[H2022R] Un tè con zia Ada
Posted: Mon Nov 07, 2022 12:01 am
Traccia: Il serpente (menzogna, insidia, chiaroveggenza)
Tutto era pronto per ricevere gli ospiti. Il soggiorno della nuova casa era più piccolo di quello che aveva prima, ed era ingombro di poltrone, tavolini, lampade e mensole cariche di fotografie e gattini di ceramica. Per Ada andava benissimo così. In fondo non si aspettava di restarci molto a lungo.
I cuscini color cipria del sofà erano stati sprimacciati e sistemati, i centrini che ricoprivano tavolini e poltrone erano lindi e inamidati. I paralumi delle lampade spandevano intorno una dolce luce rosata.
Sopra la tovaglia immacolata di lino facevano bella mostra di sé alcune alzate trasparenti traboccanti di pasticcini, torte e tramezzini non più grandi di un boccone. Al centro stava un fragile esercito di tazzine di porcellana cinese a disegni di roselline, schierate in ranghi serrati come in attesa di partire in missione. Mancava solo la cosa più importante: il tè.
Ada era sempre stata famosa per i suoi ricevimenti pomeridiani. Aveva lavorato un periodo in Inghilterra e, oltre a qualche foto in bianco e nero, ne aveva riportato una passione per il cerimoniale del tè. Le sue mani rattrappite e macchiate dal tempo sapevano ancora dosare a occhi chiusi la giusta quantità di foglie, e sapeva il momento esatto in cui l’acqua era alla giusta temperatura.
Aveva appena messo il coperchio alla teiera, posandola con cura in mezzo ai suoi soldatini di porcellana coordinati, quando il campanello suonò. Un trillo soffice come il cinguettare di un canarino. Il gatto drizzò le orecchie per un istante, ma subito tornò a rotolarsi sul tappeto, tutto preso a giocare con una piccola bustina di plastica.
Ada si portò una mano alla fronte e sospirò per la propria distrazione, prima di chinarsi a raccoglierla. «Questa no, Nuvola. Ti fa male se la mangi.»
Il campanello trillò di nuovo, con impazienza, e lei si affrettò verso l’ingresso. Prima di aprire, si guardò nello specchio per accertarsi che nessuna ciocca d’argento fosse sfuggita alla sua crocchia, e che il rossetto non fosse sbavato. Si raddrizzò il golfino di lana e si sorrise, per incoraggiarsi.
Sulla soglia comparvero Claudio e sua moglie. Ada dovette sforzarsi per ricordare il nome: Francesca? Federica? Sì, le pareva fosse quello. «Che piacere rivedervi» disse, con un largo sorriso sincero, rispondendo a quelli di circostanza della coppia. Non vedeva i nipoti da anni, ed era davvero lieta che venissero a trovarla. Certo, nell’invito aveva accennato al fatto che stava riflettendo sul proprio testamento, e forse era stato un buon incentivo, ma a lei non importava. Con l’andare degli anni si vedono le cose da una prospettiva più ampia. Si prende ciò che viene di buono, senza fissarsi sui dettagli.
Dopo le strette di mano e i finti baci di rito, li fece accomodare sul divano. «Marzia e il suo fidanzato devono ancora arrivare» li informò.
Claudio si tolse il giaccone, e Ada notò che era molto invecchiato dall’ultima volta, e anche ingrassato. D’altronde il suo troppo amore per la birra non era un mistero. «Fidanzato?» ripeté, sollevando un sopracciglio. «Credevo che a quest’ora si fosse sposata.»
«Pensavo anch’io. Ma voi ragazzi d’oggi siete così indecisi.»
Federica ridacchiò e subito dopo si unì anche il marito. «Zia, guarda che Marzia ha compiuto quarantatré anni» le ricordò. Forse la riteneva ormai svampita.
Lei si schermì. «Per una della mia età, tu e tua cugina siete ancora dei ragazzi…»
Il trillo brioso del campanello li interruppe. Ada aprì la porta a un’elegantissima Marzia e al suo altrettanto elegante fidanzato, che sembrava già annoiato prima ancora di entrare e stirò le labbra in un sorriso solo quando la moglie gli diede un leggero colpetto col gomito. «È un piacere conoscerla, signora Giuliani.»
«Chiamami pure zia Ada, caro.» Abbassò gli occhi allo zerbino, che aveva disegnata sopra una graziosa casetta delle fiabe. «Non sono più la signora GIuliani da molto tempo.»
Il suo Renato era morto pochi anni dopo il matrimonio, quando Andrea era ancora piccolo. Spesso aveva invidiato il marito, lui almeno si era risparmiato le sofferenze che sarebbero venute in seguito.
