Il bagno di sopra

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Non ho mai avuto una casa così pulita e ordinata come oggi.
I miei effetti personali sono tutti raccolti nel comò della camera da letto, i vestiti tutti nell’armadio e la valigia sotto al letto.
Devo solo pulire il bagno di servizio del piano di sopra e la mia casa è perfetta, per chi verrà dopo di me.
Salgo le scale con calma tenendomi bene alla ringhiera, come mi raccomandano i miei nipoti. Per loro ho lasciato intatta la libreria e ci ho aggiunto gli album di fotografie. Sono ancora incerta se portarmeli via o lasciarli davvero sugli scaffali.
Ma a chi la racconto?
Non sono nemmeno sicura di andare via.
Conquisto l’ultimo gradino e mi rendo conto che ho lasciato nella cucina dabbasso i detersivi e gli stracci. Proseguo fino alla camera da letto, mi siedo un momento a riprendere fiato prima di scendere a prendere quello che mi serve.
Arrivo in cucina e non so più bene, perché sono qui. Sgranocchio un biscotto in attesa che la memoria mi torni.
Ecco, stracci e detersivi per il bagno di sopra.
Riaffronto le scale con le ginocchia che scricchiolano, e penso che i miei nipoti abbiano ragione. Non posso più vivere qui da sola.
Ho fatto e rifatto i conti, non riesco a permettermi una badante che sostituisca il mio cervello che piano sta perdendo i colpi. Per una banale questione di soldi devo rinunciare, perché lo spazio lo avrei, potrebbe dormire nella vecchia stanza di Silvia.
Arrivata in cima, mi ricordo dove devo andare grazie al detersivo che ho in mano.
Proprio a me doveva capitare. A me che sapevo a memoria brani interi della Divina Commedia, che dopo aver letto un romanzo, ne citavo tutte le frasi che mi avevano emozionato. Proprio a me.
In bagno mi siedo un momento sul water chiuso per riprendere fiato e osservo la luce che entra dalla finestra. Guardo la doccia e assaporo il ricordo di Giulio che mi bacia sotto all’acqua poco prima di fare l’amore. Quanto mi manca.
Chissà cosa penserebbero i miei nipoti di una nonna che ha nostalgia del sesso nella doccia?
Sarò vecchia e rimbambita adesso, ma prima per molti anni sono stata giovane, e questo bagno era abbastanza lontano dalla camera dei bambini per permetterci di correre la cavallina.
Mi dispiacerà lasciare questa casa con tutti i suoi ricordi, mi dispiacerà andare in un posto che non mi dice niente.
Mi decido a pulire questo bagno, così quando tutto è fatto e pronto, mi basterà scegliere e fare la valigia.
Apro il rubinetto dell’acqua e non esce nulla.
Eppure la bolletta l’ho pagata.
In cucina mi sono fatta il tè, quindi l’acqua c’era.
Avvicino l’orecchio, magari si sente gorgogliare l’acqua da qualche parte e ci impiega solo un po’ a salire. È da parecchio che non uso questo bagno, potrebbe essersi otturato un tubo.
“Ninì!”
Sbatto la testa contro la mensola.
È la voce di Giulio, solo lui mi chiama così.
Chiudo immediatamente il rubinetto e mi risiedo sul water col cuore in gola.
Il medico mi ha detto di non agitarmi se vedo o sento cose strane, sono le connessioni del mio cervello a giocarmi brutti scherzi.
Il respiro si fa normale.
Provo il rubinetto della doccia, l’acqua scorre normalmente. Sono proprio io che perdo i colpi.
Riprovo col lavandino.
“Ninì, non chiudermi per favore!”
Mi viene da piangere. Perché il mio cervello mi fa sentire la voce di Giulio morto da dieci anni. La sua voce.
Solo lui mi chiamava Ninì, piano bisbigliando all’orecchio.
Torno in stanza da letto, mi sdraio un momento, che forse mi riprendo. Non devo dire a nessuno che sento le voci, altrimenti decideranno per me.
