[MI174] Del perdersi
Posted: Sun Sep 18, 2022 5:13 pm
Traccia delle 16,22: Per un pugno di minuti
[MI174] Del perdersiCapirai meglio a occhi chiusi.
Questo finii col dirmi, mentre intorno mi si accanivano gli elementi, senza misericordia alcuna. Almeno, ferma e al buio, avrei fatto mente locale un po' meglio.
Sapevo di trovarmi coinvolta, a piedi, in un vortice gelido e sferzante; la pioggia cadeva orizzontale, perché il vento la raggirava e quella non sapeva più cosa si faceva, come immemore di essere sempre scesa dall'alto, in verticale.
La polvere delle strade, anche se uno potrebbe pensare che, bagnata, sia meno irritante, mi faceva comunque lacrimare gli occhi, che coprivo alla bell’e meglio con una sciarpa inadeguata; nel mentre, le mani senza guanti rasentavano la rigidezza livida, reggendo l’ombrello semi distrutto in orizzontale, ossia nello stesso senso della pioggia intortata dal vento.
Avevo anche compiuto un tentativo estremo, ma caduto nel ridicolo. Avevo fermato un vigile per chiedergli aiuto, sulla base del nome del viale principale, l'unico che ricordassi, per cercare la mia auto nelle sue diramazioni. Alla sua richiesta di dirgli di preciso quale strada cercassi, perché quella citata non gli risultava, ero ammutolita e arrossita violentemente, nel rendermi conto che avevo d'un tratto dimenticato anche quel nome. Alla sua domanda: - Da dove viene? - avevo risposto che venivo dai Servizi sociali, ma, al suo sguardo allarmato, avevo precisato subito che prestavo servizio colà, non ne ero ospitata.
Dopo di che, mi ero allontanata di proposito, e infilata nell'androne di un condominio a raccogliere le idee e il mio acciaccato amor proprio.
Ero partita al mattino dal mio paese, percorrendo una decina di chilometri per arrivare alla nuova sede della Caritas, dove avevo appena cominciato la mia opera di volontariato. Nel paese c'ero stata tante volte in precedenza, ma mai guidando io e di rado in quella zona.
Era la seconda volta che ci andavo da sola, e la ricerca di un parcheggio si era rivelata, come la prima, problematica. Inoltre, ho l'handicap di non avere assolutamente sviluppato il senso di orientamento: avevo letto, su Selezione dal Reader’s Digest, che ciò era stato causato dal non avere gattonato da piccola. So di essere stata infilata in un girello a pochi mesi da genitori indaffarati per tenermi d’occhio con più tranquillità.
Nel primo posteggio, due settimane addietro, avevo segnato le strade su un biglietto: quella di arrivo e le sei o sette vie e viuzze intermedie percorse a piedi per arrivare a destinazione.
Al ritorno, mi era servito. Questa volta, invece, avendo parcheggiato l’auto nello stesso posto, avevo pensato, con sufficienza, di sapermelo ricordare.
Inoltre, pioveva ed ero in ritardo di dieci minuti, e a me scoccia moltissimo fare attendere gli altri.
Ah, la fretta! Come diceva il proverbio? La gatta frettolosa fa i micini ciechi? Eppure, sarebbero bastati pochi minuti in più per segnarmi i nomi delle strade, anche se con le contingenti difficoltà.
Dopo avere prestato servizio per circa due ore, durante le quali sentivo la sferza degli elementi rovesciarsi all'esterno, mi preparai ad uscire.
Travolta da un vento che avevo conosciuto solo a Trieste più forte, mi spingevo due passi avanti e uno indietro verso le mie quattro ruote che, ferme, da qualche parte del paese mi stavano aspettando.
Intanto, la consapevolezza degli errori compiuti all'arrivo si faceva strada nel mio animo, abbattendone la lucidità e l'autostima.
Come detto, avevo memorizzato il nome del viale grande nelle cui stradine irradiate intorno, in una di quelle, avevo di sicuro parcheggiato, largo-circa!
