[N2022R] Torni quando il corner è presidiato
Posted: Fri Dec 23, 2022 12:48 am
Amore – delitto – situazione splatter
«Torni quando il corner è presidiato» risponde rapido il caporeparto, girandosi un poco.
In giro non ci sono commesse e Cloe ha chiesto a quell’uomo vestito di nero dove trovare sciarpe e cappelli adatti a una bambina di otto anni.
L’uomo, senza fermarsi, risponde in quel modo. Non dice «attenda la commessa del settore», oppure «aspetti che le mando qualcuno» o, ancora, «c’è carenza di personale, abbia pazienza, l’aiuto io». Non medita su cosa rispondere né, guardandosi in giro, prende tempo per organizzare una battuta d’effetto. Quella frase è uscita dalla sua bocca insieme al respiro; non l’ha architettata per fare impressione.
«Scusi, una domanda» ha detto Cloe, e lui si è voltato e ha risposto così, senza rallentare il passo e voltando appena il capo verso di lei: «Torni quando il corner è presidiato».
Che frase magnifica, pensa Cloe. Ha la perfezione delle sculture classiche, la stessa proporzione divina. Se lo Zeus assiso di Fidia fosse una frase, riflette, sarebbe quella di sicuro. Vorrebbe, Cloe, dare al nerovestito una risposta all’altezza di quella meraviglia, ma non le viene fuori niente più di un «grazie». Come di consueto, segue con gli occhi il percorso dell’uomo: ha raggiunto una collega poco oltre, nel settore biancheria. Cloe, non vista, si avvicina.
I due stanno allestendo un letto matrimoniale. Posizionano lenzuola fiorate e piumini primaverili con movimenti precisi; gli occhi di lui continuano a muoversi vigili per il reparto, a tenere sotto controllo l’ambiente.
Cloe si è sistemata in disparte e oggi finge di scegliere le spugne nuove per il bagno. Sente che parlano di colleghi pretenziosi e delle novità nei colori del makeup, mentre sprimacciano i guanciali e sistemano i vari strati di lenzuola e coperte.
La collega posiziona piccoli cuscini a forma di rullo per completare l’allestimento; lui si scosta dal letto e dà un’occhiata veloce per saggiare l’impatto sul cliente. Poi saluta la collega e corre via perché, spiega, il direttore ha bisogno di lui. La collega si allontana, dopo avergli sorriso a lungo.
Cloe è rimasta lì, sola; si sposta nel punto dov’era lui mentre osservava attento il letto preparato per la nuova stagione. Non ha avuto bisogno di conferme da parte della collega, pensa Cloe, e a ragione, perché il colpo d’occhio dei viola sfumati, dei verdi e dei grigi è così perfetto che pare giugno coi suoi tramonti, avvinghiato ai prati dei mattini d’aprile e a tutta la rugiada del mondo.
Torna qui, ti prego, sospira Cloe. Scegli per me un négligé nel colore che meglio si addice ai miei occhi, conducimi per mano tra le chemises de nuit e consigliami un abbinamento raffinato. Guarda anche me come hai fissato questo letto sul quale non dormirà mai nessuno, sussurra Cloe guardando il pavimento di linoleum.
Di nuovo ode la sua voce. Lui stavolta ha dato ascolto a una cliente e, anche se non compete al suo ruolo, l’accompagna nel reparto casa. Cloe lascia la spumosa fioritura della zona biancheria e li segue, con cautela.
Quella non è più giovane di me, né meglio vestita, pensa Cloe, e io sono senz’altro più attraente: perché lei ha avuto l’onore di un “sì”, mentre io devo tornare “quando il corner è presidiato”? Forse perché l’abbigliamento per bambini è per il nerovestito di pochissimo interesse, riflette Cloe, mentre allontana il fastidio con un gesto della mano. Quindi si apposta dietro una scaffalatura a giorno zeppa di gaiwan variopinte, meditando sul fatto che forse avrebbe dovuto fargli una domanda meno infantile.
La signora ha bisogno di un servizio da caffè per dodici, ma lo vuole spaiato, come la moda esige. Non si sente però del tutto sicura di come ha abbinato i pezzi presi qua e là nel reparto: ha bisogno di un esperto. Lui sorride di soddisfazione. Ha denti bianchissimi, che contrastano col nero di capelli e abito e gli danno l’allure sofisticata d’un pavimento a scacchi bianconeri.
Guizza tra un tavolo e uno scaffale, ovunque cogliendo piattini e tazzine e assemblandoli – come un mazzo di fiori primaverili nelle mani di una sposa – in un tripudio di sfumature contrastanti, in un delirio irresistibile di forme.
