[Lab11] Il mio amico Cacca secca
Posted: Sun Nov 19, 2023 6:39 pm
Middle grade -9-12
Giorgio è sempre puntuale, arriva sotto casa mia con la precisione della campanella della scuola, quando segnala la fine delle lezioni. Spesso ho ancora tra i denti la mela che i miei mi costringono a mangiare tutti i giorni; dicono che è per la mia salute: una mela al giorno toglie il mal di pancia di torno... No! Forse toglie il vomito, il sonno, mannaggia, non ricordo cosa!
Io scendo velocemente le scale per andare ad aprirgli e me lo vedo davanti, secco come un chiodo, con il suo sorriso buffo da coniglio. Passiamo tutto il pomeriggio assieme a fare i compiti e poi ci mettiamo a giocare come vogliamo. Va così da quando siamo diventati amici, perché prima non lo eravamo, nonostante facessimo le elementari assieme. Adesso che siamo in prima e, dopo certe cose successe, facciamo coppia fissa. Non mi frega di Lorenzo e Gabriele, o di Alberto e gli altri. “Esci con Cacca secca?” Mi fanno, deridendolo per la sua magrezza e aspetto. E io rispondo che esco con chi voglio. Ero stanco di averli sempre in casa a fare casino e passare il tempo a prenderci in giro inventandoci soprannomi e risposte in rima: il gioco che piaceva tanto a Lorenzo. A me mi avevano appiccicato quello di Melinda. Io, quello di Homer a Lorenzo: pochi capelli, tanta pancia, e la faccia da cretino. Gabriele si era preso quello di Pista , dato che non parla d’altro al di fuori delle moto. “Ciccio bomba cannoniere s’è seduto sul bicchiere, il bicchiere s’è sfondato, Ciccio bomba s’è cacato”. Stavamo anche un’ora a risponderci, sino alla nausea “ Adesso che hai fatto rima, sei cretino più di prima”, “Rima si o rima no, fregato t’ho”, “Rimando, rimando, il cavolo ti sei mangiato”… Che rottura! Ci ho dato un taglio.
Giorgio è in effetti un semplicione, crede a tutto e a tutti. Ma ha dimostrato di avere carattere quando vuole. Un giorno, stanco di essere preso in giro, deve avere scritto sulla lavagna la rima che è finita sul tavolo del preside: non c’era voluto molto per capire che era stato lui, dal suo inimitabile corsivo: “ Filastrocca cacca, sotto il piede s’attacca, ai fessi per strada, col naso all’insù, dalle scarpe non togli più e merda diventi pure tu”. L’insegnante d’italiano aveva pensato che fosse rivolto a lui, e per questo la cosa era finita dal preside. Lui era stato coraggioso e aveva ammesso di essere l’autore, ma aveva chiarito che era rivolto ai compagni che lo angosciavano. Alla fine, eravamo finiti tutti accompagnati dai nostri genitori a colloquio dal preside, per una normale tirata d’orecchi. Tutto era poi finito lì e qualcuno si era dato una regolata, vedendo che tale azione aveva suscitato simpatia verso di lui, anche dalle fighe della classe, Genny e Bea. I miei si erano scusati con i suoi, e tra di noi era nata l’amicizia. Noi abbiamo invitato Giorgio a casa per una merenda, e poi, anche per studiare. Da sei mesi lui viene a casa mia, e io vado a casa sua, una settimana da me, una settimana da lui. Lui preferisce divertirsi in modo diverso da me, che di certo non mi mancano i giochi della play. Quando vado alla cascina dove vive, portiamo il labrador Rocky in giro per i campi. Giorgio non ha problemi a farsi leccare da lui, quando per premiarlo di avergli riportato il legno, gli rifila la polpetta che si conserva nella tasca dei pantaloni per la campagna, come dice lui, per giustificare l’unto e il fango che tanto abbonda su di essi. Quando poi imbrunisce, o ci infiliamo nel capanno degli attrezzi e ci mettiamo a costruire qualcosa, o ci mettiamo a giocare con i semi di albicocca. Ma dato che lui vince