[CN23 - 2] La sfera di cinabro
Posted: Sat Jan 06, 2024 7:04 pm
Noi vogliamo la Luce di Alberto Tosciri
Riscrittura del racconto assegnato
Genere: fantascienza
Mi piacerebbe tu ascoltassi: Schumann resonance 7.83 Hz
Giovanni uscì di casa molto presto quella mattina.
Una nebbia fitta lo sorprese ma a Giovanni non dispiacque. Aveva bisogno di aria fresca e di dimenticare il chiasso della vigilia, i discorsi inutili, tutto quel cibo sprecato.
Non amava particolarmente la nebbia, ma le gocce che gli si incollavano addosso gli ricordarono una doccia nebulizzata per cui trattenne il respiro per un po’ e poi proseguì. La strada per arrivare in piazza la conosceva, la percorse con passo sicuro fino a che non inciampò e cadde. Gli occhiali volarono e quando li ritrovò, tastando il terreno umido, si accorse di aver perso le lenti che, probabilmente nella caduta, erano schizzate via lontano. Imprecò, si mise la montatura in tasca, tanto, in mezzo a quella foschia non gli sarebbero serviti a molto.
Intorno: nessuno.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, non gli piaceva stare in mezzo alla gente. Era stanco di essere preso in giro per il suo aspetto, per i denti grandi e sporgenti e quegli occhiali spessi. Più volte aveva chiesto ai genitori di risolvergli il problema con lenti a contatto e un bravo dentista che risolvesse quella brutta retrognazia, ma i soldi non c’erano e quei problemi potevano aspettare, ce n’erano altri di ben più importanti: il mutuo, l’affitto...
Intanto Giovanni se ne andava in giro portandosi dietro quel soprannome: tricheco. Lo aveva sentito talmente tante volte da confonderlo ormai con il suo nome. A scuola non andava bene, non che non fosse intelligente, anzi, ma l’indifferenza delle ragazze e la cattiveria dei compagni lo avevano reso silenzioso e diffidente anche nei confronti dei professori, che spesso fingevano di non sentire i commenti sarcastici e le risatine.
Giovanni perciò era un ragazzo chiuso, taciturno e triste.
L’unica salvezza per lui erano i libri della biblioteca, quelli che divorava instancabilmente.
Intravide i profili della vecchia cattedrale di pietra bianca e nera solo quando fu molto vicino e con sorpresa si sentì afferrare un braccio.
Si trovò davanti un ragazzo molto alto, moro, occhi scuri e pelle chiara. Non che Giovanni fosse abbronzato, ma il ragazzo alto era davvero di un candore fuori dal comune, lo avrebbe creduto albino se non fosse stato così scuro di capelli.
«Vuoi venire a darmi una mano?»
Giovanni aveva udito quelle parole, ma le labbra del ragazzo non si erano mosse.
Si voltò, scrutò nella nebbia per vedere se qualcun altro fosse stato a parlare. Nessuno!
Forse è un ventriloquo, pensò Giovanni.
Risentì le stesse parole, ma non avrebbe saputo descriverne la voce: era profonda, o cristallina? Nemmeno l’accento avrebbe saputo dire e non lo sapeva perché nessuno era stato a parlare!
«Non avere paura, sono io a comunicare con te».
«E come ci riesci?» rispose Giovanni, spaventandosi per il frastuono di quelle parole, nel silenzio ovattato della piazza deserta.
«Semplice telepatia, siamo fatti di energia, tu, io, tutto è energia, basta saperla gestire e esserne consapevoli, non è difficile».
«Cosa vuoi da me?» chiese Giovanni grattandosi un orecchio, non riuscendo a abituarsi a quell’assenza di voce.
«Devi aiutarmi a spostare le panche».
«Non credo che monsignor Volpi sarà contento, men che meno la mattina di Natale».
«Non se ne accorgerà, stai tranquillo».
Solo in quel momento, entrati nella cattedrale, Giovanni vide che c’erano altri ragazzi e che le panche erano sparite. Questo rendeva la cattedrale ancor più imponente e luminosa. Dalle vetrate entrava una luce dorata. Mai vista una luce simile, nemmeno nei lunghissimi giorni d’estate.
