[CN23] La cena di Natale
Posted: Mon Dec 25, 2023 11:04 pm
Genere: thriller
Traccia 4 - Lo scampanellio
“Aspettate! Scottano!” urlò Gloria mentre serviva col mestolo nei piatti di plastica lavabili i tortellini in brodo fumanti.
Gabriele fu l'ultimo a riceverli. Lo conoscevano bene e non avrebbe aspettato neanche se nel piatto ci fosse stata della lava incandescente. Anche Linda aveva la stessa tendenza ma si bloccava all'urlo perentorio di Gloria mentre avvicinava il cucchiaio ricolmo alla bocca aperta.
Giuseppe aspettava per natura. Aspettava sempre. Poteva stare fermo ad aspettare all'infinito se non c'era qualcuno che lo imboccasse. E non era l'unico.
“Voglio i tortellini. Voglio i tortellini. Voglio i tortellini” perseverava Pietro.
“Ehi! Cos'è sta prepotenza! Si mangia tutti assieme. Quando saremo pronti iniziamo” lo riprese Gloria.
“No! Gabriele mangia sempre prima, mangia sempre prima, sempre prima, sempre prima, sempre pri...”
“Ora no! Sta aspettando anche lui” ribatté Luciana.
“Non è vero! l'ho visto risucchiare con la bocca nel piatto. Guarda che sorrisino...”
“Ma quello è il suo da sempre” continuò Luciana.
C'era un sottofondo di canzoni natalizie che nessuno considerava, era più un rumore che si aggiungeva alle voci che si sovrapponevano le une alle altre. Solo Antonio apprezzava la musica e andava matto per un brano americano degli anni '50: Jingle bell rock, che imitava con un inglese improbabile cadenzando fuori tempo piede destro e sinistro.
“Buon appetito a tutti e buon Natale” augurò Gloria.
Gingobo, gingobo, Gingo du wei.
Gingobo sreng o gingobo srei
Sno aluwei, ghe busce vondei
gost turei, aluwei ciungbei
Gingobo, gingobo....
Cantava e ballava. Non sapeva resistere a quel motivetto di Bobby Helms che ritornava più volte in ogni playlist natalizia.
Gabriele prese con due mani il piatto, lo portò alla bocca e bevve direttamente il brodo, facendone cadere buona parte sulla camicia fresca di bucato, per l'occasione.
“Ma che schifo, sei sempre il solito” commentò Linda.
“Voglio il mascarpone. Voglio il mascarpone. Voglio il mascarpone” sempre Pietro.
“Chi ti ha detto che c'è il mascarpone?” chiese Luciana.
“Linda.”
“Ancora tu!” la fulminò con lo sguardo Luciana. “Comunque c'è prima il secondo.”
“Cosa c'è di secondo? Cosa c'è di secondo? Cosa c'è di secondo? cosa c'è di sec...”
“Niente! Se non stai zitto.”
“Sto zitto.”
“Anch'io voglio sapere cosa c'è di secondo” disse Linda in modo calmo ma deciso.”
“Miiii! Arrosto con patate fritte.”
“Hiiiiiii!”
“Dudududududu!”
“Aish! Aish! Aish!”
C'era chi manifestava il proprio entusiasmo con svariati versi ripetuti e movimenti scomposti.
“Quante patate ci sono a testa? quante patate ci sono a testa? quante patate ci sono a testa?” continuò ansioso Pietro.
“Uff... undici! Sono undici a testa, poi si vedrà.”
“Linda ne mangerà dodici, lo so, lei ne mangia sempre dodici. Ne voglio anch'io dodici, anch'io.”
“Pensa a finire i tortellini.”
Due cucchiaiate di fila ed erano spariti.”
“Fishnischti” borbottò con la bocca piena.
Gingobo, gingobo, Gingo du wei..
“Basta! Puoi stare un po' zitto! Non lo sopporto più. Sempre a cantare questa canzone. E poi non sa neanche una parola.” disse Linda.
Antonio la guardò con uno sguardo poco rassicurante, quello sguardo che aveva già mostrato in altre occasioni quando era andata a finire con l'arrivo dell'ambulanza.
Luciana si precipitò verso Antonio cercando di distoglierlo: “Voglio farti ascoltare una canzone che mi piace tantissimo.”