L’elegante coppia irrigidì i propri sorrisi, senza sapere bene cosa dire. In quel momento spuntò una vocina: «Mamma! Io ho fame. Dove sono i pasticcini?»
Marzia si voltò, e dall’ombra del suo ampio cappotto firmato spuntò un bambino sui quattro anni.
Ada era sul punto di fare una battuta per sciogliere la tensione, ma ora fu lei a rimanere impietrita.
La nipote si affrettò a dire: «Scusami, zia, mi sono dimenticata di avvisarti. Lo so che che avevi detto niente bambini, ma la baby-sitter ha disdetto all’ultimo, e non sapevo dove…» La voce scemò mentre la guardava meglio in faccia. «Luca è buonissimo, non darà nessun disturbo.»
Ada riempì i polmoni d’aria più che potè e la lasciò uscire lentamente, sentendo il battito del cuore che rallentava un po’. «No, ma che dici. Non c’è nessun problema.» Riuscì a rimettere insieme un sorriso, mentre aggiungeva: «Entrate, su. Mi pare che qui qualcuno sia molto affamato.» Si piegò per rivolgersi al bambino, che però si ritrasse, nascondendosi dietro la madre.
Prese le loro giacche e li fece accomodare in soggiorno. Mentre le due coppie si scambiavano baci e convenevoli, Ada portò Luca a conoscere Nuvola.
Lasciato il piccolo a giocare con il gatto, invitò gli altri a prendere posto a tavola e iniziò a versare il tè.
Il fidanzato di Marzia fissò perplesso la propria tazza, in cui galleggiavano le foglie.
«La zia prepara il tè come si faceva una volta» gli spiegò Claudio.
«Proprio così» confermò lei. «Niente bustine o filtri in questa casa. È anche per questo che i miei ricevimenti sono così apprezzati.»
In realtà, negli ultimi anni i suoi ospiti erano perlopiù vecchie vicine di casa che venivano per spettegolare, o i colleghi dell’ente di beneficenza della parrocchia. D’altronde quella nuova casa era troppo piccola per ricevimenti in grande stile come quelli che dava una volta. Ma la vecchia casa era diventata troppo grande per lei. Anzi, troppo grande lo era sempre stata, fin da quando era rimasta sola. L’aveva tenuta solo per i ricordi che conservava, ma a qualcuno vicino alla morte i ricordi non servono più: non avrebbe comunque potuto portarli con sé nelll’ultimo viaggio. Era vecchia, sola, e con la sua pensione da infermiera non poteva più far fronte alle molte spese che una grande casa richiedeva.
Mentre le foglie si depositavano, gli ospiti presero d’assalto i tramezzini e i dolci. Preparare il tutto le aveva richiesto un’intera giornata di lavoro, ma le espressioni soddisfatte che vedeva la ripagavano della fatica.
Parlarono del più e del meno, ragguagliandosi sulle rispettive vicende lavorative e familiari, mentre sorseggiavano il tè. Marzia chiamò Luca per tendergli un tovagliolo con un bignè e fece anche per porgergli la sua tazza.
Ada si alzò di scatto e si frappose tra la nipote e il bambino, togliendogli la tazza. Di fronte allo sguardo stupito di Marzia, si esibì in un sorriso di scuse. «Cara, non mi pare adatto, è un po’ forte. Non vorrai che rimanga sveglio tutta la notte.»
Marzia parve riflettere, poi gettò uno sguardo malizioso al fidanzato. «Meglio di no, allora. Io e Franco abbiamo altri programmi.»
Ada sparì in cucina e scorse in fretta i ripiani vuoti del suo frigo. A parte ciò che serviva per la merenda, non aveva fatto la spesa. Scovò però un brick di succo d’arancia.
Tornò in soggiorno e lo diede al bambino. Lui ingoiò in fretta la crostata, prese il succo e si allontanò di nuovo in cerca del gatto.
Lei tornò al tavolo, versò a tutti dell’altro tè e si sedette.
«Stavamo dicendo a Marzia che è un peccato che ci siamo persi di vista» la ragguagliò Claudio. «Ormai siamo rimasti in pochi, dovremmo tenerci in contatto.»
«Già, siamo davvero in pochi» commentò lei, addentando un tramezzino al salmone. Il tè ormai si era raffreddato nella sua tazza, ancora piena.
La madre di Marzia, sua sorella, era morta due anni prima per un tumore, mentre il padre era stato parcheggiato in una casa di riposo. I genitori di Claudio invece erano morti entrambi di recente, in un assurdo incidente causato dalla rottura dei freni. Suo fratello era sempre stato distratto e superficiale, incapace di tenere le cose sotto controllo.
