[H2022R] Halloween Spaghetti Western
Posted: Sun Nov 06, 2022 4:08 pm
Il mistero.
Se c’è buio c’è mistero, o almeno, al mistero si associa sempre il nero, il buio. Non c’è nessun mistero nascosto nella luce, nessun mistero avvolto da un arcobaleno con alla fine la classica pentola d’oro dei nani.
O erano giganti quelli col pentolone? Per quel che vale, trattandosi di una stronzata, facciamo che l’arcobaleno cade dentro un buco, per l’esattezza quello di un bionda dalle gambe lunghissime e le tette grosse come rinoceronti. Va bene lo stesso. Comunque sia, nero, buio, mistero rappresentano la triade con cui viene costruita una bella storia dell’orrore, di quelle raccontate intorno a un falò da un idiota per impressionare altri idioti, o di quelle scritte nei libri per bambini, da leggere per farli addormentare.
Ma come cazzo vi addormentate se vi leggo di streghe nascoste nel buio perché vecchie e orrende o del mistero del cinghiale imbizzarrito che si mangia i bambini? Non è meglio una bella favola con tanto di principe azzurro?»
«E dai, Diego, è Halloween. Cosa c’entrano le favole?» gli disse Giorgino, sette anni e nessuna voglia di dormire.
«Sì, cosa c’entrano le favole?» fece eco Martina, che di anni ne aveva cinque e aveva la testona bionda ciondolante per il sonno, eppure non mollava.
Entrambi masticavano ancora i dolcetti raccolti durante la serata passata in giro a tormentare i vicini, Giorgino travestito da Georgie di It, con tanto di braccio mancante, Martina truccata da streghetta.
La fantasia al comando in questa casa, aveva pensato Diego.
Era il fratello maggiore, e anche se gli ormoni ululavano famelici alla luna, e doveva sbrigarsi a uscire nella notte ancora lunga là fuori, aveva il compito di metterli a letto e quelli gli avevano chiesto una storia.
Perché sua madre si era risposata e aveva trovato interessante l’idea di procreare altri due sgorbi solo dio lo sapeva. Non gli bastava lui, sputato fuori con i disgraziati geni di un nano – non di quelli dell’arcobaleno, ma un vero nano da circo senza nemmeno un soldo, altro che pentolone, che si era scopato la mamma salendo in piedi sopra uno sgabello da domatore di troie – i capelli color zucca, una condanna all’acne da scontare a vita e il girovita di una ciambella.
Be’, a pensarci bene non aveva avuto tutti i torti a riprovarci a fare figli, stavolta con un tizio quantomeno dotato di un conto in banca anche se con il fascino di un ornitorinco. Guardando fratellastro e sorellastra Diego ammise che stavolta l’esperimento era riuscito.
Un sasso colpì la finestra. Non un sassolino di quelli lanciati per far rumore, come segnale che c’era qualcuno in attesa, ma un sasso bello grande che sfondò il vetro e fece saltare i due ragazzini per lo spavento.
«Calmi, calmi, sono sicuro che non c’è Michael Myers pronto a farvi la pelle» disse loro Diego andando verso la finestra.
«Michael chi?» chiesero in coro i ragazzini.
Lui si girò per guardarli, scosse la testa. «Niente, nemmeno le basi…»
Raccolse la pietra tra i frammenti di vetro, aprì la finestra, si affacciò e di sotto, in mezzo alla strada oltre il giardino, vide Alice. Subito Diego sorrise, non pensò al buco nel vetro e alle dovute spiegazioni da dare alla madre e al di lei compagno.
Alice piegò il braccio sinistro, ticchettò con l’indice destro sul polso. Il tempo scorreva. Diego le fece cenno di aspettare.
«Non conoscete Michael» disse ai due ragazzini. «Allora, invece di raccontarvi una storia, vi guardare tutta la saga di Halloween.»
«Ma è la notte di Halloween, non la sega» disse Giorgino.
«Halloween il film, non la notte» fece Diego, spazientito. «E non c’entra niente la sega. Vedi di non iniziare a fartele, le seghe. È ancora presto, poi diventi cieco.»
