Marta

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Tic - tic - tic. Rumore di tacchi sul selciato. Passi svelti, nervosi, di chi ha fretta oppure fugge da qualcosa.
Il marciapiede è finito: oltre il bordo c'è il Corso, trafficato come ogni domenica.
Marta attraversa senza neppure guardare; il semaforo appeso in alto, come una scimmia su un ramo, è un occhio rosso che la fissa a metà tra lo sbigottito e l'irato.
Stridore di pneumatici. La voce alterata che per un attimo copre i rumori della città, le scivola addosso come la sottoveste di seta che indossava per lui.
«Non so dire cosa sia più liscia, se la seta o la tua pelle».
Marta rivede l'espressione estatica di quegli occhi nocciola che la fissano, avverte il calore della mano di lui che scivola sul tessuto, giù lungo il fianco, sconfinando tra le sue cosce.
Singhiozza. Le lacrime sono calde, bruciano. I contorni delle cose si sfocano: il mondo è diventato un dagherrotipo scolorito e stinto.
Nella mano destra, stringe ancora le chiavi della casa di lui. Le dita che avvolgono il metallo con forza sono esangui. I bordi seghettati le lacerano la pelle ma lei non ci fa caso.
«Prendile, ormai siamo una coppia!» Succedeva appena un mese fa.
Chissà se anche l'altra ha le chiavi di casa. Chissà a quante altre ha dato le chiavi di casa. Chissà perché, scappando via, le ha portate ancora con sé.
Tic - tic- tic. Il metronomo scandisce il ritmo del dolore.
I suoni che filtrano dalla stanza da letto. Inequivocabili. L'ansimare di lei che si mescola al rantolo di lui.
Marta lo conosce bene quel rantolo; cresce fino a diventare tonante quando le viene dentro durante i loro amplessi.
La porta cigola appena aprendosi. Il baccano di lui che fotte la sua amichetta l'investe con la forza di un manrovescio.
«Marta!» dice quando la vede. Nient'altro.
Marta corre via. Attraverso i corridoi di quel maledetto appartamento, oltre la rampa di scale, fuori dal portone condominiale, il cuore di metallo pesante che minaccia di farsi largo tra le costole mentre sbuca in strada.
Tic - tic -tic. I passi rallentano. Si fermano. Si guarda indietro: lui non c'è. Non l'ha rincorsa per riprendersela, anche se lei lo ha aspettato. Lei se lo riprenderebbe. Ancora una volta. La sua dignità è abituata a ficcare la testa sotto la sabbia come lo struzzo. Maledetta Marta che non ti vuoi bene.
Ma lui non c'è.