sempre, io mi sono stancato di perdere anche se devo stare al gioco. D’altronde, lui, perde sempre alla play e non si lamenta, anzi mi dice che sono audace e troppo forte, facendomi tanti complimenti. Lui è rimasto ai giochi, che dice essergli stati insegnati dal nonno, tra cui quello dei semi. Si prendono cinque semi di albicocca, (quelli della pesca sono troppo grandi), e si mettono a terra sparpagliandoli. Poi uno alla volta si devono raccogliere usando una sola mano e questa deve essere sgombra. Sembrerebbe semplice ma non lo è, perché li devi raccogliere tenendo quelli già raccolti per aria. Il primo è facile, in mano non hai niente, ma Il bello comincia quando passi al secondo, al terzo, al quarto, e al quinto seme. Non è facile prendere al volo i semi, dopo averne raccolto uno da terra. Il barba trucco, come lo chiama lui, è essere veloci a raccogliere, fare la mano a forma di coppa, attento a lanciare quelli che hai per mano non troppo in alto, e tenendoli uniti senza farli scomporre; diversamente qualcuno scapperebbe alla presa e il gioco sarebbe perso. Però dopo tanto tempo, anch’io sto cominciando a riuscire a portare al termine il gioco, raccogliendoli tutti e cinque , ma senza batterlo nel punteggio finale che finisce a chi arriva per primo a cinquanta. Io rimango sempre parecchio indietro, quattro, è il mio record.
Mi rifaccio sempre quando giochiamo a tiro a segno con il fucile di legno a mo' di fionda, anche questo vecchio gioco del nonno. Questi li abbiamo fatti nel capanno con delle tavolette di legno. Li abbiamo messo due chiodi per tenere l’elastico di caucciù. I proiettili li facciamo tagliando delle strisce di carta che rigiriamo un paio di volte su se stesse, e dopo che abbiamo fatto questi grissini di carta li pieghiamo in due per agganciarli sull’elastico. Non volevo crederci quando ho messo alla prova il mio, appena finito. Anche se di carta, riuscivano a sfondare un cartoncino, mentre sul cartone rimbalzavano, facendo un gran botto. Non immaginavo quale male potessero fare sino a quando ne ho preso uno sul fianco, tirato da Giorgio in risposta a quello che gli avevo tirato io per vedere l’effetto su di lui. “Ma sei scemo?” Mi aveva detto, massaggiandosi la parte colpita. Anche il suo mi aveva fatto un male cane, anche se non lo avevo dato a vedere, per non ammettere che avevo fatto una fesseria. Ogni tanto andiamo a caccia di lucertole, o tiriamo alle lattine vuote. Devo riconoscere che, anche se sono dei giochi da sfigati, mi diverto tanto senza pure stancarmi.
E oggi tocca a me organizzare il divertimento a casa. Basta con la play tutto il pomeriggio. E tanto per stare in tema di giochi divertenti e originali, abbiamo in corso la rivincita che spetta a Giorgio, dato che ieri l’ho stracciato al gioco “le invenzioni inutili”. Vince chi ne inventa di più, ma abbiamo bisogno di un giudice, che sarà mia mamma. La regola è che non si scrive niente di pronto e le invenzioni inutili devono nascere al momento. Però niente vieta di memorizzarle, e credo che Giorgio lo farà, per cercare di andare alla pari. Avevo in mente qualcosa tipo: la piscina dove non si può annegare: ha solo dieci centimetri d’acqua. Il motorino che non consuma niente: non ha la pedalina per accenderlo. La lampadina che non si brucia: non ha il filamento. Le scarpe che vanno bene anche quando il piede cresce...Mmmm! No! Questa è fattibile, me la sgamano. Intanto Giorgio, che è sotto casa mentre aspetta che lo apra, già lavora di mente, e quando gli apro, è già che ride: “pensavo a un campanello che non disturba!”. Come sarebbe fatto? Gli rispondo io, anche se già me lo immagino e rido.
