[H2022R] Mio fratello è tornato
Posted: Sun Nov 06, 2022 9:27 pm
Tema: La tomba
(Il trapasso, il disfacimento, il ritorno)
Mio fratello è tornato
Mio fratello è tornato!
Il cuore di Pasqualino si riempì di gioia alla notizia. Con il balzo agile della prima adolescenza venne giù rapido dall’imponente altezza del noce dove amava arrampicarsi, dalla quale aveva intravisto finalmente quello che desiderava: la figura approssimarsi laggiù, all’ingresso della fattoria. Quanto lo aveva aspettato, questo momento!
Cominciò a correre.
La corsa fu interrotta quasi subito da un ruzzolone maldestro. Un piede era inciampato in qualcosa a pochi metri dall’albero e lui finì disteso sul terreno reso umidiccio dalla brina invernale.
A guardarlo da basso, solitario e incontrastato padrone di quella parte del campo, il noce appariva ancora più alto e maestoso.
Il tronco era stagliato e massiccio, e al ragazzino venne da pensare all’avambraccio di un essere mostruoso seppellito che affiorasse con violenza dal sottosuolo. Sulla superficie rugosa del legno le venature serpeggiavano e risaltavano come vasi capillari gonfi per un qualche sforzo sovrumano. I rami, del tutto spogliati dalle foglie, si distendevano verso il cielo plumbeo e torbido del tardo pomeriggio come dita raggrinzite.
Pasqualino, più per effetto di quella vista che non per il contatto con erba e terreno, avvertì un brivido che lo raggelò.
Fu solo per qualche momento, però, perché subito tornò quella sensazione di elettrizzante letizia che aveva arrecato il ritorno del fratello maggiore. Lo aveva visto, da lassù, era tutto vero.
Si alzò e riprese a correre giù per il pendio che scendeva leggero in direzione della casa.
L’area della fattoria era disposta su più livelli: il campo a nord, dove Pasqualino stava lasciandosi alle spalle il grosso noce, ospitava pochi alberi da frutta, più bassi, e un uliveto, poi scivolava in pendenza verso il vigneto.
Poco più giù c’erano la porcilaia e il vecchio fienile, entrambi immersi nella debole luce vespertina; quante volte, dopo una caduta rovinosa da un alberello, si era nascosto lì agli occhi di mamma e papà, nel buio del capanno di legno, nella speranza che le ferite si rimarginassero veloci e che nessuno le vedesse, così da risparmiarsi una ramanzina severa o addirittura una cinghiata.
Pasqualino attraversò rapido lo spazio, turandosi il naso per non respirare l’aria graveolente di sterco.
La casa si trovava a poca distanza, al centro della piccola vallata che ospitava l'orto e anche uno sbilenco capanno per gli attrezzi e dalla quale, con un ulteriore declivio, si arrivava dritto giù al fiume, da dove risaliva una nebbiolina lattiginosa.
Il ragazzino, mentre correva, ricordò con gioia i pomeriggi d’estate trascorsi laggiù, con il fratello maggiore.
Giovanni, immerso nell’acqua fresca fin sotto la cintura, lo incitava a seguirlo nel guadare il fiumiciattolo. Ma Pasqualino se ne stava lì, esitante, impaurito dalla velocità della corrente, lui che sovrastava a stento di una spanna d’altezza il pelo dell’acqua irrequieta e per quello temeva di affogare. Quanto invidiava la statura del fratello, che non aveva nulla da temere!
Allora Giovanni sbuffava spazientito, ma con un po’ di divertimento; tornava indietro, lo alzava con forza afferrandolo sotto le ascelle e se lo caricava sulle spalle. Pasqualino si guardava intorno e la paura della corrente spariva, anzi, tutte le paure sparivano. Da lassù era tutta un’altra cosa. L’altezza lo rasserenava.
Così, ridendo, i due fratelli superavano il fiume, oltre il quale si apriva una piccola porzione di bosco tutta da scoprire e da giocare.
Pasqualino non vi scendeva più da tempo. Da quando il letto del fiume si era andato man mano riducendo, trasformando l’impetuoso corso d’acqua che ricordava in un rigagnolo stagnante e torvo. Lo aveva guardato con una punta di tristezza negli occhi l’ultima volta che c’era stato. Erano passati due anni, o forse di più? Allora Giovanni era già partito.
Ma ora era tornato.
Pasqualino si fermò d’improvviso. Castagna era sbucato dal nulla e il ragazzino quasi gli era inciampato addosso. Col respiro affannato per la lunga corsa, piegò le ginocchia e accarezzò il pelo scuro del cane. Lo notò ispido e particolarmente freddo.