«Bisogna che ci ritroviamo anche a Natale» esclamò Federica, cercando di rianimare la tavolata. «Potreste venire da noi.»
«Certo, sarebbe bello» le rispose Marzia pensierosa. «In realtà, zia, mi ha sorpresa quest’invito per la vigilia di Ognissanti. In famiglia non l’abbiamo mai festeggiato molto.»
Ada scrollò le spalle ossute. «In effetti, c’è qualcosa che non vi ho detto.» Abbassò la voce, come per impedire a Luca di sentire. «Vi ho riuniti qui anche per questo.»
Ora l’attenzione di tutti e quattro era fissa su di lei, che distolse lo sguardo, lisciando con le dita un’invisibile piega sulla tovaglia. «Ho scoperto qualche mese fa di avere un cancro al fegato, e non è detto che sarò ancora qui per Natale.» Zittì con un gesto risoluto le proteste e le frasi di circostanza. «Ci tengo a sistemare le questioni in sospeso, prima di andarmene.»
Calò un silenzio imbarazzato, durante il quale si udirono solo le risate di Luca e le proteste di Nuvola, stizzito dalle eccessive attenzioni del bambino.
«La vendita della vecchia casa mi ha reso una bella cifra, che non riuscirò a spendere, quindi andrà divisa tra i miei eredi ancora in vita.»
Ignorò l’atmosfera cupa scesa sul soggiorno e continuò, più allegra: «Be’ questo è più o meno tutto. Non credo che qualcuno di voi sia interessato ai miei soprammobili o ai miei quadri di sconosciuti paesaggisti locali. Potete sempre regalarli per qualche vendita di beneficenza.» Li guardò uno per uno, godendosi la gioia dissimulata dipinta sui loro volti quando annunciò il valore effettivo dell’eredità.
Dopodiché si sfregò le mani, che crepitarono come vecchie pergamene. «Bene, ora che ci siamo lasciati alle spalle le questioni noiose, che ne dite di un gioco?»
Invitò Marzia a finire il suo té, lasciando solo un rimasuglio sul fondo, poi, mentre gli ospiti la guardavano incuriositi, girò per tre volte la tazza e la capovolse su un piattino. Esaminò la tazza e i fondi che vi erano rimasti.
«Che forte, zia. Non sapevo che leggessi i fondi di tè.» Marzia si sporse per guardare nella tazza. «Cosa dice?»
«Mmm... Io ci vedo una bilancia.»
Sua nipote sembrava dubbiosa, così la rassicurò. «È positivo, significa che avrai la giustizia che meriti.»
Marzia si accigliò, finché il fidanzato non le appoggiò una mano sulla spalla. «Forse ha a che fare con quella causa legale col condominio per mettere il pannello solare sul tetto.»
L’altra sembrava ancora dubbiosa, ma Ada sorrise a entrambi. «Bene. Sono contenta che i segnali siano positivi. Ora vediamo Claudio.»
Stavolta il responso fu una chiave. «Un mistero sarà svelato. Positivo anche questo. A meno che tu non abbia misteri che non vuoi che vengano svelati.»
Ammiccò verso Federica, che ridacchiò. «Guarda che se salta fuori che hai un’amante sei morto.»
«Non dire scemenze.» Ada lo vide fare uno sforzo per ridere a sua volta. «Sentiamo la tua, adesso.»
Ada prese la tazza di Federica. «Ahi.»
«Che c’è?» chiesero, quasi in coro.
«Un occhio. Suggerisce attenzione.»
«Forse l’attenzione che devi prestare è proprio per i “misteri” di Claudio.» Marzia fece una risatina, subito imitata dal marito, che aveva dismesso l’aria annoiata e si era fatto coinvolgere dal gioco. «E la mia?»
La tazza girò, rovesciò parte delle sue foglie sul piattino e dentro rimase un granchio. «Il granchio avverte di un pericolo molto vicino.»
Nessuno ci scherzò su, e Ada non fece niente per dissipare l’inquietudine. Prese la propria tazza e annunciò: «Oh, un ratto. Sto per subire una perdita.» Si strofinò il mento con fare pensieroso. «Di sicuro le foglie si sono confuse. Più che altro siete voi che state per subire una perdita. La mia.» Ridacchiò, divertita, prima di cambiare argomento. «Ora che ci penso, nessuno di voi aveva mai visto la mia nuova casa.»
«È bellissima» si affrettò a commentare Marzia.
