occhi.
Tre colpi sulla porta di casa
“Chi sarà, sotto questa tormenta?” si chiese il ragazzo in casa.
Aprì la porta e vide una figura con una spessa mantella nera, incappucciata.
“Entra, sarai tutto bagnato.”
“Grazie.”
“Chi è?” si sentì una voce dalla camera di sopra.
“Un signore che cerca riparo, papà, vieni giù.”
“Togliti pure la mantella e le scarpe, saranno inzuppate.”
Appena si sfilò il cappuccio, apparve il volto di un ragazzo bellissimo, con i capelli biondi fluenti.
Il giovane padrone di casa rimase impietrito. Anche il padre si bloccò mentre scendeva le scale.
“In questo villaggio ci assomigliamo un po' tutti” rispose lo straniero cercando di sciogliere l'imbarazzo.
“Non ti avevo mai visto. Da dove vieni?” chiese il padre.
“Dal bosco.”
“Non ci sono case nel bosco.”
“Io ci sono nato, anzi rinato.”
“Ci fai compagnia per questa semplice cena di Natale, stavamo giusto per apparecchiare.”
“Volentieri.”
Allestirono il tavolo con tre posti.
“Manca qualcuno in questa casa” disse lo straniero.
“Beh... sì.” Il ragazzo abbassò lo sguardo.
“Mi dispiace. L'unica colpa che non possiamo attribuire a questo uomo” indicò il padre.
“Cosa intendi dire?” chiese chiese stupefatto. Poi con tono duro: “Vieni qui, ti diamo ospitalità, ti salviamo dalla tormenta, e tu? Fai strane illazioni senza sapere nulla.”
“Non ci sono misfatti che possano sfuggire allo spirito della terra.”
Il padre raggelò, cadde a terra il piatto di ceramica che teneva fra le mani frantumandosi in pezzi.
“Ehi! Papà, tutto bene? Siediti.”
“Cos'è successo alla tua mano?” chiese al ragazzo osservando una grossolana protesi in legno.
“Non sono fatti tuoi” riprese subito il padre.
“Papà, stai calmo” cercò di placare la situazione il figlio: “Niente, una malformazione dalla nascita.”
“Che combinazione!” si tirò su la lunga manica che fino a quel momento copriva la mano.
“Ahhhh!” Urlò il ragazzo alla vista.
“Cosa c'è, non ti piace? Mano di vero drago, in pura pelle squamata.”
Il ragazzo sbiancò. “Come, di drago?” chiese con voce tremolante.
“Esatto!”
“Li hai visti? Come sono fatti?”
“Sono creature stupende, forti, invincibili, ci proteggono e realizzano i sogni. Ma bisogna saperli vedere, all'inizio appaiono come luce.”
“La vuoi finire! Come ti permetti di entrare in casa mia e dire fesserie di questo genere!”
“Questa, una volta era casa mia.”
“Ma chi sei? Come osi? Lascia stare mio figlio.”
“Proprio tu...”
“Ne ho abbastanza. Vai fuori subito. Sei venuto a rovinarci il Natale?” lo prese per un bracciò e cercò di spintonarlo fuori. Ma lo straniero si girò di scatto e con la mano rettiliana in una mossa fulminea diede una sfregiata con i lunghi artigli al polso del padre. Il sangue iniziò a scorrere a fiotti.
“Fa male, vero?”
“Sei il demonio!” prese uno straccio e se lo avvolse intorno alla ferita, cercando di bloccare il flusso. Iniziò a piangere. “Io non volevo, figlio mio, perdonami” singhiozzò.
L'orologio è rotto
“Luce...” pronunciò il ragazzo. “La sogno da sempre. La vedo all'orizzonte, si avvicina e poi svanisce.”
“Ora sono qui.”
“Nooo! Non ti permetterò di portarmelo via!” urlò disperato il padre.
Lo straniero fece una risatina.
“Papà! Cosa succede? Ho paura! Non lasciarmi!”
“Vieni” si rivolse al ragazzo con calma fredda.
“Nooo! Non andare! Nooo!”
Spinto da un richiamo insondabile il ragazzo seguì lo straniero. Aprirono la porta, si presero per mano, osservarono la bufera.