Mi appisolo un momento, e sogno di Giulio, che mi tiene la mano mentre guardiamo la televisione. Mi aiutava sempre a sparecchiare, così potevamo sederci assieme a guardare il film.
Mi sento riposata, fisso il soffitto e decido di tornare nel bagno di servizio, almeno a prendere le cose che ho lasciato lì.
Potrei anche riprovare ad aprire il rubinetto, forse adesso potrebbe scorrere acqua e non la voce.
Mi fisso allo specchio sopra al lavandino, nonostante le rughe, gli occhi azzurri sono sempre gli stessi e io non ho mai avuto paura di niente. Non mi spaventerò certo per il mio cervello o per un rubinetto che parla.
“Ninì, amore, meno male. Sei tornata.”
E se rispondessi?
“Giulio?”
“Sì, tesoro, sono io. Non avere paura, per favore, non averne.”
“Ma che ci fai lì?“
“Ninì, cara, siediti che ti devo parlare.”
Sono matta, è chiaro. Parlo con rubinetto secco e mi siedo pure quando me lo dice.
“Ninì, non sei matta, sono proprio Giulio. È che sono inesperto di queste cose e non mi è venuto niente di meglio che parlarti dal rubinetto.”
Sono rassegnata. Forse è il mio subconscio che mi vuole dire qualcosa che altrimenti non capirei.
“Giulio, tu sei morto da dieci anni. A me hanno diagnosticato una demenza galoppante. Ti dirò che me ne accorgo quando perdo i colpi, quando sbaglio le parole, quando non so più perché sono in un posto, e nemmeno lo riconosco più. Per cui per me, va anche bene parlare con il rubinetto.”
Ecco, l’ho detto. Adesso la voce dovrebbe sparire e io posso chiamare l’idraulico.
“Amore mio, ascoltami bene. Oggi è sabato. C’è l’estrazione del superenalotto. Se esci subito e vai alla ricevitoria del Beppe, sei ancora in tempo. Devi giocare la tua e la mia data di nascita. Non voglio che tu vada in casa di riposo.”
“Ma Giulio cosa dici?”
“Vai, Ninì, fidati di me. Te l’ho detto anche in sogno, ma tu non te lo ricordi. Veloce, Ninì, dal Beppe. I nostri compleanni. Fidati, che veglio su di te”
La voce si affievolisce, sarà la batteria dell’apparecchio acustico che si scarica, ma non sento il fischio.
Mi avvicino al rubinetto.
“Giulio! Giulio!”
Non lo sento più.
Un gran gorgogliare, e sul mio viso si mescola l’acqua alle lacrime.
L’acqua ha quel colore rugginoso e sporca tutto il lavandino, ma non importa: ho parlato con Giulio.
Forse.

Non so più bene, perché sento quest’urgenza di andare dal Beppe. Però le pulizie possono aspettare, in fondo manca solo il bagno di sopra e fuori splende il sole.
Prendo la borsetta e vado.

“Mi spieghi bene, signora Ludmilla. Come sta la mamma?”
“Signora Silvia, la sua mama sempre va nel bagno sopra, apre rubinetto del lavandino e piange mentre scorre acqua. E dice – Giulio, Giulio”

Re: Il bagno di sopra

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@Almissima, ti traghetto qui il mio commento di allora.

questo bagno era abbastanza lontano dalla camera dei bambini per permetterci di correre la cavallina.

In genere, l'espressione "correre la cavallina" è usata per descrivere chi - come me - ha avuto moltissime donne in gioventù (ma sarà poi vero, o è solo una vanteria?). Direi "per permetterci momenti d'amore in santa pace", o qualcosa del genere.

Per il resto il racconto mi è piaciuto moltissimo sia per come è scritto - per quello che vale, non cambierei una virgola -, sia per l'ottima idea di base - che tra l'altro centra perfettamente la traccia -, che per il finale.

Complimenti!
Se leggi bene questa riga non hai bisogno degli occhiali da vista
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