Genere Lyssavirus
Posted: Sun Jan 10, 2021 10:17 am
Distese le gambe sulla scrivania con il mozzicone di sigaretta penzoloni dalle labbra. Aveva visto questa scena in molti film con John Wayne, e lui si sentiva un po' sceriffo un po' bandito. Sceriffo perchè i suoi studi sarebbero stati una svolta epocale per l'umanità, bandito perchè lo avevano costretto all'isolamento. Le lobby occulte cercavano di impedirgli di portare avanti le sue ricerche, ma non intendeva mollare. Appena avesse ottenuto risultati solidi e definitivi, li avrebbe urlati al mondo. E stavano arrivando. A tal pensiero gli saliva una vampata di calore al volto, il corpo si irrigidiva per l'emozione e la grinta lo pervadeva.
Preso dallo slancio di entusiasmo si strappò il mozzicone di bocca e lo spense sulla corazza di una grossa blatta che stava transitando, ignara, sul bracciolo della sua poltrona. Poi saltò in piedi e annusò l'aria: “Chitina e resilina, mh!” pensò ricordando i suoi studi universitari. Dagli angoli della bocca gli colarono due rigoli di saliva, prese l'insetto abbrustolito e lo masticò di gusto.
Mentre ancora assaporava lo spuntino croccante, un lamento si alzò dall'angolo più buio della stanza, in cui aveva sistemato un lettino da ospedale e tutti i macchinari, sottratti di nascosto dal suo vecchio laboratorio. Li aveva dovuti prendere nottetempo, aiutato da Naira, la giovane cameriera, quando l'Università di Berkeley lo aveva licenziato in tronco. Erano stati sistemati in quella cantina buia e senza finestre, insieme alle gabbie con le cavie. Naira era stata preziosa, si prendeva cura di lui e delle sue necessità quotidiane, mentre era totalmente assorbito dalla ricerca. Era stata l'unica a non averlo abbandonato.
All'improvviso gli allarmi sonori cominciarono ad attivarsi, segno che qualcosa era cambiato nel monitoraggio della cavia.
“Ah, ti sei svegliata!” disse asciugandosi il naso col dorso della mano mentre preparava l'ago per un prelievo. Un piccolo braccio dalla pelle grigiognola ciondolò da sotto il lenzuolo che copriva tutto il lettino.
“Bene Vampiretta Numero Nove, se i risultati delle analisi sono buoni, oggi sarai tu a confermare le mie ipotesi. Sarà una lunga operazione, costituirai uno degli ultimi pezzi della mia ricerca. Tutto continua a confermare le mie teorie. Il sogno di ogni scienziato...”
Mentre cavava sangue dal braccino, ripensò ai suoi inizi in quella terra lontana e inospitale. Il paese in cui aveva deciso di insediare il suo laboratorio, tanti anni prima, si trovava sulle rive del Rio Curaray, ai confini tra Perù ed Equador. Quel posto aveva registrato il più alto numero di casi di rabbia trasmessa da desmodus rotundus degli ultimi venti anni, causando la morte di tutti i contagiati. Si era convinto che tale virus fosse mutageno, diverso da quello trasmesso da altri animali. Ma il corso delle sue ricerche era cambiato dopo un'escursione nella foresta amazzonica. Voleva trovare una grotta in cui i locali dicevano alloggiasse una colonia di pipistrelli vampiro, i vettori del virus. In realtà in quella grotta abitavano delle creature molto speciali, sconosciute fino a quel momento, ma dalla biologia straordinaria. Dopo quella scoperta il mondo accademico gli aveva voltato le spalle.
“Oh, cavolo!” strappò con violenza l'ago dal braccio. La fialetta si era riempita oltre l'orlo versando sangue sul pavimento. “Ora dovrò anche pulire questa roba, e poi è sprecata così!”. Controllò il livello del sangue nella fialetta e, poiché superava il segno di riempimento massimo, lo bevve fino a regolarne la quantità.