“Non volevo! Perdonami. Figlio mio. Perdonami...”
Lentamente mossero dei passi; c'era un vento molto forte con grandi fiocchi di neve che vorticavano in ogni direzione, non si vedeva nulla. Il padre, inerme sull'uscio, accasciato a terra, stremato, osservava la scena. Poi una fiammata, che dal basso si alzava verso il cielo, sempre più fioca, e niente più.
Genere: fantasy
Commento: viewtopic.php?p=58050#p58050
Mi dispiace, non c'è futuro per noi
I calzari lunghi in pelle affondavano nella neve. Goccioline rosse lasciavano una nitida traccia sul manto bianco, nella notte illuminata da una mezza luna. Adagiato sul dorso che ancora piangeva, il neonato smise dopo poco, cullato dal cadenzare dei passi e dal torpore dovuto alla perdita di sangue.
Piangeva anche l'uomo, per non avere avuto il coraggio di porre fine alle sofferenze della piccola creatura, suo figlio. Il gelo lo avrebbe accompagnato senza altri patimenti. All'uomo lo aspettava la punizione più dura: il tormento, che lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.
La madre se l'erano portata via: prima il cielo e poi i lupi. La sepoltura non era contemplata d'inverno, la morte per parto sì.
Adagiò il bambino dormiente ai piedi di un grande albero, nutrimento per la pianta e per l'anima e riprese il cammino verso casa seguendo la scia di sangue che non lo abbandonerà più.
La luna stava lentamente calando lasciando posto al buio restante, quando in lontananza lampi di luce che sembravano fiammate illuminarono l'orizzonte. Si fecero sempre più vicini fino a risvegliare dal sonno, che sembrava perpetuo, il piccolo neonato. Il calore lo destò dal torpore e l'istinto primario si riaffacciò prepotente. Il pianto riprese impetuoso nel silenzio della foresta mentre la vampa aumentava sempre più.
La creatura si acquietò alla vista di un poderoso drago, che sputava fuoco dalle fauci affilate. Una fiammata sul braccio monco della mano cauterizzò la ferita e il bambino smise di piangere. I morsi della fame vennero improvvisamente sopiti.
Prese con delicatezza tra i denti affilati, cullato dal caldo respiro, il corpicino avvolto da stracci e si avviò in volo.
Giunse nella caverna e adagiò il bambino nel giaciglio già pronto, come se lo aspettasse.
Non era solo.
Un piccolo draghetto si illuminò alla vista del neonato; dalla gioia provò a sbuffare fiamme, ma riuscì a produrre sole piccole colonne di fumo che fuoriuscivano dalle narici.
Dagli stracci che avvolgevano il bambino sbucava una piccola bisaccia che conteneva due biberon, ultimo lascito, quasi a presagio, del padre.
Bevvero d'un fiato. Presi da euforia giocarono rotolando nel giaciglio che aveva preparato la madre.
Rimase commossa alla vista del figlioletto che giocava con il fratellino, quello che aveva perso per una rottura accidentale dell'uovo.
Sorvolavano di notte, felici, attaccati al dorso della madre. Il draghetto alla cresta con le sue zampette lunghe e affusolate; il bambino avvinghiato al corpicino del suo nuovo fratello, con la mano che stringeva l'avambraccio amputato.
Passava il tempo, crescevano sempre più, fino al giorno in cui accadde la disgrazia. Il giovane drago intento a stanare piccoli roditori lungo una facciata rocciosa, fu colto di sorpresa dal crollo di parte della montagna. Venne sepolto sotto gli occhi del ragazzo che si precipitò per cercare di salvarlo. Rimosse pietre su pietre fino a quando intravvide una lunga zampa affusolata con lunghi artigli. Era fredda, senza reazione. La accarezzò, in silenzio, con le lacrime agli occhi.
Tre colpi sulla porta di casa
“Chi sarà, sotto questa tormenta?” si chiese il ragazzo in casa.
Aprì la porta e vide una figura con una spessa mantella nera, incappucciata.
“Entra, sarai tutto bagnato.”
“Grazie.”
“Chi è?” si sentì una voce dalla camera di sopra.
“Un signore che cerca riparo, papà, vieni giù.”