Li lasciò davanti al computer dopo aver caricato tutti i film chiamati Halloween, anche il III che non c’entrava un cazzo perché Michael Myers nemmeno c’era, e uscì.
Alice lo attendeva fumando un cigarillo. Tirò una boccata mentre lui usciva dal cancello. Il fumo si confuse con la condensa del respiro in un intreccio bianco sopra la testa di Alice. Sembrava quasi che un’aureola si allargasse sopra i suoi capelli lisci e scuri. Nel pallido volto a cuore spiccavano le labbra viola e i grandi occhi verdi che il trucco mettevano in risalto. Neanche a dirlo era vestita di nero, cuoio, giubbotto e pantaloni, e teneva una bandana a scacchi sulla gola.
«Mi hai sfondato la finestra» le disse Diego arrivandole davanti.
Solo a guardarla gli ormoni che prima ululavano adesso si erano messi a ballare in cerchio come una tribù, inneggiando agli dei della natura. Era magra e spigolosa, Alice, sembrava appena uscita dalla bara, ma faceva parte del suo sex appeal, con quell’aria da bad girl capace di stenderti con un destro, aprirti il petto a coltellate e sputare sul tuo cuore ancora pulsante solo perché le andava di farlo. Diceva che era pallida perché lei il sangue non lo aveva. Diceva che era cattiva perché a lei non fregava un cazzo di nessuno.
Lo diceva e lo dimostrava. E le possibilità che aveva Diego con lei – perché Diego non faceva altro che immaginare quanto potesse essere bello farsi scopare da Alice, senza il coltello e tutto il resto, s’intende – erano pari alla possibilità che una formica strangolasse un elefante.
«Secondo te se una formica entra nella proboscide di un elefante almeno lo fa starnutire?» le domandò a bruciapelo.
Lei mosse appena i muscoli della faccia per fargli arrivare un crudele “che cazzo vai dicendo?” e poi gli disse: «Per la finestra di’ a mamma che è penetrato un pipistrello.»
La metafora del pipistrello che penetra la finestra diede molto lavoro alla fantasia di Diego mentre lui seguiva il culo di Alice. Camminarono lungo la strada fredda e vuota.
Alice aveva lasciato la bicicletta accanto a un palo della luce. Era una bici da cross, di quelle con gli ammortizzatori che ti fanno fare bei salti. Gialla e nera come un’ape.
«Salta su» disse a Diego dopo essere montata in sella.
Lui obbedì e si allacciò con le mani intorno alla sua vita.
Alice si tolse il cigarillo e gli disse: «Ho detto forse di toccarmi?»
Subito Diego tolse le mani.
«Tienimi questo» lei gli passò il cigarillo. «Non farlo spegnere. E reggiti. Non a me, alla sella.»
«Se mi reggo alla sella come te lo tengo il sigaro?»
«Primo, non è un sigaro, ma un cigarillo. Di quelli che fuma Clint Eastwood nei western, hai presente? Secondo, tienilo tra le labbra. Potrai dire di aver sentito il sapore delle mie.»
Alice fece un ghigno, sollevò la bandana per coprirsi il volto, e partì.
La bicicletta si mangiò l’asfalto, prese curve mozzafiato sgommando, superò un incrocio senza rispettare niente e nessuno, passando a un soffio dal muso di una macchina il cui conducente fu costretto a sterzare e uscire di strada, passò sotto il vagone di un treno merci, poi il salita, saltò sopra il vuoto di un cavalcavia crollato, e dopo ancora giù da una scalinata, rimbalzando. Ogni volta che Alice si sollevava sui pedali offriva a Diego una visuale piena delle sue chiappe. Pedalava come se fosse in arrivo la fine del mondo. O fosse lei la fine del mondo.
«Dvèkndimo?» bofonchiò Diego col vento in faccia per come sfrecciavano.
«Cosa?» urlò lei da davanti.
Allora Diego si tolse dalla bocca il cigarillo che gli impediva di parlare bene, stretto tra i denti come lo teneva. In effetti si sentiva il sapore di Alice. Aveva la saliva che sapeva di incenso e cera.