“Linda, vieni con me che dobbiamo fare un discorsetto” le si rivolse Gloria.
Dlin dlin dlin dlin
Tutto si fermò di colpo. La musica venne stoppata con gran dispiacere di Antonio. Nessuno parlò più. Bloccati nei propri movimenti come in un'istantanea. Un silenzio glaciale regnava nella sala.
“E questo da dove salta fuori?” disse Gloria lentamente scandendo le lettere con lo sguardo puntato verso Marco.
“Nooooo! Noooo! Noooo!” gridò Pietro coprendosi le orecchie.
“Hiiiiiii, hiiiiiii, hiiiiiii” partì Gabriele con un ghigno diabolico.
“Ma non lo avevi buttato?” chiese Luciana rivolgendosi a Gloria.
“Lo avevo chiuso nella cassaforte.”
Marco sorrideva con lo sguardo perso nel vuoto, si portò il campanello vicino al viso e scampanellò di nuovo
Dlin dlin dlin dlin
Carla, assunta da due settimane, impegnata fino a quel momento a imboccare Giuseppe, non capiva cosa stesse succedendo: “Che cos'è quel campanello?”
“Poi ti spiego” rispose Luciana.
“Si è spiaccicato giù. Sponf!”
“Linda! Vai in camera!” la fulminò di nuova Gloria.
Drinnnnnn
“Questo dev'essere Ernesto.”
“Cavolo, ma cosa è successo? Neanche la notte di Natale...” esordì.
Si preparava per il turno di notte. Aveva anticipato un po' per poter festeggiare insieme la cena di Natale. Poi gli cadde l'occhio su Marco che si era ritirato in un angolo con in mano il suo campanello.
Dlin dlin dlin dlin
Gabriele approfittò della distrazione di tutti per fiondarsi nella teglia delle patate fritte e ingurgitarle a due mani fino a quasi ingozzarsi.
“Maledizione!” urlò Luciana. Allontanò il carrello e rifece sedere Gabriele.
Anche Ernesto raggelò al suono della campanella. Era passato un anno esatto.
Marco, non più un ragazzo, da più di vent'anni ospite della casa, aveva ereditato quel piccolo campanello di ottone dal padre, che aveva la sadica abitudine di avvisarlo con lo scampanellio prima di infliggergli una punizione corporale. Per il suo comportamento non consono, a suo dire, verso i modi e le maniere della gente comune. Le frustate con la cinghia erano la cosa peggiore che gli era capitata nella sua già triste infanzia in quel paesino fuori dal mondo del profondo sud.
Alla morte del padre, aveva solo un'unica idea fissa, quella di impossessarsi della campanella. La conservava come una reliquia nella sua custodia di pelle e la metteva in uso svariate volte nel corso della giornata davanti ai volti delle persone a lui vicine. Tutti facevano fatica a sopportare quello scampanellio che penetrava nei timpani, come se avvertissero la sofferenza che rievocava, e Marco quasi perfidamente metteva in moto il tintinnio apposta, nella piccola comunità in cui viveva. A nulla valsero i sequestri per un giorno, una settimana, con le vane promesse di non usarlo più. Faceva delle pause che potevano durare svariati giorni, fino ad arrivare a mesi, ma poi ritornava come un incubo. La sera di Natale dell'anno prima, il suo compagno di stanza Fulvio, nell'udire nuovamente quel dlin, aprì la finestra, prese la rincorsa e si lanciò nel vuoto.
Marco era rannicchiato contro la parete. Tutti a fissarlo, immobili, a distanza, in un silenzio irreale. All'improvviso si alzò di scatto e come un fulmine aprì la finestra...
“Nooo!” urlarono tutti all'unisono lanciandosi verso di lui. Ma non riuscirono a fermarlo.
Marco, con tutta la forza che aveva, scagliò la campanella il più lontano possibile, nella macchia di rovi sottostante. E richiuse la finestra.
“Cosa ne dite se passiamo al pandoro col mascarpone?” chiese Gloria. “Dallo sguardo direi che l'idea vi possa piacere. Andate a chiamare Linda.”
Gingobo, gingobo, Gingo du wei.