“Togliti pure la mantella e le scarpe, saranno inzuppate.”
Appena si sfilò il cappuccio, apparve il volto di un ragazzo bellissimo, con i capelli biondi fluenti.
Il giovane padrone di casa rimase impietrito. Anche il padre si bloccò mentre scendeva le scale.
“In questo villaggio ci assomigliamo un po' tutti” rispose lo straniero cercando di sciogliere l'imbarazzo.
“Non ti avevo mai visto. Da dove vieni?” chiese il padre.
“Dal bosco.”
“Non ci sono case nel bosco.”
“Io ci sono nato, anzi rinato.”
“Ci fai compagnia per questa semplice cena di Natale, stavamo giusto per apparecchiare.”
“Volentieri.”
Allestirono il tavolo con tre posti.
“Manca qualcuno in questa casa” disse lo straniero.
“Beh... sì.” Il ragazzo abbassò lo sguardo.
“Mi dispiace. L'unica colpa che non possiamo attribuire a questo uomo” indicò il padre.
“Cosa intendi dire?” chiese chiese stupefatto. Poi con tono duro: “Vieni qui, ti diamo ospitalità, ti salviamo dalla tormenta, e tu? Fai strane illazioni senza sapere nulla.”
“Non ci sono misfatti che possano sfuggire allo spirito della terra.”
Il padre raggelò, cadde a terra il piatto di ceramica che teneva fra le mani frantumandosi in pezzi.
“Ehi! Papà, tutto bene? Siediti.”
“Cos'è successo alla tua mano?” chiese al ragazzo osservando una grossolana protesi in legno.
“Non sono fatti tuoi” riprese subito il padre.
“Papà, stai calmo” cercò di placare la situazione il figlio: “Niente, una malformazione dalla nascita.”
“Che combinazione!” si tirò su la lunga manica che fino a quel momento copriva la mano.
“Ahhhh!” Urlò il ragazzo alla vista.
“Cosa c'è, non ti piace? Mano di vero drago, in pura pelle squamata.”
Il ragazzo sbiancò. “Come, di drago?” chiese con voce tremolante.
“Esatto!”
“Li hai visti? Come sono fatti?”
“Sono creature stupende, forti, invincibili, ci proteggono e realizzano i sogni. Ma bisogna saperli vedere, all'inizio appaiono come luce.”
“La vuoi finire! Come ti permetti di entrare in casa mia e dire fesserie di questo genere!”
“Questa, una volta era casa mia.”
“Ma chi sei? Come osi? Lascia stare mio figlio.”
“Proprio tu...”
“Ne ho abbastanza. Vai fuori subito. Sei venuto a rovinarci il Natale?” lo prese per un bracciò e cercò di spintonarlo fuori. Ma lo straniero si girò di scatto e con la mano rettiliana in una mossa fulminea diede una sfregiata con i lunghi artigli al polso del padre. Il sangue iniziò a scorrere a fiotti.
“Fa male, vero?”
“Sei il demonio!” prese uno straccio e se lo avvolse intorno alla ferita, cercando di bloccare il flusso. Iniziò a piangere. “Io non volevo, figlio mio, perdonami” singhiozzò.
L'orologio è rotto
“Luce...” pronunciò il ragazzo. “La sogno da sempre. La vedo all'orizzonte, si avvicina e poi svanisce.”
“Ora sono qui.”
“Nooo! Non ti permetterò di portarmelo via!” urlò disperato il padre.
Lo straniero fece una risatina.
“Papà! Cosa succede? Ho paura! Non lasciarmi!”
“Vieni” si rivolse al ragazzo con calma fredda.
“Nooo! Non andare! Nooo!”
Spinto da un richiamo insondabile il ragazzo seguì lo straniero. Aprirono la porta, si presero per mano, osservarono la bufera.
“Non volevo! Perdonami. Figlio mio. Perdonami...”
Lentamente mossero dei passi; c'era un vento molto forte con grandi fiocchi di neve che vorticavano in ogni direzione, non si vedeva nulla. Il padre, inerme sull'uscio, accasciato a terra, stremato, osservava la scena. Poi una fiammata, che dal basso si alzava verso il cielo, sempre più fioca, e niente più.