[MI 176] Intervista a Peter Pan
Posted: Wed Jun 21, 2023 4:06 pm
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Traccia n. 2
"La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."
La luce fredda del proiettore disegna un sole triste sul tavolo illuminando il volto di Peter di rimbalzo sotto l’occhio vigile della telecamera.
Traccia n. 2
"La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."
La luce fredda del proiettore disegna un sole triste sul tavolo illuminando il volto di Peter di rimbalzo sotto l’occhio vigile della telecamera.
«Non ha mai avuto il desiderio di cercarli, di sapere chi fossero, di conoscere chi sono oggi?»
Peter gioca con le proprie dita: prima massaggia l’unghia del pollice, poi apre e chiude la mano come una specie di lampeggio muto.
«A quel tempo no» pausa «non era così importante… mi bastava sapere che erano vivi. Potevano ancora sperare nel futuro. Oggi invece vorrei tanto avere loro notizie. Per questo sono qui.»
«Cosa è cambiato? Perché proprio oggi?»
«Perché ho bisogno di credere ancora.»
«Cosa provò quando riuscì a entrare in quella terribile stanza?»
La mano di Peter cessa di lampeggiare chiudendosi in un pugno esangue: «Un fottuto senso di impotenza, dolore, odio e desiderio di vendetta e, per la prima volta in quel posto, ho capito davvero cosa vuol dire desiderare di uccidere.»
Una voce asettica invade la saletta. «L’ultima affermazione la tagliamo.»
Peter arretra sulla sedia allontanandosi dalla luce. Nella semiombra alza il dito medio della mano destra.
«Che ne sapete? Voi non avete visto…»
L’imbarazzo si frappone come una barriera invisibile tra i due.
La giornalista si schiarisce la voce.
«Capisco... deve essere stato atroce. Non voglio tormentarla, ma devo farle ancora alcune domande. Come riuscì a trovare quel luogo?»
Peter guarda fisso l’occhio della macchina da presa.
«Non è stato facile. Ho dovuto agire con moltissima cautela, la posta in gioco era troppo alta. È stata una caccia silenziosa. Vorrei dire che sono stato bravo ma in realtà sono stato solo fortunato.»
Le pupille sembrano galleggiare nel mare tempestoso dei ricordi. Sente ancora la voce squillante di Silvia, la sua compagna.
“Ho incontrato Clara oggi”
“Mi sembri felice… come sta suo figlio?”
“Non ci crederai ma pare che abbia trovato un donatore di cornee. Michele guarirà.”
“È stata fortunata, è difficile riuscire a trovare gli organi per un bambino così piccolo.”
Un silenzio innaturale calò sull’affermazione. Di sicuro Silvia gli aveva taciuto qualche aspetto importante. Quando lei lo raggiunse alle spalle baciandolo sul collo ne ebbe la certezza.
“Diciamo che i suoi soldi le hanno dato una mano con la fortuna…”
“Spara, cosa mi nascondi?”
“Non so se dovrei. Le ho promesso di non dirtelo, ma non credo sia giusto. Un medico l’ha indirizzata verso una certa organizzazione.”
Peter raddrizza il busto.
«Stavo indagando da tempo sulla sparizione di alcuni bambini dal campo profughi. Ebbi una sorta di “illuminazione”» posa lo sguardo sulla donna, una bionda elegante dai lineamenti raffinati «…un angelo mi mise sulla buona strada.»
«È stato coraggioso.»
«Ero molto motivato. Il solo dubbio che i miei sospetti potessero essere fondati mi tormentava. Così mi ritrovai a pedinare, di notte, una coppia di infermieri della rinomata clinica privata del dr. Bianchi. Nei corridoi si diceva che i due avessero una tresca. Li seguii. Il posto era molto isolato e a prima vista si sarebbe detto che la coppietta si appartasse in una vecchia baracca apparentemente abbandonata. Attesi che uscissero prima di entrare. La catapecchia sembrava vuota ma, quello che contava si trovava sotto al pavimento.»
«Quindi la tresca era una solo una copertura.»
«Sì. Non avrei mai pensato di trovare una botola che conduceva a una specie di bunker, un cubicolo scavato sottoterra. Tesi l’orecchio, ma, sulle prime, non riuscii a sentire alcun rumore.»
Peter smette di parlare all’improvviso. Le mani riprendono a lampeggiare seguendo il ritmo del cuore tachicardico.
La donna gli versa dell’acqua, ma lui allontana il bicchiere.
«Non avrei mai potuto immaginare che proprio lì sotto c’erano quei ragazzini. Erano come sepolti vivi. L’odore della paura nell’aria» afferra la mano della giornalista «lei l’ha mai sentito l’odore della paura?»
L’intervistatrice si libera con grazia dalla presa e fa un cenno di diniego. Peter prosegue:
«Nel buio sono riuscito a contarne tre, ma sono scappati subito via. Io dovevo controllare che non ce ne fossero altri là sotto, quindi non li ho seguiti. Ero solo, capisce?»
«Ma, alla fine, erano solo quei tre? Non c’era nessun altro?»
Peter si alza di scatto.
«Nessuno? Lei non ha la minima idea di quello che ho visto là sotto. Sei giacigli putridi. Escrementi sparsi dappertutto e una montagna di involucri di merendine. E poi scarpe… tante… ammonticchiate in un angolo. Tanti piccoli paia di scarpe.»
A un cenno della donna una solerte assistente provvede a sistemare il trucco sciolto dalle lacrime.
La solita voce atona invade la stanza.
«Lasci stare. Niente ritocchi, le lacrime fanno audience.»
Peter, questa volta solleva il dito medio di entrambe le mani. Vorrebbe farlo a favore di camera, ma la commozione della sua interlocutrice gli pare sincera. Non vuole metterla nei guai. Riprende il racconto, laconico.
«Bambini usati come “pezzi di ricambio”. Bambini perduti, mai nati. Figli del mare, di madri disperse, di padri ignoti.»
«So che ha lasciato il servizio dopo il ritrovamento.»
«Sì, mi avrebbero senz’altro tolto il caso e io volevo debellare quel male oscuro. Troppe persone insospettabili avevano messo in piedi un giro d’affari milionario. Una odiosa tratta di organi. Le giuro che avrei dato la mia vita senza rimpianto. Sono sopravvissuto, ma sono morto dentro.»
«Non dovrebbe. Ne ha salvati parecchi, dopo. Per questo l’hanno soprannominata “Peter Pan”.»
Peter sorride.
«Ho giurato a me stesso che avrei fatto di tutto per evitare che altri bambini smarriti, finissero nelle mani sbagliate. Ma il mio fisico non è proprio il massimo per volare!»
Di nuovo la voce fuori campo: «Ancora un minuto. Passate ai saluti.»
Questa volta è la giornalista ad alzare il dito medio sotto il tavolo.
«E ora cosa fa Peter Pan?»
«Ho venduto quello che avevo e l’ho messo a disposizione di un asilo. Ci sono tante brave persone che si impegnano ogni giorno per questa causa.»
Peter Pan si alza. I due si guardano a lungo senza parlare più. Poi, lui le stringe la mano con una stretta forte che suona come una richiesta.
Quei ragazzini fuggiti nella notte anni fa, saranno uomini ormai.
Uomini cresciuti nella paura, uomini in cerca di vendetta. Sa troppo bene che la violenza chiama violenza. Per questo deve trovarli. Vuole guardarli negli occhi e dire loro: cercate di crescere i vostri figli in libertà.