Marta è a casa. Buttata sul divano, il volto nascosto dai cuscini. Piange senza sosta, si lamenta fino quasi a stare male. Sente le mani intorpidite, le punta delle dita pizzicare. Rischia un malore, deve darsi una calmata.
Si trascina fino al mobiletto dei farmaci e ne tira fuori la scatola di cartone bianca e blu dello Xanax. Un'eredità della prima scappatella di lui.
Fruga inutilmente: il blister è vuoto, le compresse sono finite. Ora ricorda che avrebbe dovuto comprarle quel pomeriggio, tornando a casa, ma poi... L'ansia prende il sopravvento, le ginocchia tremano. Cerca di tornare al divano, non vuole svenire sul pavimento.
Qualche minuto più tardi guarda il soffitto con un cuscino sotto il capo e le gambe sollevate per far scendere il sangue al cervello.
«Così non può continuare Marta! La tua gelosia è insana. Dovresti farti vedere da qualcuno, dico davvero».
Il dottor Pirani! Marta ruota il capo verso il tavolinetto vicino al divano; il cordless entra nel suo campo visivo. Ha bisogno di parlare al suo analista, di raccontargli tutto. Deve razionalizzare l'accaduto, poi, col tempo, ogni cosa tornerà al suo posto.
Una voce nella cornetta gli ricorda che il dottor Pirani riceve dal lunedì al venerdì, previo appuntamento. Niente da fare.
Ha un gesto di stizza, non verso l'incolpevole dottore, ma verso sé stessa: non può ridursi in quello stato tutte le volte che la sua relazione attraversa un momento di difficoltà. Si sa come vanno certe cose, gli uomini tornano sempre a casa. Dopotutto, una scappatella inizia e finisce lì, il vero amore è un'altra cosa, lei lo sa bene.
La segreteria telefonica si anima. Marta sente la sua voce ripetere il messaggio registrato. Non è in casa, lasciassero pure un messaggio lei li avrebbe ricontattati.
Il bip, poi lui parla.
«Marta ci sei? Lo so che sei in casa». Uno sbuffo. «Non avrei voluto che lo sapessi in questo modo, ma tant'è... Mi vedo con Giulia da... da un po'. Noi ci amiamo e vogliamo stare insieme. Marta, sto dicendo che tra noi è finita! Capito? E per favore, cerca di fartene una ragione. Niente sceneggiate, intesi? Non voglio trovarti domani, sotto casa, con il solito sguardo da cagnolino bastonato. Non telefonarmi, non bombardarmi di messaggi. Anzi, sai che fai? Cancella proprio il mio numero di telefono». Pausa. «Tra noi è da un po’ che non funziona, tu sei… beh, lo sai come sei. Non posso stare con una come te, non ce la faccio più: tu mi uccidi dentro».
Ancora un bip poi il disco annuncia che non ci sono altri messaggi.
Marta è impietrita. Sdraiata sul divano, le piante dei piedi ancora poggiate alla parete, i collant neri 30 denari che fuoriescono dal vestitino a fiori, continua a fissare la segreteria telefonica. Incredula.
Respira piano ma non c’è niente da fare. I primi invisibili sassolini cominciano a ruzzolare, avvisaglia della frana che sta per scatenarsi dentro di lei.
Afferra il cordless e compone il numero che conosce fin troppo bene.
Uno, duo squilli, poi qualcuno risponde: è lui.
«Ti avevo detto di non chiamarmi…»
«Bastardo! Sei un bastardo!» lo aggredisce.
Marta piange, impreca non è neppure consapevole di quel che dice. Quanto più violente sono le sue parole tanto più disperata vuole essere la sua richiesta d’aiuto.
«Falla finita, Marta. Sei fuori di te! Prendi le tue pillole, fatti un bagno caldo ma datti una calmata e, soprattutto, sparisci dalla mia vita».
La sua vita. Una lunga teoria di tradimenti e riconciliazioni.
«Tu non puoi mollarmi così, io non sono una bambola di pezza, io sono…»
Il clic di del ricevitore che viene agganciato.
… la donna che ti ama. Ma questo non fa a tempo a dirlo. Il braccio che regge il telefono cade giù privo di volontà.
Domani, quando si alzerà, lui non ci sarà più. Davanti, le si spalanca il vuoto pneumatico di un’esistenza solitaria. Chi altri potrebbe mai accettare una come lei? Le manca l’aria.
Il pensiero corre alle pillole: è stato lui a consigliargliele, il suo amore. Sono finite, ricorda dolorosamente. Cos'altro le ha detto? Il bagno. Sì, un bagno caldo è quello che ci vuole.
Le piastrelle rosa che ricoprono la parete si coprono di vapore acqueo mentre la vasca si riempie. Marta è nuda ma non ha freddo: l'agitazione gioca brutti scherzi. Cerca di dominare il tumulto che c'è nella sua testa, non meno di quel moto perpetuo che affligge i suoi arti.
Sulla mensola della specchiera il suo occhio s'imbatte nel pennello da barba che usava lui. Prende l'oggetto con entrambe le mani, quasi fosse una reliquia, lo porta al viso, sente la carezza delle setole morbide. Chiude gli occhi; immagina che sia lui ad accarezzarla.
Un lampo nefasto avvelena quel gioco consolatorio: dalle macerie della sua ragione, emerge il ricordo di Giulia che squittisce a gambe divaricate mentre lui la possiede con colpi profondi.
È troppo. Scaglia via l'oggetto del fedifrago, con una manata fa piazza pulita della mensola. Una bottiglia di dopobarba finisce in frantumi sul pavimento.
Marta fissa il disastro che ha combinato, poi si china. Una smorfia amara compare sulle sue labbra. Da terra raccoglie il rasoio a mano libera di quello che fu il suo uomo. Apre il compasso, mette a nudo la lama: sotto la luce al tungsteno brilla di una sinistra luce argentea.
Nella vasca, l'acqua calda l'avvolge restituendole la sensazione di essere tornata nel grembo di sua madre. Sa che è un’illusione: la vita l’aspetta per infliggerle altro dolore.
Una lacrima precipita sulla superficie liquida aprendosi in piccoli cerchi concentrici.
Sì, deve farlo cessare.
Gocce copiose cadono ora nella vasca, sono dense e rosse e a contatto con l’acqua danno vita a effimeri fiori purpurei.
Marta ha gli occhi chiusi. Adesso riposa.