«Dove ti sei cacciato, bello? Sei più lercio del solito!»
Castagna accolse le carezze in silenzio e con poco calore.
«Non hai sentito che è tornato Giovanni? E tu che fai, ti fai trovare da lui in questo stato?»
Esitò un attimo; l’improvvisa consapevolezza di aver detto una sciocchezza lo divertì. «Non importa, su, lo sappiamo che va bene anche così. Allora, sei felice, almeno?»
Il cane reagì abbassando il muso invece di scodinzolare festoso. Pasqualino pensò che magari qualcosa lo avesse potuto spaventare. Il suo cane non era mai stato molto coraggioso. O forse che avesse mal di stomaco? Che avesse mangiato ancora una volta qualcosa di sbagliato nell’orto?
Adesso, dalla distanza dalla quale si trovava, il ragazzino vedeva perfettamente la facciata della casa. Il crepuscolo imbruniva la muratura dell’edificio più del cielo invernale che si approssimava alla notte. Sul lastricato dell’aia si allungavano le ombre di Giovanni e del padre, l’una davanti all’altra.
Nonostante la trepidazione che Pasqualino portava nel cuore, la scena gli provocò una strana sensazione di disagio e tristezza. Non c’era traccia, da laggiù almeno, dell’euforia e della gioia che si era aspettato di vedere esplodere appena fuori l’ingresso di casa fosse finalmente comparso Giovanni. Molte volte si era immaginato le scene più allegre, dove papà e mamma accoglievano il figlio maggiore ritornato sano e salvo dal fronte con lacrime felici agli occhi e grida festose, magari in compagnia dei parenti e degli abitanti del paese, tutti desiderosi di stringere le braccia al collo del giovane eroe e brindare al suo ritorno.
E invece mamma non era nemmeno uscita fuori ad accoglierlo. Possibile che non fosse impaziente di vederlo come era lui?
E papà, se ne stava fermo, sull’uscio di casa, senza abbracci affettuosi da dispensare al primogenito. Anzi, pareva quasi che non lo vedesse, nell’oscurità della sera.
Pasqualino invece lo vedeva eccome: Giovanni, nella sua uniforme scura e ben in ordine. Bello. Fiero. Alto. Uomo. La felicità ebbe il sopravvento sugli altri pensieri.
Mio fratello è tornato!
Castagna lo aveva seguito fino alla casa e adesso se ne stava buono buono, acciambellato ai suoi piedi, in docile attesa. Nonostante l’impazienza di salutare affettuosamente il fratello, Pasqualino si era fermato a scrutare dalla finestra cosa stesse facendo il resto della famiglia.
Era un gioco che gli piaceva molto: provava un brivido eccitante nel fingere di essere una spia e nel mettercela tutta per non farsi scoprire. Il pericolo, seppure simulato, lo stuzzicava.
Un tempo lo faceva continuamente.
Aveva cominciato già ben prima che Giovanni partisse, e per un po’ aveva continuato anche dopo, seppure con meno divertimento perché né papà né mamma erano riusciti mai a scoprirlo o nemmeno c’erano andati vicino.
Giovanni era troppo sveglio e con lui non era riuscito mai a farla franca, nemmeno una volta. Fosse stato per i due genitori, invece, sarebbe potuto stare per ore a sbirciare, origliare, sgattaiolare da una finestra all’altra senza venire mai scoperto.
Così, quel gioco aveva perso importanza nelle sue giornate, come i bagni giù al fiume, ed era finito per essere sostituito dalle arrampicate sugli alberelli intorno alla casa ben più divertenti ed eccitanti. E poi, c'era il desiderio di altezza...
Adesso però c’era anche Giovanni, così Pasqualino stava origliando come un tempo: all' interno, al canto caldo del camino faceva da contraltare una quiete tombale.
Il ragazzino si sarebbe aspettato lo sfrigolare energico della padella, le domande premurose della madre, le risposte del fratello e le risate del padre, entrambi inebriati dal vino. Invece niente. Silenzio.
Attento a non farsi vedere, Pasqualino gettò un’occhiata dentro.
La mamma era, immobile, più o meno nella stessa posizione dove l’aveva vista l’ultima volta quella mattina, seduta quasi sulla punta della sedia, di fianco al focolare. Il suo volto aveva un’espressione vecchia, di fuliggine; ispirava grigiore.
Il papà era in piedi sul lato opposto, ma non guardava né lei né il figlio. Anzi, sembrava proprio non guardasse in nessuna direzione. Era del tutto spento.