Mentre aspettava i risultati dei test, abbassò il lenzuolo e vide la creatura che apriva e chiudeva gli occhi a fatica. Erano gonfi a causa delle sostanze sedative che l'uomo somministrava per essere sicuro di non correre rischi. Più di una volta le cavie erano riuscite a liberarsi, dando sfoggio di tutta la loro potenza. I capelli neri le ricadevano sul volto dalla forma vagamente triangolare e la bocca serrata sembrava piccola e senza labbra. Si trattava della più perfetta delle creature analizzate finora: le risposte dei suoi organi ai test erano in linea con le ipotesi. Se le condizioni della cavia lo avessero permesso, avrebbe proceduto in giornata all'espianto.
Fu distratto dal prurito provocato da una lucertola che stava risalendo la sua gamba. Dopo essersi grattato a dovere, la sollevò dalla coda, le staccò la testa con un gesto deciso e se la ficcò in bocca ancora calda di vita, mentre si dimenava per reazione neurologica involontaria.
Diede un'occhiata al monitor che gli segnalava l'esito delle analisi. “Perfetto!” fece un balzo di gioia, schizzando saliva in ogni direzione:“Posso operarti.”
Strinse forte le manette che bloccavano i polsi della creatura e somministrò un po' di thiopental. Avvicinò il tavolino con i ferri chirurgici e dispose in ordine crescente di dimensione quattro bisturi. Stringendo tra le dita quello più grosso un brivido di emozione gli attraversò la schiena. Impaziente, non aspettò che il barbiturico facesse effetto e si lancò sull'addome prominente della cavia, praticando dei profondissimi tagli da cui uscirono subito tutti gli intestini e le altre viscere. Immerso tra muco e sangue, concentrato a scavare nel ventre della vampiretta che si dimenava per il dolore, non si era accorto che quest'ultima era riuscita a liberarsi.
La creatura scosse la testa come a rioridinare le idee, aprì e chiuse le mani un paio di volte per riattivare la circolazione e poi spalancò la bocca mostrando una dentatura lucente e dei canini lunghi come sciabole. Si avventò sulla nuca china dello scienziato. Il volto dell'uomo finì affogato nelle interiora fuoriscite e stava soffocando, così bloccato, tra intestini grondanti sangue, fegato, milza e altri tessuti molli. Cercò di prendere aria divincolandosi in modo goffo. La creatura serrò più forte il morso e gli scuoiò mezzo cranio, prima di venir lanciata a terra da un gesto disperato dello scienziato. Dischiuse allora le sue ali nere e con un agile slancio afferrò il bisturi più piccolo e si lanciò con tutto il suo peso sul volto dell'uomo riuscendo a conficcarlo preciso nell'occhio. Lo scienziato cadde supino in preda a dolori tremendi che gli fecero perdere i sensi.
L'infermiera uscì dalla stanza facendo molta attenzione a richiudere la porta dietro di lei. Nel corridoio c'era il primario che aspettava nervosamente massaggiandosi le mani. “Allora?”
“Mi sa che ha perso l'occhio, dottore.”
“Forse non possiamo più assecondare questa situazione, sta divetando pericoloso. Riesce a rendere armi letali anche oggetti adatti a un bambino. Tu che ne pensi?” chiese rivolgendosi a una giovane donna che ascoltava attentamente accanto a lui.
“Se è la terza volta in due settimane che si ferisce, usando strumenti innoqui come questa bacchetta di plastica, direi di no. Ma non è più uscito dal suo stato delirante?”
“No, dottoressa.” rispose mesta l'infermiera “Continua a credere di essere nel suo laboratorio, di fare esperimenti su vampiri e che io sia la sua cameriera indigena, mi parla addirittura in quechua.”
“E la febbre?”
“A tratti è molto alta, ma nei momenti di delirio scende anche sotto i trentacinque gradi. É molto disidratato, non riusciamo a farlo bere, se proviamo con le flebo le strappa immediatamente. I sedativi hanno pochissimo effetto.”