Giovanni si accorse di non sentirsi a disagio. Era in mezzo a altre persone sconosciute eppure si sentiva uno di loro, un essere umano tra esseri umani.
«Non proprio», lo corresse il ragazzo alto, «io sono un tuo antenato, o per meglio dire un tuo antennato».
Spostarono l’ultima panca verso la porta centrale e altri ragazzi la portarono all’esterno.
«Chi sei tu? Chi sono gli antennati?»
Sorrise.
«Coloro che ci sono sempre stati e sempre saranno».
«Una specie di extraterrestre quindi? Un angelo? Cosa? E poi perché proprio io? Non sono già abbastanza sfigato senza avere adesso anche le visioni? Finardi, vaffanculo!», urlò Giovanni.
«Tu sei qui. Ci sei solo Tu adesso, tu e noi, nessun altro e questo significa già qualcosa. La tua mente è capace di comprendere e sopportare quello che sta accadendo ora, Tu sei capace di raffigurarti le cose prima ancora che esistano. Potresti diventare un inventore visionario, in bilico tra scienza e magia, meccanica e bluff, solo così potrai sopravvivere. Cercheranno di distruggerti, di sminuire il tuo lavoro, i detrattori ti prenderanno in giro, ma tanto... ci sei abituato, no?
Noi eravamo come te, un gruppo di “trichechi”, solo capaci di sopportare la cattiveria altrui eppure… abbiamo un obiettivo comune: portare l’uomo alla consapevolezza e alla conoscenza; reclutiamo ragazzi, la mattina di Natale celebriamo la nascita del nostro “fondatore”. Non esiste nessun altro mondo in verità, nessun extra mondo poiché tutto è già qui e da tutte le parti, perché Dio è da tutte le parti».
Giovanni sorrideva.
La cattedrale sì riempì di persone e come in una bella coreografia si disposero a spirale intorno al battistero.
«Questo è il punto nodale in cui convergono l’energia cosmica e quella tellurica: acqua, acqua forte, acqua regia, acqua viva, acqua… » e poi le parole persero di significato, ma l’acqua del battistero iniziò a gorgogliare come fosse magma in eruzione e zampilli altissimi si levarono e scariche elettriche discesero dal cielo e la cattedrale tutta entrò in risonanza.
Giovanni chiuse gli occhi e si sentì invaso di luce, come se tutta l’energia del mondo si fosse concentrata su di lui. In quel momento sentì d’essere in pace con quell’umanità che non era stata generosa con lui, ma che lui già perdonava perché ignorante e ignara per cui senza colpa alcuna.
E promise a se stesso di ricercare la verità, di studiare la matematica, la fisica quantistica, la chimica e di comprenderne l’essenza.
«Ricorda Giovanni, sulla terra qualunque intervento altera l’equilibrio cosmico, la terra è un organismo vivo, torna all’antico, Giovanni, e sarà un progresso».
Sentendo queste parole Giovanni aprì gli occhi e vide! Finalmente vide e fu guarito.
La spirale si dissolse, i loro corpi si sgretolarono in niente. La moltitudine scomparve e dove prima c’erano “loro” ora c’era solo un grande vuoto e null’altro.
A terra Giovanni vide una sfera che sapeva essere fatta di ferro e di polvere di cinabro.
Come lo sapeva? Lo sapeva e basta, così come sapeva che la cattedrale sarebbe stata per lui stazione di rifornimento. Sapeva molte cose adesso, ma tante domande si accavallavano nella mente, aveva bisogno di risposte, di fare ricerche, di mettersi subito all’opera.
Raccolse la sfera e la tenne stretta in mano, un lampo lo abbagliò e poi solo buio e silenzio.
Quando si svegliò era nella sua camera, indossava il pigiama, si trovava sotto le coperte, intorno i consueti rumori di casa. Una sensazione di rilassamento lo pervase e ripensando a quel bellissimo sogno allungò la mano verso il comodino ma, dove di solito teneva gli occhiali, ora vi trovò soltanto una sfera.