«Oh, io ho fatto ben poco, a parte riempirla di cianfrusaglie.» Ada fece un gesto con la mano. «Alla mia età un trasloco è stressante.»
«Zia, se ci avessi avvertiti…» iniziò Claudio.
«Ma no, caro. Che vai a pensare. Riflettevo piuttosto sul fatto che quando si raduna la propria vita per farla entrare in qualche scatolone, spesso si trovano cose che avevamo dimenticato, o che magari fino ad allora erano rimaste nascoste.» Si accertò di avere l’attenzione di tutti, prima di continuare. «Per esempio, riponendo vecchi disegni e pagelle di Andrea, ho ritrovato dei fogli che aveva scritto. Non voglio rattristarvi, ma fate contenta una povera vecchia e lasciatemi dire. Non ho parlato di Andrea per tanto tempo, e almeno due di voi sanno perché.»
«Ma certo, zia. È stato uno choc per tutti» disse Marzia, senza sollevare gli occhi dal piatto ormai vuoto.
«I vostri compagni però non sanno. Voi mi conoscete forse come una vecchia mummia solitaria.» Ignorò i tentativi di protesta e indurì i lineamenti. «Ma non sono sempre stata così. Tanto tempo fa avevo un marito, e anche un figlio, Andrea. Un ragazzo straordinario, più intelligente e sensibile della media.» Addolcì un po’ la voce, vedendo le loro facce stranite. «Aveva solo undici anni quando morì.»
«Oddio, zia. Non credo che…» Marzia aveva sgranato gli occhi e passato un braccio attorno al fidanzato.
«Ma no, cara.» Sorrise rassicurante. «Vorrei solo che qualcuno ricordi, quando sarò morta. Dunque, dicevo, era un ragazzo straordinario, ma molto timido e buono. Così buono che spesso le persone, anche quelle più vicine, lo prendevano di mira.»
Claudio e Marzia distolsero lo sguardo, ma gli altri due l’ascoltavano attenti. Con ogni evidenza non ne avevano mai sentito parlare.
«Lo tormentavano, oppure lo sfidavano a fare cose pericolose, e lui acconsentiva. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per sentirsi accettato, ma non era mai abbastanza.»
Bevve un sorso di tè, ormai freddo. «Oh, lo so cosa state pensando. Io ero sua madre, avrei dovuto pensare io a proteggerlo. Ma stavo ancora così male per la morte di Renato, e Andrea non diceva mai niente. Perché avrei dovuto preoccuparmi quando era con i suoi zii e i suoi cugini?»
Claudio stringeva forte un lembo della tovaglia. «Siamo tutti dispiaciuti. Ma non puoi dare a noi la colpa della sua morte. Eravamo piccoli.»
«Ma certo.» Ada annuì, comprensiva. «Solo che in quella vecchia pagina di quaderno parlava di quella stupida sfida a gettarsi nel fiume. Pensava che così avrebbe dimostrato almeno ai suoi cugini che era come loro, che non aveva paura » Guardò fissamente Marzia. « Pensa, mia cara. Pensa quanto ci teneva alla vostra opinione. E pensa a come i vostri genitori abbiano saputo e liquidato la cosa come una sciocchezza tra ragazzi.»
«I miei genitori» mormorò Claudio, con gli occhi spalancati e fissi.
«Tuo padre era davvero un uomo superficiale. Quando gli hai detto che stavate organizzando una prova divertente per Andrea si è limitato a riderci su. E con la stessa stupidità e leggerezza mi ha permesso di andare nel suo garage e di manomettere i freni.»
Marzia balbettò qualcosa, ma Ada le puntò un dito contro. «Quanto a tua madre, era come te: frivola, inconcludente e invidiosa. Io avevo ereditato la casa di famiglia, e fatto un matrimonio migliore del suo. Fu solo la sfortuna a ribaltare la situazione. Ma non so se si possa chiamare sfortuna, visto che lei era lì, a prendere il sole, a pochi metri da dove mio figlio annegava.»
Iniziò a vedere segni di disagio nei suoi ospiti: erano rossi in faccia, respiravano a fatica e trattenevano smorfie di dolore. Non era un disagio morale. Solo che il tè era davvero forte. Li guardò per qualche istante artigliarsi la gola ed emettere versi simili a singulti. Quando si accasciarono, si ricordò del bambino.
Prese un bel respiro, finì il proprio tè e gli si avvicinò. «I tuoi genitori sono molto stanchi» gli spiegò. «Intanto, puoi andare in cucina e mangiare tutti i dolci che vuoi. Adesso anche la zia andrà a riposare. Farai il bravo?»