“Sembra che non riusciamo a controllare questo strano virus con i metodi tradizionali. Nei sintomi principali somiglia molto al rabies virus, genere Lyssavirus, ma ha una tenacia e una dannosità a livello cerebrale molto anomala. Deve trattarsi di un virus mutageno che prolifera nelle profondità dell'Amazzonia. Dobbiamo cercare di isolarlo dai suoi tessuti e studiarlo.” concluse la dottoressa.
Preso dallo slancio di entusiasmo si strappò il mozzicone di bocca e lo spense sulla corazza di una grossa blatta che stava transitando, ignara, sul bracciolo della sua poltrona. Poi saltò in piedi e annusò l'aria: “Chitina e resilina, mh!” pensò ricordando i suoi studi universitari. Dagli angoli della bocca gli colarono due rigoli di saliva, prese l'insetto abbrustolito e lo masticò di gusto.
Mentre ancora assaporava lo spuntino croccante, un lamento si alzò dall'angolo più buio della stanza, in cui aveva sistemato un lettino da ospedale e tutti i macchinari, sottratti di nascosto dal suo vecchio laboratorio. Li aveva dovuti prendere nottetempo, aiutato da Naira, la giovane cameriera, quando l'Università di Berkeley lo aveva licenziato in tronco. Erano stati sistemati in quella cantina buia e senza finestre, insieme alle gabbie con le cavie. Naira era stata preziosa, si prendeva cura di lui e delle sue necessità quotidiane, mentre era totalmente assorbito dalla ricerca. Era stata l'unica a non averlo abbandonato.
All'improvviso gli allarmi sonori cominciarono ad attivarsi, segno che qualcosa era cambiato nel monitoraggio della cavia.
“Ah, ti sei svegliata!” disse asciugandosi il naso col dorso della mano mentre preparava l'ago per un prelievo. Un piccolo braccio dalla pelle grigiognola ciondolò da sotto il lenzuolo che copriva tutto il lettino.
“Bene Vampiretta Numero Nove, se i risultati delle analisi sono buoni, oggi sarai tu a confermare le mie ipotesi. Sarà una lunga operazione, costituirai uno degli ultimi pezzi della mia ricerca. Tutto continua a confermare le mie teorie. Il sogno di ogni scienziato...”
Mentre cavava sangue dal braccino, ripensò ai suoi inizi in quella terra lontana e inospitale. Il paese in cui aveva deciso di insediare il suo laboratorio, tanti anni prima, si trovava sulle rive del Rio Curaray, ai confini tra Perù ed Equador. Quel posto aveva registrato il più alto numero di casi di rabbia trasmessa da desmodus rotundus degli ultimi venti anni, causando la morte di tutti i contagiati. Si era convinto che tale virus fosse mutageno, diverso da quello trasmesso da altri animali. Ma il corso delle sue ricerche era cambiato dopo un'escursione nella foresta amazzonica. Voleva trovare una grotta in cui i locali dicevano alloggiasse una colonia di pipistrelli vampiro, i vettori del virus. In realtà in quella grotta abitavano delle creature molto speciali, sconosciute fino a quel momento, ma dalla biologia straordinaria. Dopo quella scoperta il mondo accademico gli aveva voltato le spalle.
“Oh, cavolo!” strappò con violenza l'ago dal braccio. La fialetta si era riempita oltre l'orlo versando sangue sul pavimento. “Ora dovrò anche pulire questa roba, e poi è sprecata così!”. Controllò il livello del sangue nella fialetta e, poiché superava il segno di riempimento massimo, lo bevve fino a regolarne la quantità.
Mentre aspettava i risultati dei test, abbassò il lenzuolo e vide la creatura che apriva e chiudeva gli occhi a fatica. Erano gonfi a causa delle sostanze sedative che l'uomo somministrava per essere sicuro di non correre rischi. Più di una volta le cavie erano riuscite a liberarsi, dando sfoggio di tutta la loro potenza. I capelli neri le ricadevano sul volto dalla forma vagamente triangolare e la bocca serrata sembrava piccola e senza labbra. Si trattava della più perfetta delle creature analizzate finora: le risposte dei suoi organi ai test erano in linea con le ipotesi. Se le condizioni della cavia lo avessero permesso, avrebbe proceduto in giornata all'espianto.