E Giovanni…
Giovanni era anche lui in piedi, a poca distanza dal padre. Ma adesso che Pasqualino poté vederlo da vicino non aveva più l’aspetto fiero e pieno di vita che gli era parso da lontano. Al contrario, quella vista aveva qualcosa di spaventoso.
Sembrava… stanco, ma di una stanchezza profonda, infernale. Come se portasse sulle spalle l’enorme peso di un qualcosa di inconfessabile. Era pallido, di un pallore irreale, e le fiamme che crepitavano nel focolare si riflettevano sulla sua pelle come graffi violenti. Il corpo slanciato e muscoloso che Pasqualino ricordava di aver sempre guardato con viva ammirazione aveva lasciato il posto a una sagoma ingobbita e cupa. I suoi occhi avevano una luce che il ragazzino non riusciva a decifrare, una luce spettrale… incorporea. Si posavano con uno sguardo sulla madre che metteva i brividi, sembrava arrivare dritto da un abisso più buio e raggelante della notte che era calata sulla fattoria.
Mio fratello è… tornato?
Il velo di nebbia che era salito dal fiume si era fatto più fitto e adesso ottenebrava tutto lo spazio intorno alla fattoria. Il freddo era tangibile, ed in quel freddo Giovanni era uscito di nuovo. Mentre camminava pareva non accusare minimamente il gelo. C’era però qualcos’altro che non gli permetteva di smettere di tremare.
Pasqualino e Castagna lo seguivano, senza che lui potesse accorgersene nell’aria brumosa e fosca. Il ragazzino continuava a giocare a far la spia e saltellava agile da un cespuglio all’altro, da un muretto a un angolo buio. Scrutava il fratello maggiore provando leggera eccitazione perché finalmente, per una volta, gli stava riuscendo di non farsi scoprire.
Castagna, invece, stava attaccato al ragazzino ma sembrava seguirlo con minore interesse. Ogni tanto si fermava, gettava il muso in qualche mucchio d’erba alta e odorava, ma lo faceva distrattamente, di mala voglia, e subito si rimetteva sulle orme del giovane, ciondolando, quando questi gli pareva troppo distante.
Superarono il fienile. Questo, adesso, con l’apertura principale immersa quasi per intero nell’oscurità, e per effetto del vento debole ma costante che ululava attraverso le feritoie nel legno, sembrava un volto feroce e urlante.
Arrivarono al campo a nord, e Pasqualino vide Giovanni fermarsi davanti al grosso noce.
Al confronto con quella figura colossale, il corpo del fratello maggiore gli sembrò minuscolo, talmente piccolo da poter scomparire da un momento all’altro, inghiottito dalla terra.
Il noce era davvero…
Alto.
Troppo alto.
Possibile che quando vi si arrampicava sopra non si accorgesse di quanto potesse essere smisurata, da lassù, la distanza dal suolo? Possibile che non capisse?
Queste, forse, erano le riflessioni di Giovanni, lì, solitario nella nera notte, chino davanti alla croce conficcata nel terreno sotto al noce sulla quale Pasqualino, da qualche giorno, inciampava in continuazione, come se non riuscisse ad accettarne la presenza.
Pasqualino, invece, pensò che Castagna era ancora accanto a lui, col muso basso e triste, per nulla ansioso di far le feste al ragazzo diventato uomo che non vedeva da tanto tempo.
Sapeva che tutto sommato era più che normale, perché Castagna lo sapeva come lo sapeva lui: Giovanni non avrebbe potuto mai rispondere alle sue manifestazioni di affetto, non avrebbe potuto accarezzare il suo pelo rigido e freddo, perché Castagna non era più visibile agli occhi vivi ma gonfi di lacrime di Giovanni.
Perché Castagna era… morto.
Morto da prima ancora che Giovanni partisse, avvelenato da chissà cosa avesse ingerito nell’orto.
Da prima ancora che Pasqualino lasciasse perdere gli alberelli e cominciasse ad arrampicarsi su per la pianta più alta di tutta la fattoria; che cercasse lassù, sul tronco robusto e rassicurante del noce, le spalle di un fratello che se n’era andato, lasciandolo solo, e che da lassù, come una piccola vedetta, aspettasse giorno dopo giorno di scrutarne l’approssimarsi a casa.
Mio fratello è tornato.
Da prima ancora che una lettera raggiungesse Giovanni al fronte e che una licenza per lutto gli fosse concessa, per tornare.
Da prima ancora che dall'altezza spaventosa del noce Pasqualino cadesse, rompendosi l’osso del collo e fracassandosi il cranio, che adesso e per sempre pendeva in modo del tutto innaturale su un lato, lasciando gocciolare sangue e materia organica sulla spalla e sulla maglietta.
Da prima ancora che morisse lui.