Me meschina! Ancora non mi sovveniva minimamente il nome della strada in questione.
Le vie precedenti si confondevano ai miei occhi. Sapevo di non essere lontana dall’obiettivo, ma ero in uno stato di confusione mentale. La mancanza di chiarezza per il turbine davanti agli occhi non mi aiutava di certo!
Avevo davanti agli occhi strade sbagliate e fuorvianti: strade pazze.
Strade che sbagliavano e ti portavano a sboccare in un corso e ricorso del centro storico. Strade che volevano svoltare solo a destra, perché lì c’era una volta un angolo, dopo la fontana. Strade a senso unico, che lo capivi solo dopo, e che non tornavano mai, fatte di vicoli stretti, chiusi, respingenti.
Strade che si inerpicavano senza marciapiedi e le auto seguivano i pedoni al loro passo, e prima della cima rallentavano per vedere le figure umane scendere normalmente piano piano e non di colpo, che vorrebbe dire che la discesa è a rotta di collo per l’uomo e rischio cappottamento per l’auto.
Quel giorno, per quelle vie, i pedoni erano pochi, sconvolti individui: come me.
Gente che aveva dato la precedenza alla fretta invece che al suo opposto, e gli errori di precedenza si pagano sul percorso.
All’improvviso, sentii il suono di un clacson: veniva dall’auto di una mia collega della Caritas. Grata, con un sospiro di sollievo, salii in macchina e già quel gesto mi fece riprendere le mie facoltà mentali, almeno in parte. Le spiegai il mio problema e cominciammo a girare per la ricerca. Era tutta un’altra cosa farla dal calore di un abitacolo. Ma niente, la mia Citroen non si riusciva a trovare.
In preda all’imbarazzo, e per non far perdere ulteriore tempo alla gentile signora, le dissi che sarei entrata in un bar per scaldarmi e per chiamare mio marito.
Per colmo di sfortuna, quella mattina avevo anche lasciato il mio cellulare a casa.
Eravamo ancora dentro alla sua auto, e lei mi disse di usare il suo per chiamare e così feci.
- Pino, ciao, non trovo più la mia macchina, qui c’è una furia di pioggia e vento che impediscono quasi la visuale. Non so più come fare. Vieni a prendermi, sono al Bar Sport in via… fammi vedere … Via Roma 57. Entrerò lì a aspettarti. Mi ha accompagnato una conoscente e mi ha imprestato il telefono. - in tono convulso e agitato, tanto che la sua risata mi sorprese:
- Ma sei arrivata lì con la mia Ford! Ma possibile che sei così fulminata?! -
Ora ricordavo: la mia Citroen era dall’elettrauto per problemi al motorino di avviamento. Lui non aveva modo di raggiungermi e io avevo cercato la targa sbagliata.
La mia amica Giuliana (ormai l'avevo legittimamente promossa di ruolo) mi fece segno di passarle l'apparecchio. La sentii dire più o meno questo concetto:
- Stia tranquillo: rifacciamo il percorso cercando l'altra auto. La richiamiamo per aggiornarci. - Io avevo la faccia tra le mani, anche per non vedere i proiettili di cartacce, foglie e pietrisco contro il parabrezza. Giuliana mi stava chiedendo di che colore fosse la Ford di mio marito. Verde scuro, e no, non ne sapevo la targa. Ricominciammo a ritroso la stessa ricerca, con la nuova identità del mezzo cercato, lei intenta a guidare, io saettando lo sguardo a destra e a sinistra delle stradine che incrociavamo. Ci avevo messo venti minuti a piedi, quindi il raggio d'azione potevamo delimitarlo largo-circa con la giusta approssimazione; altro fattore positivo, Giuliana era del posto.
Alla fine, era l'una, ma a me sembrava essere il tardo pomeriggio, largo-circa, metti fors'anche le 16,22, per il tempo che si era dilatato, mentre la mia smania di fretta del mattino era sfumata in un'attesa fuori dal tempo e in uno spazio estraneo e ostile.
Un'altra lezione utile da incamerare. Ad maiora.