Sono due settimane che vengo qui tutti i pomeriggi, e mai che mi abbia degnato di uno sguardo, sussurra tra sé Cloe, protetta da una pila di gaiwan. È anche vero, riflette, che solo oggi gli ho rivolto la parola. Devo continuare a pazientare, o è bene che mi faccia avanti?
Forse ha un’idea. Ha studiato con attenzione i movimenti del nerovestito, e sa che è uno degli ultimi a lasciare il negozio, la sera, dopo un rapido giro di controllo. Cloe ha anche notato che, quando una ventina di minuti prima della chiusura le luci vengono abbassate, la gente esce rapida o si dirige alle casse: forse perché s’intristisce, come quando tramonta il sole. Per uscire in strada, inoltre, non è necessario attraversare il reparto casa.
Cloe, pertanto, potrà contare su una manciata di minuti per rendere concreta la sua fantasia. Si emoziona e sorride di piacere.
Ora deve impiegare con profitto la mezz’ora che la separa dal momento in cui le luci si abbasseranno.
Torna dov’è il letto a due piazze e lo osserva con attenzione. La testiera è una cassapanca di legno bianco decapato, con sopra ceste di vimini ricolme di edera in plastica che ricade a sbuffi scomposti, quasi a sfiorare i cuscini; ai lati del letto sono stati posizionati due graziosi comodini in ferro battuto verde scuro. Sopra ognuno di essi vi è un soprammobile, costituito da una base di cristallo – larga quanto il palmo di una mano – dalla quale nascono tre aculei sfaccettati, di cristallo anch’essi e di lunghezza differente. Cloe nota che riflettono le luci del reparto e le irradiano intorno.
Sarà bello stendersi su questo prato di cotone, pensa Cloe, sarà bello avere lui accanto. Dove lasciare i vestiti, però?
Cloe non vuole ammucchiarli su un comodino, perché ne rovinerebbe la simmetria luminosa dovuta alle punte di cristallo. Avvicina quindi un piccolo pouf di velluto malva e inizia, con lentezza, a spogliarsi.
Ecco, le luci si abbassano e Cloe, che si è tolta foulard e soprabito, è in gonna e camicetta; si sfila gli stivali, poi le calze. Ora è a piedi nudi, ma non ha freddo, perché accanto ai lati del letto vi sono dei morbidi tappetini color crema. Qualcuno passa nel reparto, ma non nota Cloe, che adesso si è seduta sul letto e ha tirato a sé le gambe nude. Con un movimento audace s’infila sotto le coperte, e qui si spoglia del tutto. Fa fuoriuscire un braccio e sistema sul pouf gli abiti e la biancheria appallottolata.
Si sente felice. Dalle coperte sbucano solo la testa piena di ricci scuri e gli occhi ridenti.
Rimane così, in attesa di scorgere il nerovestito e accoglierlo tra le braccia. È certa che la sorpresa gli piacerà moltissimo.
Cosa importa se si sono rivolti la parola una sola volta? A lei è bastata quella frase di risposta per saggiarne eleganza e profondità di sentire.
Una voce sgraziata la distoglie dalla piacevolezza dei pensieri. Qualcuno le chiede cosa diamine stia facendo dentro al letto appena allestito.
Il vigilante!
A Cloe è sfuggito del tutto che ogni tre o quattro giorni un vigilante fa il giro serale nel grande magazzino. Eppure, sere prima, lo aveva notato. L’eccitazione di quel pomeriggio gliel’ha fatto dimenticare.
L’uomo continua a chiedere in modo sgarbato perché mai si sia infilata nel letto, e intanto si avvicina alla testa ricciuta di Cloe.
Di lei si vedono solo i capelli, ormai: per l’agitazione si è coperta anche gli occhi.
L’uomo, mentre si accosta, nota gli abiti sul pouf. Incredulo, afferra con una mano le coperte e le strappa via dal corpo nudo di Cloe. Rimane immobile a guardarla, in silenzio, anche quando vede che, rapida, si è seduta sul letto, con la schiena appoggiata alla cassapanca e le ginocchia strette al petto; rimane immobile a guardarla, anche quando nota il movimento di un braccio di lei e la mano che afferra qualcosa di luccicante.
Cloe, da quando l’uomo ha tirato via le lenzuola, l’ha fissato negli occhi, odiandolo dal profondo del cuore, e ora sa bene dove colpire. Scatta in avanti e gli conficca nelle orbite gli aculei di cristallo una, due volte, e poi ancora una volta, e di nuovo ancora, e spinge l’oggetto fin dentro la testa dell’uomo, fin dove sente che può arrivare.
Non avverte le grida, non riconosce la morte.