Giorgio è sempre puntuale, arriva sotto casa mia con la precisione della campanella della scuola, quando segnala la fine delle lezioni. Spesso ho ancora tra i denti la mela che i miei mi costringono a mangiare tutti i giorni; dicono che è per la mia salute: una mela al giorno toglie il mal di pancia di torno... No! Forse toglie il vomito, il sonno, mannaggia, non ricordo cosa!
Io scendo velocemente le scale per andare ad aprirgli e me lo vedo davanti, secco come un chiodo, con il suo sorriso buffo da coniglio. Passiamo tutto il pomeriggio assieme a fare i compiti e poi ci mettiamo a giocare come vogliamo. Va così da quando siamo diventati amici, perché prima non lo eravamo, nonostante facessimo le elementari assieme. Adesso che siamo in prima e, dopo certe cose successe, facciamo coppia fissa. Non mi frega di Lorenzo e Gabriele, o di Alberto e gli altri. “Esci con Cacca secca?” Mi fanno, deridendolo per la sua magrezza e aspetto. E io rispondo che esco con chi voglio. Ero stanco di averli sempre in casa a fare casino e passare il tempo a prenderci in giro inventandoci soprannomi e risposte in rima: il gioco che piaceva tanto a Lorenzo. A me mi avevano appiccicato quello di Melinda. Io, quello di Homer a Lorenzo: pochi capelli, tanta pancia, e la faccia da cretino. Gabriele si era preso quello di Pista , dato che non parla d’altro al di fuori delle moto. “Ciccio bomba cannoniere s’è seduto sul bicchiere, il bicchiere s’è sfondato, Ciccio bomba s’è cacato”. Stavamo anche un’ora a risponderci, sino alla nausea “ Adesso che hai fatto rima, sei cretino più di prima”, “Rima si o rima no, fregato t’ho”, “Rimando, rimando, il cavolo ti sei mangiato”… Che rottura! Ci ho dato un taglio.
Giorgio è in effetti un semplicione, crede a tutto e a tutti. Ma ha dimostrato di avere carattere quando vuole. Un giorno, stanco di essere preso in giro, deve avere scritto sulla lavagna la rima che è finita sul tavolo del preside: non c’era voluto molto per capire che era stato lui, dal suo inimitabile corsivo: “ Filastrocca cacca, sotto il piede s’attacca, ai fessi per strada, col naso all’insù, dalle scarpe non togli più e merda diventi pure tu”. L’insegnante d’italiano aveva pensato che fosse rivolto a lui, e per questo la cosa era finita dal preside. Lui era stato coraggioso e aveva ammesso di essere l’autore, ma aveva chiarito che era rivolto ai compagni che lo angosciavano. Alla fine, eravamo finiti tutti accompagnati dai nostri genitori a colloquio dal preside, per una normale tirata d’orecchi. Tutto era poi finito lì e qualcuno si era dato una regolata, vedendo che tale azione aveva suscitato simpatia verso di lui, anche dalle fighe della classe, Genny e Bea. I miei si erano scusati con i suoi, e tra di noi era nata l’amicizia. Noi abbiamo invitato Giorgio a casa per una merenda, e poi, anche per studiare. Da sei mesi lui viene a casa mia, e io vado a casa sua, una settimana da me, una settimana da lui. Lui preferisce divertirsi in modo diverso da me, che di certo non mi mancano i giochi della play. Quando vado alla cascina dove vive, portiamo il labrador Rocky in giro per i campi. Giorgio non ha problemi a farsi leccare da lui, quando per premiarlo di avergli riportato il legno, gli rifila la polpetta che si conserva nella tasca dei pantaloni per la campagna, come dice lui, per giustificare l’unto e il fango che tanto abbonda su di essi. Quando poi imbrunisce, o ci infiliamo nel capanno degli attrezzi e ci mettiamo a costruire qualcosa, o ci mettiamo a giocare con i semi di albicocca. Ma dato che lui vince sempre, io mi sono stancato di perdere anche