Re: Marta

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Ciao @Pulsar.
Ho letto il tuo racconto, e come sempre avviene quando le storie prendono quella piega, mi monta il nervoso.
Per carità, niente di personale, ma con il mestiere che faccio, poi queste poverette me le ritrovo in pronto soccorso, mi tocca ricoverarle e sorbirmi tutti i loro piagnistei. Per fortuna che tra un po' vado in pensione.
Quello che continuo a non capire è il fascino che sembrano avere storie come questa. E' come continuare a giustificare chi continua a cadere vittima del solito stronzo narcisista che, a quello, anche se ti ammazzi non glie ne frega niente. L'unica cosa da dire a questa Marta è "svegliati! Ti sei fatta un sacco di illusioni, ci sei cascata e ora è meglio che ti salvi la vita fuggendo lontano da uno così, e cerca di imparare la lezione. Altro che ammazzarti."
Scusa lo sfogo e veniamo alla scrittura.
Pulsar ha scritto:Tic - tic - tic. Rumore di tacchi sul selciato.
Questione di gusti, ma cercherei di evitare il "TIc - tic" soprattutto come incipit.
Marta attraversa senza neppure guardare; il semaforo appeso in alto, come una scimmia su un ramo, è un occhio rosso che la fissa a metà tra lo sbigottito e l'irato.
Stridore di pneumatici. La voce alterata che per un attimo copre i rumori della città, le scivola addosso come la sottoveste di seta che indossava per lui.
Non male, soprattutto la seconda frase, ma per renderla più efficace alleggerirei la prima, magari togliendo la scimmia. Il paragone ci può stare ma rallenta solo il ritmo senza aggiungere nulla.
Ciò che segue è ben gestito e si fa leggere volentieri.
Dimostri una buona capacità di scrittura, riesci a essere coinvolgente e anche sensuale, ma ...
Gocce copiose cadono ora nella vasca, sono dense e rosse e a contatto con l’acqua danno vita a effimeri fiori purpurei.
Questo non lo posso accettare; il sangue è sangue, e quando succedono certe cose è una schifezza e basta. Altro che fiori purpurei.
Ovviamente il mio è un punto di vista particolare, ma se la scrittura riuscisse anche solo un po' a promuovere modelli differenti secondo me non sarebbe male.

Re: Marta

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Ciao @Poldo ! Grazie per essere passato. Sono contento che tu abbia apprezzato "l'esecuzione" del pezzo, se non il contenuto. Al riguardo, ci tengo a precisare che non era mia intenzione quella di fare di questo racconto una sorta di apologia del suicidio. Semplicemente, avendo scritto una storia che parla di questo argomento (ogni tanto mi cimento con storie dalle tematiche molto lontane da quelle che di consueto prediligo) ho cercato di mettermi nei panni della sfortunata di turno, di pensare come, presumibilmente, avrebbe pensato lei.
Ti sono grato dei suggerimenti.

Re: Marta

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Ciao @Pulsar e ben ritrovato qui! :)
In un primo momento sono stata attratta dal titolo del tuo racconto (è il nome di mia figlia :D), ma poi comunque la tua narrazione mi ha catturata e ho letto il brano con piacere e senza inciampi: scrivi bene, sai coinvolgere, secondo me. Sono poi d’accordo con l’osservazione di Poldo di togliere il tic tic tic dell'incipit, e anche con quella riferita al sangue che cade nell’acqua: rimarrei su una descrizione meno poetica ma più realistica. Poi mi permetto solo un accenno al contenuto, che comunque, in genere, è da rispettare: da donna, non voglio pensare a qualcuna che si taglia le vene per uno che la scarica al telefono, qualunque sia la durata della relazione! No vabbè, scherzo, la sofferenza è sofferenza e non voglio banalizzare, però il finale è forse, secondo me, un po’ scontato (all’inizio ho pensato subito "o questa si uccide o fa qualcosa di violento verso di lui o verso la nuova ragazza"), cioè si intravede troppo la tragedia finale. Io lascerei tutto così ma dopo la lacrima nell’acqua
Una lacrima precipita sulla superficie liquida aprendosi in piccoli cerchi concentrici.
, farei ripensare la protagonista alla telefonata di lui (a quel suo perentorio Sparisci dalla mia vita – e lei che fa? sparisce subito anche dalla propria di vita? eh no!...) quindi descriverei un suo atto di ribellione meno passivo (non so… la farei scagliare il rasoio con violenza sul pavimento, la farei rialzare dalla vasca con un bel vaffan… stron… :angry-cussing: ! una cosa simile, comunque un finale anche un po’ aperto. Qualcosa insomma che possa ribaltare, sempre rispettando la coerenza dello stile della narrazione, la previsione iniziale.
A rileggerti presto, ciao!
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