Fu distratto dal prurito provocato da una lucertola che stava risalendo la sua gamba. Dopo essersi grattato a dovere, la sollevò dalla coda, le staccò la testa con un gesto deciso e se la ficcò in bocca ancora calda di vita, mentre si dimenava per reazione neurologica involontaria.
Diede un'occhiata al monitor che gli segnalava l'esito delle analisi. “Perfetto!” fece un balzo di gioia, schizzando saliva in ogni direzione:“Posso operarti.”
Strinse forte le manette che bloccavano i polsi della creatura e somministrò un po' di thiopental. Avvicinò il tavolino con i ferri chirurgici e dispose in ordine crescente di dimensione quattro bisturi. Stringendo tra le dita quello più grosso un brivido di emozione gli attraversò la schiena. Impaziente, non aspettò che il barbiturico facesse effetto e si lancò sull'addome prominente della cavia, praticando dei profondissimi tagli da cui uscirono subito tutti gli intestini e le altre viscere. Immerso tra muco e sangue, concentrato a scavare nel ventre della vampiretta che si dimenava per il dolore, non si era accorto che quest'ultima era riuscita a liberarsi.
La creatura scosse la testa come a rioridinare le idee, aprì e chiuse le mani un paio di volte per riattivare la circolazione e poi spalancò la bocca mostrando una dentatura lucente e dei canini lunghi come sciabole. Si avventò sulla nuca china dello scienziato. Il volto dell'uomo finì affogato nelle interiora fuoriscite e stava soffocando, così bloccato, tra intestini grondanti sangue, fegato, milza e altri tessuti molli. Cercò di prendere aria divincolandosi in modo goffo. La creatura serrò più forte il morso e gli scuoiò mezzo cranio, prima di venir lanciata a terra da un gesto disperato dello scienziato. Dischiuse allora le sue ali nere e con un agile slancio afferrò il bisturi più piccolo e si lanciò con tutto il suo peso sul volto dell'uomo riuscendo a conficcarlo preciso nell'occhio. Lo scienziato cadde supino in preda a dolori tremendi che gli fecero perdere i sensi.
L'infermiera uscì dalla stanza facendo molta attenzione a richiudere la porta dietro di lei. Nel corridoio c'era il primario che aspettava nervosamente massaggiandosi le mani. “Allora?”
“Mi sa che ha perso l'occhio, dottore.”
“Forse non possiamo più assecondare questa situazione, sta divetando pericoloso. Riesce a rendere armi letali anche oggetti adatti a un bambino. Tu che ne pensi?” chiese rivolgendosi a una giovane donna che ascoltava attentamente accanto a lui.
“Se è la terza volta in due settimane che si ferisce, usando strumenti innoqui come questa bacchetta di plastica, direi di no. Ma non è più uscito dal suo stato delirante?”
“No, dottoressa.” rispose mesta l'infermiera “Continua a credere di essere nel suo laboratorio, di fare esperimenti su vampiri e che io sia la sua cameriera indigena, mi parla addirittura in quechua.”
“E la febbre?”
“A tratti è molto alta, ma nei momenti di delirio scende anche sotto i trentacinque gradi. É molto disidratato, non riusciamo a farlo bere, se proviamo con le flebo le strappa immediatamente. I sedativi hanno pochissimo effetto.”
“Sembra che non riusciamo a controllare questo strano virus con i metodi tradizionali. Nei sintomi principali somiglia molto al rabies virus, genere Lyssavirus, ma ha una tenacia e una dannosità a livello cerebrale molto anomala. Deve trattarsi di un virus mutageno che prolifera nelle profondità dell'Amazzonia. Dobbiamo cercare di isolarlo dai suoi tessuti e studiarlo.” concluse la dottoressa.