Riscrittura del racconto assegnato
Genere: fantascienza
Mi piacerebbe tu ascoltassi: Schumann resonance 7.83 Hz
Giovanni uscì di casa molto presto quella mattina.
Una nebbia fitta lo sorprese ma a Giovanni non dispiacque. Aveva bisogno di aria fresca e di dimenticare il chiasso della vigilia, i discorsi inutili, tutto quel cibo sprecato.
Non amava particolarmente la nebbia, ma le gocce che gli si incollavano addosso gli ricordarono una doccia nebulizzata per cui trattenne il respiro per un po’ e poi proseguì. La strada per arrivare in piazza la conosceva, la percorse con passo sicuro fino a che non inciampò e cadde. Gli occhiali volarono e quando li ritrovò, tastando il terreno umido, si accorse di aver perso le lenti che, probabilmente nella caduta, erano schizzate via lontano. Imprecò, si mise la montatura in tasca, tanto, in mezzo a quella foschia non gli sarebbero serviti a molto.
Intorno: nessuno.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, non gli piaceva stare in mezzo alla gente. Era stanco di essere preso in giro per il suo aspetto, per i denti grandi e sporgenti e quegli occhiali spessi. Più volte aveva chiesto ai genitori di risolvergli il problema con lenti a contatto e un bravo dentista che risolvesse quella brutta retrognazia, ma i soldi non c’erano e quei problemi potevano aspettare, ce n’erano altri di ben più importanti: il mutuo, l’affitto...
Intanto Giovanni se ne andava in giro portandosi dietro quel soprannome: tricheco. Lo aveva sentito talmente tante volte da confonderlo ormai con il suo nome. A scuola non andava bene, non che non fosse intelligente, anzi, ma l’indifferenza delle ragazze e la cattiveria dei compagni lo avevano reso silenzioso e diffidente anche nei confronti dei professori, che spesso fingevano di non sentire i commenti sarcastici e le risatine.
Giovanni perciò era un ragazzo chiuso, taciturno e triste.
L’unica salvezza per lui erano i libri della biblioteca, quelli che divorava instancabilmente.
Intravide i profili della vecchia cattedrale di pietra bianca e nera solo quando fu molto vicino e con sorpresa si sentì afferrare un braccio.
Si trovò davanti un ragazzo molto alto, moro, occhi scuri e pelle chiara. Non che Giovanni fosse abbronzato, ma il ragazzo alto era davvero di un candore fuori dal comune, lo avrebbe creduto albino se non fosse stato così scuro di capelli.
«Vuoi venire a darmi una mano?»
Giovanni aveva udito quelle parole, ma le labbra del ragazzo non si erano mosse.
Si voltò, scrutò nella nebbia per vedere se qualcun altro fosse stato a parlare. Nessuno!
Forse è un ventriloquo, pensò Giovanni.
Risentì le stesse parole, ma non avrebbe saputo descriverne la voce: era profonda, o cristallina? Nemmeno l’accento avrebbe saputo dire e non lo sapeva perché nessuno era stato a parlare!
«Non avere paura, sono io a comunicare con te».
«E come ci riesci?» rispose Giovanni, spaventandosi per il frastuono di quelle parole, nel silenzio ovattato della piazza deserta.
«Semplice telepatia, siamo fatti di energia, tu, io, tutto è energia, basta saperla gestire e esserne consapevoli, non è difficile».
«Cosa vuoi da me?» chiese Giovanni grattandosi un orecchio, non riuscendo a abituarsi a quell’assenza di voce.
«Devi aiutarmi a spostare le panche».
«Non credo che monsignor Volpi sarà contento, men che meno la mattina di Natale».
«Non se ne accorgerà, stai tranquillo».
Solo in quel momento, entrati nella cattedrale, Giovanni vide che c’erano altri ragazzi e che le panche erano sparite. Questo rendeva la cattedrale ancor più imponente e luminosa. Dalle vetrate entrava una luce dorata. Mai vista una luce simile, nemmeno nei lunghissimi giorni d’estate.