Si stende sul letto, sfinita e rossa di sangue, come un magnifico papavero tra i prati di giugno.
«Torni quando il corner è presidiato» risponde rapido il caporeparto, girandosi un poco.
In giro non ci sono commesse e Cloe ha chiesto a quell’uomo vestito di nero dove trovare sciarpe e cappelli adatti a una bambina di otto anni.
L’uomo, senza fermarsi, risponde in quel modo. Non dice «attenda la commessa del settore», oppure «aspetti che le mando qualcuno» o, ancora, «c’è carenza di personale, abbia pazienza, l’aiuto io». Non medita su cosa rispondere né, guardandosi in giro, prende tempo per organizzare una battuta d’effetto. Quella frase è uscita dalla sua bocca insieme al respiro; non l’ha architettata per fare impressione.
«Scusi, una domanda» ha detto Cloe, e lui si è voltato e ha risposto così, senza rallentare il passo e voltando appena il capo verso di lei: «Torni quando il corner è presidiato».
Che frase magnifica, pensa Cloe. Ha la perfezione delle sculture classiche, la stessa proporzione divina. Se lo Zeus assiso di Fidia fosse una frase, riflette, sarebbe quella di sicuro. Vorrebbe, Cloe, dare al nerovestito una risposta all’altezza di quella meraviglia, ma non le viene fuori niente più di un «grazie». Come di consueto, segue con gli occhi il percorso dell’uomo: ha raggiunto una collega poco oltre, nel settore biancheria. Cloe, non vista, si avvicina.
I due stanno allestendo un letto matrimoniale. Posizionano lenzuola fiorate e piumini primaverili con movimenti precisi; gli occhi di lui continuano a muoversi vigili per il reparto, a tenere sotto controllo l’ambiente.
Cloe si è sistemata in disparte e oggi finge di scegliere le spugne nuove per il bagno. Sente che parlano di colleghi pretenziosi e delle novità nei colori del makeup, mentre sprimacciano i guanciali e sistemano i vari strati di lenzuola e coperte.
La collega posiziona piccoli cuscini a forma di rullo per completare l’allestimento; lui si scosta dal letto e dà un’occhiata veloce per saggiare l’impatto sul cliente. Poi saluta la collega e corre via perché, spiega, il direttore ha bisogno di lui. La collega si allontana, dopo avergli sorriso a lungo.
Cloe è rimasta lì, sola; si sposta nel punto dov’era lui mentre osservava attento il letto preparato per la nuova stagione. Non ha avuto bisogno di conferme da parte della collega, pensa Cloe, e a ragione, perché il colpo d’occhio dei viola sfumati, dei verdi e dei grigi è così perfetto che pare giugno coi suoi tramonti, avvinghiato ai prati dei mattini d’aprile e a tutta la rugiada del mondo.
Torna qui, ti prego, sospira Cloe. Scegli per me un négligé nel colore che meglio si addice ai miei occhi, conducimi per mano tra le chemises de nuit e consigliami un abbinamento raffinato. Guarda anche me come hai fissato questo letto sul quale non dormirà mai nessuno, sussurra Cloe guardando il pavimento di linoleum.
Di nuovo ode la sua voce. Lui stavolta ha dato ascolto a una cliente e, anche se non compete al suo ruolo, l’accompagna nel reparto casa. Cloe lascia la spumosa fioritura della zona biancheria e li segue, con cautela.
Quella non è più giovane di me, né meglio vestita, pensa Cloe, e io sono senz’altro più attraente: perché lei ha avuto l’onore di un “sì”, mentre io devo tornare “quando il corner è presidiato”? Forse perché l’abbigliamento per bambini è per il nerovestito di pochissimo interesse, riflette Cloe, mentre allontana il fastidio con un gesto della mano. Quindi si apposta dietro una scaffalatura a giorno zeppa di gaiwan variopinte, meditando sul fatto che forse avrebbe dovuto fargli una domanda meno infantile.
La signora ha bisogno di un servizio da caffè per dodici, ma lo vuole spaiato, come la moda esige. Non si sente però del tutto sicura di come ha abbinato i pezzi presi qua e là nel reparto: ha bisogno di un esperto. Lui sorride di soddisfazione. Ha denti bianchissimi, che contrastano col nero di capelli e abito e gli danno l’allure sofisticata d’un pavimento a scacchi bianconeri.
Guizza tra un tavolo e uno scaffale, ovunque cogliendo piattini e tazzine e assemblandoli – come un mazzo di fiori primaverili nelle mani di una sposa – in un tripudio di sfumature contrastanti, in un delirio irresistibile di forme.