se devo stare al gioco. D’altronde, lui, perde sempre alla play e non si lamenta, anzi mi dice che sono audace e troppo forte, facendomi tanti complimenti. Lui è rimasto ai giochi, che dice essergli stati insegnati dal nonno, tra cui quello dei semi. Si prendono cinque semi di albicocca, (quelli della pesca sono troppo grandi), e si mettono a terra sparpagliandoli. Poi uno alla volta si devono raccogliere usando una sola mano e questa deve essere sgombra. Sembrerebbe semplice ma non lo è, perché li devi raccogliere tenendo quelli già raccolti per aria. Il primo è facile, in mano non hai niente, ma Il bello comincia quando passi al secondo, al terzo, al quarto, e al quinto seme. Non è facile prendere al volo i semi, dopo averne raccolto uno da terra. Il barba trucco, come lo chiama lui, è essere veloci a raccogliere, fare la mano a forma di coppa, attento a lanciare quelli che hai per mano non troppo in alto, e tenendoli uniti senza farli scomporre; diversamente qualcuno scapperebbe alla presa e il gioco sarebbe perso. Però dopo tanto tempo, anch’io sto cominciando a riuscire a portare al termine il gioco, raccogliendoli tutti e cinque , ma senza batterlo nel punteggio finale che finisce a chi arriva per primo a cinquanta. Io rimango sempre parecchio indietro, quattro, è il mio record.
Mi rifaccio sempre quando giochiamo a tiro a segno con il fucile di legno a mo' di fionda, anche questo vecchio gioco del nonno. Questi li abbiamo fatti nel capanno con delle tavolette di legno. Li abbiamo messo due chiodi per tenere l’elastico di caucciù. I proiettili li facciamo tagliando delle strisce di carta che rigiriamo un paio di volte su se stesse, e dopo che abbiamo fatto questi grissini di carta li pieghiamo in due per agganciarli sull’elastico. Non volevo crederci quando ho messo alla prova il mio, appena finito. Anche se di carta, riuscivano a sfondare un cartoncino, mentre sul cartone rimbalzavano, facendo un gran botto. Non immaginavo quale male potessero fare sino a quando ne ho preso uno sul fianco, tirato da Giorgio in risposta a quello che gli avevo tirato io per vedere l’effetto su di lui. “Ma sei scemo?” Mi aveva detto, massaggiandosi la parte colpita. Anche il suo mi aveva fatto un male cane, anche se non lo avevo dato a vedere, per non ammettere che avevo fatto una fesseria. Ogni tanto andiamo a caccia di lucertole, o tiriamo alle lattine vuote. Devo riconoscere che, anche se sono dei giochi da sfigati, mi diverto tanto senza pure stancarmi.
E oggi tocca a me organizzare il divertimento a casa. Basta con la play tutto il pomeriggio. E tanto per stare in tema di giochi divertenti e originali, abbiamo in corso la rivincita che spetta a Giorgio, dato che ieri l’ho stracciato al gioco “le invenzioni inutili”. Vince chi ne inventa di più, ma abbiamo bisogno di un giudice, che sarà mia mamma. La regola è che non si scrive niente di pronto e le invenzioni inutili devono nascere al momento. Però niente vieta di memorizzarle, e credo che Giorgio lo farà, per cercare di andare alla pari. Avevo in mente qualcosa tipo: la piscina dove non si può annegare: ha solo dieci centimetri d’acqua. Il motorino che non consuma niente: non ha la pedalina per accenderlo. La lampadina che non si brucia: non ha il filamento. Le scarpe che vanno bene anche quando il piede cresce...Mmmm! No! Questa è fattibile, me la sgamano. Intanto Giorgio, che è sotto casa mentre aspetta che lo apra, già lavora di mente, e quando gli apro, è già che ride: “pensavo a un campanello che non disturba!”. Come sarebbe fatto? Gli rispondo io, anche se già me lo immagino e rido.