Gingobo sreng....
Antonio non si era accorto di nulla.
Traccia 4 - Lo scampanellio
“Aspettate! Scottano!” urlò Gloria mentre serviva col mestolo nei piatti di plastica lavabili i tortellini in brodo fumanti.
Gabriele fu l'ultimo a riceverli. Lo conoscevano bene e non avrebbe aspettato neanche se nel piatto ci fosse stata della lava incandescente. Anche Linda aveva la stessa tendenza ma si bloccava all'urlo perentorio di Gloria mentre avvicinava il cucchiaio ricolmo alla bocca aperta.
Giuseppe aspettava per natura. Aspettava sempre. Poteva stare fermo ad aspettare all'infinito se non c'era qualcuno che lo imboccasse. E non era l'unico.
“Voglio i tortellini. Voglio i tortellini. Voglio i tortellini” perseverava Pietro.
“Ehi! Cos'è sta prepotenza! Si mangia tutti assieme. Quando saremo pronti iniziamo” lo riprese Gloria.
“No! Gabriele mangia sempre prima, mangia sempre prima, sempre prima, sempre prima, sempre pri...”
“Ora no! Sta aspettando anche lui” ribatté Luciana.
“Non è vero! l'ho visto risucchiare con la bocca nel piatto. Guarda che sorrisino...”
“Ma quello è il suo da sempre” continuò Luciana.
C'era un sottofondo di canzoni natalizie che nessuno considerava, era più un rumore che si aggiungeva alle voci che si sovrapponevano le une alle altre. Solo Antonio apprezzava la musica e andava matto per un brano americano degli anni '50: Jingle bell rock, che imitava con un inglese improbabile cadenzando fuori tempo piede destro e sinistro.
“Buon appetito a tutti e buon Natale” augurò Gloria.
Gingobo, gingobo, Gingo du wei.
Gingobo sreng o gingobo srei
Sno aluwei, ghe busce vondei
gost turei, aluwei ciungbei
Gingobo, gingobo....
Cantava e ballava. Non sapeva resistere a quel motivetto di Bobby Helms che ritornava più volte in ogni playlist natalizia.
Gabriele prese con due mani il piatto, lo portò alla bocca e bevve direttamente il brodo, facendone cadere buona parte sulla camicia fresca di bucato, per l'occasione.
“Ma che schifo, sei sempre il solito” commentò Linda.
“Voglio il mascarpone. Voglio il mascarpone. Voglio il mascarpone” sempre Pietro.
“Chi ti ha detto che c'è il mascarpone?” chiese Luciana.
“Linda.”
“Ancora tu!” la fulminò con lo sguardo Luciana. “Comunque c'è prima il secondo.”
“Cosa c'è di secondo? Cosa c'è di secondo? Cosa c'è di secondo? cosa c'è di sec...”
“Niente! Se non stai zitto.”
“Sto zitto.”
“Anch'io voglio sapere cosa c'è di secondo” disse Linda in modo calmo ma deciso.”
“Miiii! Arrosto con patate fritte.”
“Hiiiiiii!”
“Dudududududu!”
“Aish! Aish! Aish!”
C'era chi manifestava il proprio entusiasmo con svariati versi ripetuti e movimenti scomposti.
“Quante patate ci sono a testa? quante patate ci sono a testa? quante patate ci sono a testa?” continuò ansioso Pietro.
“Uff... undici! Sono undici a testa, poi si vedrà.”
“Linda ne mangerà dodici, lo so, lei ne mangia sempre dodici. Ne voglio anch'io dodici, anch'io.”
“Pensa a finire i tortellini.”
Due cucchiaiate di fila ed erano spariti.”
“Fishnischti” borbottò con la bocca piena.
Gingobo, gingobo, Gingo du wei..
“Basta! Puoi stare un po' zitto! Non lo sopporto più. Sempre a cantare questa canzone. E poi non sa neanche una parola.” disse Linda.
Antonio la guardò con uno sguardo poco rassicurante, quello sguardo che aveva già mostrato in altre occasioni quando era andata a finire con l'arrivo dell'ambulanza.
Luciana si precipitò verso Antonio cercando di distoglierlo: “Voglio farti ascoltare una canzone che mi piace tantissimo.”