«Ho detto dov’è che andiamo?»
«All’O.K. Corral» disse Alice. «Stasera chiudo i conti con l’Orso Cieco.»
L’O.K. Corral era il cimitero comunale. Era lì che di giorno si portavano i fiori sulle tombe, e di notte si organizzavano concerti clandestini e risse. Anche duelli, se la notte era quella di Halloween.
«Il cigarillo si è spento. Mi spiace» urlò Diego nell’orecchio di Alice.
Andavano a centoventi.
«Buttalo. Ne ho altri.»
Diego lo lanciò mentre saltavano sopra le teste di un gruppetto di ragazzini che rientrava dal dolcetto scherzetto. C’entrò il sacco di popcorn di Dracula.
Il buio.
Il mistero.
Buio era buio, fatta eccezione per le candele accese e i lumini votivi davanti alle lapidi.
Il mistero riguardava la motivazione. Perché Alice aveva sfidato l’Orso Cieco a duello.
Nella sua testa Diego trasmetteva la radio cronaca dei trascorsi tra i due – e la sua voce diventava quella di Dan Peterson quando il vecchio coach commentava il Wrestling – e i precedenti riguardavano per lo più delle scaramucce, come l’intromissione nei pestaggi dell’altro, lo sconfinamento nella zona dell’altro, l’aver nominato Alice.
Non importava la ragione, il primo comandamento era “non nominare mai Alice”.
Diego le aveva chiesto, strada facendo, cosa era successo e per farla breve, le cose erano andate pressapoco così: a scuola l’Orso Cieco aveva rubato ad Alice la testa del fratello, e l’aveva fatto nell’unico giorno del mese dove Alice si faceva vedere a scuola, quindi aveva progettato il furto. L’aveva fatto mentre Alice pestava tre bulli per rubare loro tutta la roba che quei tre avevano rubato durante il mese ai ragazzi che tormentavano. Alice non la vedeva come un’azione stile Robin Hood o cose del genere. Era il suo modo per dare un senso a quell’unica mattinata di scuola. Poi pestava i professori che si lamentavano delle sue assenze, pestava il preside e, tornata a casa, pestava i genitori. Nessuno aveva il coraggio di bocciarla.
Non gliene fregava niente di nulla, ma non dovevi rubarle la testa del fratello. E anche lì, non era una questione sentimentale o di giustizia. Non era un ricordo dell’amato fratello morto.
Era un cazzo di trofeo!
Tutti sapevano che Alice aveva fatto fuori il fratello nato da un mese. Il perché? Era di troppo. Gli aveva tolto la testa e l’aveva sostituita con quella di un bambolotto, e i suoi avevano impiegato un altro mese per rendersi conto dello scambio. Intanto lei si era rivolta a uno stregone negro per far essiccare e ridurre quella testolina alla dimensione di una palla da tennis che usava come palla antistress.
Alice la voleva indietro. Ma l’Orso Cieco non poteva accontentarla perché si era mangiato la testa, l’aveva sgranocchiata come una mela.
Ecco fatto. Ci si vede a Halloween, all’O.K. Corral. Porta chi vuoi.
Alice si era portata Diego come testimone e questo voleva pur dire qualcosa.
Mentre lui fissava una stella esprimendo il desiderio di essere cavalcato da Alice come la bici da cross – e si sarebbe volentieri fatto infilare due ruote e agganciare un paio di pedali nei reni – Alice fumava il cigarillo, le pendeva dalle labbra, sulla sinistra, e aspettava.
L’Orso Cieco arrivò di fronte a lei, camminando lento e pesante. Si era portato due testimoni, l’Orsetto Calvo e l’Orsetto Barbuto. Diego li incontrava spesso a scuola e non erano poi così male. Il problema era l’Orso Cieco.
Un tizio prepotente, grosso, largo, peloso e con due cuciture a forma di X al posto degli occhi. Dal muso soffiava sbuffi vaporosi, un paio di straccali gli tenevano su i calzoni e camminava a gambe larghe.