Sono due settimane che vengo qui tutti i pomeriggi, e mai che mi abbia degnato di uno sguardo, sussurra tra sé Cloe, protetta da una pila di gaiwan. È anche vero, riflette, che solo oggi gli ho rivolto la parola. Devo continuare a pazientare, o è bene che mi faccia avanti?
Forse ha un’idea. Ha studiato con attenzione i movimenti del nerovestito, e sa che è uno degli ultimi a lasciare il negozio, la sera, dopo un rapido giro di controllo. Cloe ha anche notato che, quando una ventina di minuti prima della chiusura le luci vengono abbassate, la gente esce rapida o si dirige alle casse: forse perché s’intristisce, come quando tramonta il sole. Per uscire in strada, inoltre, non è necessario attraversare il reparto casa.
Cloe, pertanto, potrà contare su una manciata di minuti per rendere concreta la sua fantasia. Si emoziona e sorride di piacere.
Ora deve impiegare con profitto la mezz’ora che la separa dal momento in cui le luci si abbasseranno.
Torna dov’è il letto a due piazze e lo osserva con attenzione. La testiera è una cassapanca di legno bianco decapato, con sopra ceste di vimini ricolme di edera in plastica che ricade a sbuffi scomposti, quasi a sfiorare i cuscini; ai lati del letto sono stati posizionati due graziosi comodini in ferro battuto verde scuro. Sopra ognuno di essi vi è un soprammobile, costituito da una base di cristallo – larga quanto il palmo di una mano – dalla quale nascono tre aculei sfaccettati, di cristallo anch’essi e di lunghezza differente. Cloe nota che riflettono le luci del reparto e le irradiano intorno.
Sarà bello stendersi su questo prato di cotone, pensa Cloe, sarà bello avere lui accanto. Dove lasciare i vestiti, però?
Cloe non vuole ammucchiarli su un comodino, perché ne rovinerebbe la simmetria luminosa dovuta alle punte di cristallo. Avvicina quindi un piccolo pouf di velluto malva e inizia, con lentezza, a spogliarsi.
Ecco, le luci si abbassano e Cloe, che si è tolta foulard e soprabito, è in gonna e camicetta; si sfila gli stivali, poi le calze. Ora è a piedi nudi, ma non ha freddo, perché accanto ai lati del letto vi sono dei morbidi tappetini color crema. Qualcuno passa nel reparto, ma non nota Cloe, che adesso si è seduta sul letto e ha tirato a sé le gambe nude. Con un movimento audace s’infila sotto le coperte, e qui si spoglia del tutto. Fa fuoriuscire un braccio e sistema sul pouf gli abiti e la biancheria appallottolata.
Si sente felice. Dalle coperte sbucano solo la testa piena di ricci scuri e gli occhi ridenti.
Rimane così, in attesa di scorgere il nerovestito e accoglierlo tra le braccia. È certa che la sorpresa gli piacerà moltissimo.
Cosa importa se si sono rivolti la parola una sola volta? A lei è bastata quella frase di risposta per saggiarne eleganza e profondità di sentire.
Una voce sgraziata la distoglie dalla piacevolezza dei pensieri. Qualcuno le chiede cosa diamine stia facendo dentro al letto appena allestito.
Il vigilante!
A Cloe è sfuggito del tutto che ogni tre o quattro giorni un vigilante fa il giro serale nel grande magazzino. Eppure, sere prima, lo aveva notato. L’eccitazione di quel pomeriggio gliel’ha fatto dimenticare.
L’uomo continua a chiedere in modo sgarbato perché mai si sia infilata nel letto, e intanto si avvicina alla testa ricciuta di Cloe.
Di lei si vedono solo i capelli, ormai: per l’agitazione si è coperta anche gli occhi.
L’uomo, mentre si accosta, nota gli abiti sul pouf. Incredulo, afferra con una mano le coperte e le strappa via dal corpo nudo di Cloe. Rimane immobile a guardarla, in silenzio, anche quando vede che, rapida, si è seduta sul letto, con la schiena appoggiata alla cassapanca e le ginocchia strette al petto; rimane immobile a guardarla, anche quando nota il movimento di un braccio di lei e la mano che afferra qualcosa di luccicante.
Cloe, da quando l’uomo ha tirato via le lenzuola, l’ha fissato negli occhi, odiandolo dal profondo del cuore, e ora sa bene dove colpire. Scatta in avanti e gli conficca nelle orbite gli aculei di cristallo una, due volte, e poi ancora una volta, e di nuovo ancora, e spinge l’oggetto fin dentro la testa dell’uomo, fin dove sente che può arrivare.
Non avverte le grida, non riconosce la morte.
Si stende sul letto, sfinita e rossa di sangue, come un magnifico papavero tra i prati di giugno.