“Linda, vieni con me che dobbiamo fare un discorsetto” le si rivolse Gloria.
Dlin dlin dlin dlin
Tutto si fermò di colpo. La musica venne stoppata con gran dispiacere di Antonio. Nessuno parlò più. Bloccati nei propri movimenti come in un'istantanea. Un silenzio glaciale regnava nella sala.
“E questo da dove salta fuori?” disse Gloria lentamente scandendo le lettere con lo sguardo puntato verso Marco.
“Nooooo! Noooo! Noooo!” gridò Pietro coprendosi le orecchie.
“Hiiiiiii, hiiiiiii, hiiiiiii” partì Gabriele con un ghigno diabolico.
“Ma non lo avevi buttato?” chiese Luciana rivolgendosi a Gloria.
“Lo avevo chiuso nella cassaforte.”
Marco sorrideva con lo sguardo perso nel vuoto, si portò il campanello vicino al viso e scampanellò di nuovo
Dlin dlin dlin dlin
Carla, assunta da due settimane, impegnata fino a quel momento a imboccare Giuseppe, non capiva cosa stesse succedendo: “Che cos'è quel campanello?”
“Poi ti spiego” rispose Luciana.
“Si è spiaccicato giù. Sponf!”
“Linda! Vai in camera!” la fulminò di nuova Gloria.
Drinnnnnn
“Questo dev'essere Ernesto.”
“Cavolo, ma cosa è successo? Neanche la notte di Natale...” esordì.
Si preparava per il turno di notte. Aveva anticipato un po' per poter festeggiare insieme la cena di Natale. Poi gli cadde l'occhio su Marco che si era ritirato in un angolo con in mano il suo campanello.
Dlin dlin dlin dlin
Gabriele approfittò della distrazione di tutti per fiondarsi nella teglia delle patate fritte e ingurgitarle a due mani fino a quasi ingozzarsi.
“Maledizione!” urlò Luciana. Allontanò il carrello e rifece sedere Gabriele.
Anche Ernesto raggelò al suono della campanella. Era passato un anno esatto.
Marco, non più un ragazzo, da più di vent'anni ospite della casa, aveva ereditato quel piccolo campanello di ottone dal padre, che aveva la sadica abitudine di avvisarlo con lo scampanellio prima di infliggergli una punizione corporale. Per il suo comportamento non consono, a suo dire, verso i modi e le maniere della gente comune. Le frustate con la cinghia erano la cosa peggiore che gli era capitata nella sua già triste infanzia in quel paesino fuori dal mondo del profondo sud.
Alla morte del padre, aveva solo un'unica idea fissa, quella di impossessarsi della campanella. La conservava come una reliquia nella sua custodia di pelle e la metteva in uso svariate volte nel corso della giornata davanti ai volti delle persone a lui vicine. Tutti facevano fatica a sopportare quello scampanellio che penetrava nei timpani, come se avvertissero la sofferenza che rievocava, e Marco quasi perfidamente metteva in moto il tintinnio apposta, nella piccola comunità in cui viveva. A nulla valsero i sequestri per un giorno, una settimana, con le vane promesse di non usarlo più. Faceva delle pause che potevano durare svariati giorni, fino ad arrivare a mesi, ma poi ritornava come un incubo. La sera di Natale dell'anno prima, il suo compagno di stanza Fulvio, nell'udire nuovamente quel dlin, aprì la finestra, prese la rincorsa e si lanciò nel vuoto.
Marco era rannicchiato contro la parete. Tutti a fissarlo, immobili, a distanza, in un silenzio irreale. All'improvviso si alzò di scatto e come un fulmine aprì la finestra...
“Nooo!” urlarono tutti all'unisono lanciandosi verso di lui. Ma non riuscirono a fermarlo.
Marco, con tutta la forza che aveva, scagliò la campanella il più lontano possibile, nella macchia di rovi sottostante. E richiuse la finestra.
“Cosa ne dite se passiamo al pandoro col mascarpone?” chiese Gloria. “Dallo sguardo direi che l'idea vi possa piacere. Andate a chiamare Linda.”
Gingobo, gingobo, Gingo du wei.
Gingobo sreng....
Antonio non si era accorto di nulla.