Diego vide Alice sbuffare fumo, togliersi il cigarillo con il pollice e l’indice della destra, sputare in terra e la sentì dire: «Mangiare la testa di mio fratello… Me l’hai ucciso una seconda volta, amigo. È ora di pagare il prezzo.»
«L’ho cagata a pezzettini piccoli piccoli» le fece sapere l’Orso Cieco.
Se una caverna si muovesse come una bocca ecco che voce avrebbe, pensò Diego.
«Potevo portarteli i pezzettini, così li incollavi e magari rimettevi insieme quello schifo» continuò L’Orso Cieco, «ma, se devo essere onesto, sono un po’ stitico ultimamente. Forse mangio troppa roba essiccata.»
Alice assottigliò le palpebre, fece un altro tiro. «Quel che è fatto è fatto. Stanotte chiederai una purga al Diavolo, bastardo.»
I due restarono immobili a fissarsi dentro una penombra da Sabba. C’era silenzio, proprio un silenzio di tomba come si deve, pensò Diego, e avrebbe riso se non fosse stato per la tensione tra gli sfidanti. Il respiro di Alice era calmo, talmente impercettibile che sembrava non respirare affatto. La condensa davanti al naso diceva che era viva, i suoi occhi stretti e concentrati sull’Orso Cieco dicevano che era letalmente viva.
Il bestione spostava il peso da un piede all’altro. Fece scivolare una mazza da baseball dalla manica destra e la impugnò. Alice estrasse il coltello a scatto. La lama comparve tagliando un pezzetto d’aria buia, un breve getto argenteo nella notte.
Quando si affrontarono i testimoni dell’Orso Cieco si coprirono gli occhi con le mani, quindi di fatto non avrebbero potuto testimoniare un bel niente. Diego invece crollò chiappe a terra, la schiena contro una lapide, e non si perse nemmeno un frammento della scena. A un certo punto, nella furia della lotta, gli arrivò in faccia uno schizzo di sangue grande come una secchiata.
Era il sangue dell’Orso Cieco, caldo e denso. Gli sporcò anche la maglietta.
Dopo cinque minuti Alice aveva finito. L’Orso Cieco giaceva pancia a terra, la mazza da baseball infilata nel culo, il corpo ridotto a un ammasso informe e sanguinolento di pelliccia e carne. Alice gli teneva un piede poggiato sopra, non lo degnava di uno sguardo mentre tirava boccate sostanziose dal cigarillo e soffiava il fumo gettando la testa all’indietro. Era lercia di sangue come dopo un’autopsia. Lasciò cadere il cigarillo sul cadavere tutto peli, lo schiacciò con la punta dell’anfibio e fece cenno a Diego di andare.
Il viaggio di ritorno fu sfrenato come l’andata. Il duello aveva gettato nel corpo di Alice tanta di quella adrenalina che pedalò come una furia, ridendo sotto la bandana, e si cimentò in mille acrobazie, compreso un giro della morte a trecentosessanta gradi davanti alla luna dove Diego si tenne stretto alle sue tette. E lei non gli disse nulla.
Lo scaricò davanti a casa con una raccomandazione.
«È stato un pipistrello, ricordatelo» gli disse accennando con il mento alla finestra.
Poi partì sgommando e svanì nella notte.
Diego risalì in casa con in faccia un sorriso da stordito, un po’ per il duello, un po’ per le tette. Si ricordò di aver lasciato fratellastro e sorellastra alle prese con Michael Myers e andò nella loro stanza. Non si ricordò di avere la faccia e la maglietta sporchi di sangue – e stare aggrappato ad Alice che ne era rivestita aveva peggiorato le cose – e quando accese la luce i due ragazzini staccarono dallo schermo le facce divertite, si voltarono verso di lui e cacciarono il più bel grido di Halloween, lungo, acuto e pieno di terrore. Proprio mentre Myers calava il coltello sull’ennesima vittima.
Il buio.
Il mistero.
In fondo, si disse soddisfatto Diego, adesso aveva una storia nuova per metterli a dormire.