Giovanni si accorse di non sentirsi a disagio. Era in mezzo a altre persone sconosciute eppure si sentiva uno di loro, un essere umano tra esseri umani.
«Non proprio», lo corresse il ragazzo alto, «io sono un tuo antenato, o per meglio dire un tuo antennato».
Spostarono l’ultima panca verso la porta centrale e altri ragazzi la portarono all’esterno.
«Chi sei tu? Chi sono gli antennati?»
Sorrise.
«Coloro che ci sono sempre stati e sempre saranno».
«Una specie di extraterrestre quindi? Un angelo? Cosa? E poi perché proprio io? Non sono già abbastanza sfigato senza avere adesso anche le visioni? Finardi, vaffanculo!», urlò Giovanni.
«Tu sei qui. Ci sei solo Tu adesso, tu e noi, nessun altro e questo significa già qualcosa. La tua mente è capace di comprendere e sopportare quello che sta accadendo ora, Tu sei capace di raffigurarti le cose prima ancora che esistano. Potresti diventare un inventore visionario, in bilico tra scienza e magia, meccanica e bluff, solo così potrai sopravvivere. Cercheranno di distruggerti, di sminuire il tuo lavoro, i detrattori ti prenderanno in giro, ma tanto... ci sei abituato, no?
Noi eravamo come te, un gruppo di “trichechi”, solo capaci di sopportare la cattiveria altrui eppure… abbiamo un obiettivo comune: portare l’uomo alla consapevolezza e alla conoscenza; reclutiamo ragazzi, la mattina di Natale celebriamo la nascita del nostro “fondatore”. Non esiste nessun altro mondo in verità, nessun extra mondo poiché tutto è già qui e da tutte le parti, perché Dio è da tutte le parti».
Giovanni sorrideva.
La cattedrale sì riempì di persone e come in una bella coreografia si disposero a spirale intorno al battistero.
«Questo è il punto nodale in cui convergono l’energia cosmica e quella tellurica: acqua, acqua forte, acqua regia, acqua viva, acqua… » e poi le parole persero di significato, ma l’acqua del battistero iniziò a gorgogliare come fosse magma in eruzione e zampilli altissimi si levarono e scariche elettriche discesero dal cielo e la cattedrale tutta entrò in risonanza.
Giovanni chiuse gli occhi e si sentì invaso di luce, come se tutta l’energia del mondo si fosse concentrata su di lui. In quel momento sentì d’essere in pace con quell’umanità che non era stata generosa con lui, ma che lui già perdonava perché ignorante e ignara per cui senza colpa alcuna.
E promise a se stesso di ricercare la verità, di studiare la matematica, la fisica quantistica, la chimica e di comprenderne l’essenza.
«Ricorda Giovanni, sulla terra qualunque intervento altera l’equilibrio cosmico, la terra è un organismo vivo, torna all’antico, Giovanni, e sarà un progresso».
Sentendo queste parole Giovanni aprì gli occhi e vide! Finalmente vide e fu guarito.
La spirale si dissolse, i loro corpi si sgretolarono in niente. La moltitudine scomparve e dove prima c’erano “loro” ora c’era solo un grande vuoto e null’altro.
A terra Giovanni vide una sfera che sapeva essere fatta di ferro e di polvere di cinabro.
Come lo sapeva? Lo sapeva e basta, così come sapeva che la cattedrale sarebbe stata per lui stazione di rifornimento. Sapeva molte cose adesso, ma tante domande si accavallavano nella mente, aveva bisogno di risposte, di fare ricerche, di mettersi subito all’opera.
Raccolse la sfera e la tenne stretta in mano, un lampo lo abbagliò e poi solo buio e silenzio.
Quando si svegliò era nella sua camera, indossava il pigiama, si trovava sotto le coperte, intorno i consueti rumori di casa. Una sensazione di rilassamento lo pervase e ripensando a quel bellissimo sogno allungò la mano verso il comodino ma, dove di solito teneva gli occhiali, ora vi trovò soltanto una sfera.