La cosa giusta

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“Mamma, taci!”
Prendo la curva un po’ troppo stretta, ma rimango sulla carreggiata. Questa strada di montagna è impegnativa. Scalo la marcia per affrontare meglio la salita.

“Mamma, per favore, stai zitta!”
Sempre a dare consigli. Ho fatto tutto quello che ha voluto lei. Sempre, per tutta la vita. Lei mi ha spiegato cosa era giusto e sbagliato. Era severa, ma giusta.
Mi ricordo l’unica volta che mi ha scoperto con le mani nelle mutande. Avevo tredici anni. Mi ha trascinato per un orecchio fino alla cucina e ha appoggiato la mia mano alla piastra calda del ferro da stiro. “Lo senti?” mi diceva “Così brucia l’inferno, dove finirai assieme a tuo padre, se non smetti di fare queste porcherie!” Mi scuoteva per farmi entrare bene le parole. “Cosa stavi pensando?” insisteva. Avevo paura che mi stirasse i pensieri attraverso il cranio. “A niente, mamma, mi prudeva e basta!” “Da oggi in poi solo docce fredde quando ti prude”. Ero felice di essermela cavata solo con la mano ustionata. I miei compagni di scuola dovevano avere delle donnacce per madri, perché non avevo mai sentito nessuno a cui fosse proibito toccarsi, ma io avevo imparato.

“Mamma, mi devo concentrare! Basta!”
Sempre che parla, e parla, e parla e non si ferma mai. Raccomandazioni su raccomandazioni, consigli, istruzioni, avvisi; non ne posso più.
Nonostante tutta quest’attenzione a evitare le donnacce, come quella che ci ha portato via papà, mi ero sposato con Stefania. Avrei dovuto capirlo che non era a modo: mi aveva partorito una figlia lesbica con manie di protagonismo. Stefania sembrava scioccata come me, ma simulava solo.

“Si, mamma, ho messo a posto tutto, ho lavato tutto, non ci sono tracce, davvero. Ma adesso non parlare più!”
Poi, dopo che Alice era scappata di casa, ho scoperto che qualcuno la aggiornava sulla vita di sua figlia. Siamo stati chiamati dal giudice quando è stata condannata a tre mesi di carcere minorile. I servizi sociali sono venuti a infastidirci quando ne è uscita. Addirittura volevano che facessimo terapia tutti assiemi, quegli stronzi incompetenti, invece di curare Alice, di farla diventare normale. Al contrario, secondo loro ero io a dover accettare che le piacevano le donne, che era normale. Pazzi!
Meno male che ha compiuto diciotto anni dopo poco, e la spostata se n’è andata fare la sua vita schifosa.

“Mamma, per favore, ho pensato a tutto. Adesso basta!”
Ma ancora non era uscita dalla mia vita. Si faceva chiamare Alice X, cantava da schifo e aveva successo. Il peggio però è stato quando ha vinto il Nobel. Non ne sapevo nulla, ma in ufficio tutti i miei colleghi a farmi i complimenti. A lodare questa figlia disgraziata che si era battuta contro l’infibulazione: ma che facessero quello che vogliono, i negri. Magari non avevano nemmeno tutti i torti, in qualche modo bisogna pur tenerle sotto controllo le donne.
Stefania che faceva la stupita, come se non ne sapesse nulla, come se avesse letto la notizia sui giornali.
Intanto io tutti i giorni a sgobbare, a far quadrare i conti del cavaliere per un tozzo di pane. Alice invece collezionava dischi d’oro, dischi di platino e dischi di merda. Non ne potevo più di vedere i manifesti di Alice X per la città: lei con la testa mezza rasata, i capelli blu e i polsi incrociati con i brillantini bene in vista.
Aveva pure inscenato un suicidio, me lo ricordo ancora. L’ho trovata io nel bagno di servizio con il sangue che le usciva a fiotti dalle vene. L’ho spinta a calci fino alla porta. Stefania che urlava e urlava, stronza anche lei. L’hanno salvata e quando è tornata le ho fatto pulire tutto il bagno con lo spazzolino da denti. Che si credeva quella, che il sangue lo tirassimo su noi, psicopatica che non era altro.

“Mamma, manca poco. Per favore taci!”
Comunque quella è storia vecchia. La grande novità adesso è la castrazione chimica per reati sessuali, e c’ha pure preso il secondo Nobel. Avrei dovuta chiuderla nello sgabuzzino buio, come faceva mia madre con me, forse quello avrebbe potuto salvarla e qualche cinghiata in più. Ma no, Stefania era contraria, quindi la bambina è stata educata a ceffoni e nulla più, e i risultati si vedono. Invece di obbligare le donne a vestirsi decentemente e starsene a casa, è necessario castrare chimicamente gli uomini; e le nazifemministe lesbiche su questo vengono pure premiate.
Mi scoppia la testa, ma non riesco a smettere di pensarci.
Stefania ha iniziato a sentire di nascosto Alice. Ho dovuto spaccarle tutti i denti per farmelo dire. Voleva a tutti i costi che io mi riappacificassi con quello scherzo della natura, adesso, che per festeggiare il secondo Nobel, veniva in città a fare un concerto. Ci aveva addirittura mandato i pass per il backstage. Mentre le sbattevo la testa sulle piastrelle, Stefania urlava che ci sarebbe andata anche senza di me, che il mostro ero io. L’ho fatta tacere con il pestacarne. L’ho uccisa per colpa di quella baldracca.

“Mamma, stai zitta, zitta, zitta, zittissima!”
Stringo le mani sul volante, gli alberi sfrecciano illuminati dai fari. Devo rimanere concentrato, ormai manca poco, solo qualche chilometro.
Che stronzi, quelli della security. Ho fatto il papà trafelato che arriva all’ultimo per vedere la sua bambina sul palco. Mi sono posizionato bene col mio fucile fra quinte e scatoloni, e ho aspettato circondato da una bolgia infernale.
Finalmente la troietta è uscita sul palco, senza vergogna ha fatto un sorriso sdentato e ha iniziato a parlare. Non si poteva sentire, il pubblico era isterico, dementi come lei, forse anche di più.

“Si, mamma, meno male che c’eri tu a farmi star calmo.”
Ho preso la mira, tirato il grilletto. Appena ho visto la stronza cadere in mezzo agli schizzi di sangue, sono scappato. E continuo a scappare. Ho un piano, io.
Me ne fotto degli elicotteri, delle luci blu che ho alle spalle. Me ne fotto di tutti, perché ho fatto la cosa giusta.

“Mamma, cosa stai dicendo?”
Alzo il volume della radio. Alice X non è morta, solo gravemente ferita. Sospettano del padre e hanno trovato il cadavere della madre.
Ignoranti, se fosse solo un sospetto non mi inseguirebbero.
Mi sembra che si stiano avvicinando, ancora due curve e sono al passo.
Scalo, accelero e manco la curva. La macchina supera con un balzo il guard rail.
Sono sospeso nell’abitacolo vuoto sopra al burrone, le rocce e le cime degli alberi mi vengono incontro.

“Vero, mamma, che ho fatto la cosa giusta? A questo scempio bisognava mettere la parola fine.”
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