I piedi sotto le coperte

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Tutte le sere quando andava a letto si assicurava che tutti e due i piedi fossero sotto alle coperte. Non sopportava quell’alito di fresco che gli accarezzava gli alluci nel bel mezzo della notte.
Si rimboccava bene le coperte, lisciando le lenzuola a contatto col viso. Il cuscino era tutta un’altra storia. Morbido com’era bisognava dedicargli qualche minuto per farlo aderire perfettamente alla curva del collo, così che la guancia vi si posasse in modo giusto.
Appena spenta la luce si sentiva pronto per ascoltare. Prima i passi del padre fino al bagno, pausa, poi fino alla camera da letto. Se faceva attenzione sentiva anche lo scatto dell’interruttore della luce. La mamma, invece, faceva rumore in cucina, poi un lungo silenzio. Di sicuro fumava una sigaretta sul poggiolo, forse anche due. La mamma diceva che era tempo che le serviva per pensare, che pensare era importantissimo con mille s alla fine. La mamma era proprio un tipo, aveva sempre da raccontare qualcosa e s’inventava delle storie che alle volte parevano tanto vere da non sembrare più bugie. Come quella volta che aveva dichiarato di aver frequentato un corso in “Spalmaggio di Nutella” proprio alla Ferrero. Ci aveva creduto e non si era più lamentato di come spalmava i panini della merenda.
Ecco la serranda della cucina, i passi verso il bagno, verso la camera da letto, niente interruttore per non disturbare il papà.
Adesso erano tutti a letto e finalmente poteva ascoltare la voce della casa.
A breve lo sciacquone della signora Mariza che andava sempre in bagno con gli zoccoli, la TV del signor Gualtiero che insisteva a dire che ci sentiva bene, il cigolio delle molle dei signori Fronza, recente acquisto del condominio.
A vederli di giorno sembravano tutte persone qualsiasi, ma chissà a vederli di notte con la dentiera nel bicchiere che effetto facevano.
Erano davvero tutti a letto, tutto l’edificio aveva trovato riposo.
Era giunto il suo momento.
Scivolò tutto appiattito fuori dal letto senza disturbare le lenzuola, strisciò lungo il muro del corridoio evitando il gatto che faceva la ronda, senza smuovere nemmeno una foglia del Benjamin, sbirciò nella camera dei suoi che dormivano tranquilli, girò la chiave della serratura, giù per le scale e finalmente era all’aperto.
Adesso iniziava la sua vita.
Da quando i suoi genitori non venivano più a controllare, se si era messo il pigiama e a dargli il bacino della buona notte, lui andava a letto vestito.
Usciva nella notte sotto le sporadiche finestre illuminate, passeggiava per i viali deserti annusando l’aria e si sentiva adulto nel suo corpo di sedicenne. Non che avesse degli impegni particolari, ma aveva dei punti fissi, dove faceva sosta prima di tornare a casa. Visitava un certo numero di cantieri, quello di piazza Mazzini era il suo preferito. Da lì poteva osservare le prostitute e l’andirivieni dei loro clienti. I suoi genitori dicevano che erano donnacce volgari, ma a lui piacevano con quegli stivali alti, le gonnelline corte a mostrare il principio delle natiche, e anche di più, quando si chinavano a trattare con i clienti in macchina.
Capiva sua mamma che criticava lo stile di quelle signorine, suo papà no, che lo aveva visto diverse volte portarsene via una.
Questo lo conduceva al suo prossimo impegno fisso: alla panchina di parco Petrarca. Si sedeva, infilava una mano sotto e trovava la busta con i cento euro. Ogni settimana cento euro da ben un mese e mezzo, quindi sei volte. Stanotte sarebbe stata l’ultima. Lui lo aveva visto con sei signorine e quindi gli pareva giusto che suo papà pagasse sei volte. Da quando aveva iniziato a pagare si comportava bene e non usciva più alla sera con il pretesto della birra con i colleghi.
L’aveva scoperto per caso. Il papà era uscito e appena la mamma era andata a dormire, aveva pensato di uscire anche lui a fare il suo solito giro con finale dalle signorine. Era estate e sarebbero state più svestite del solito. Dalla sua postazione aveva osservato tutto il viavai di clienti, finché non gli era saltata agli occhi la golf bianca di suo papà. Non ci poteva credere.
Quella prima sera era capitato alla sua preferita, quella bionda dal seno grosso e la bocca carnosa e rossa. Quando suo padre era ripartito con a bordo quella signorina, aveva svoltato a destra.
Appena girato l’angolo a piedi aveva visto la macchina ferma nella via deserta e la sagoma di suo padre seduto al volante con la testa reclinata indietro.
Che fine aveva fatto la ragazza?
Appostandosi fra le macchine sull’altro lato della strada cercava di capire cosa stesse succedendo, finché trovo la posizione ideale e vide la testa bionda della ragazza illuminata dal lampione. Saliva e scendeva proprio all’altezza del volante.
Dieci minuti dopo era tutto finito. Suo padre ripartì.
La consapevolezza di aver beccato suo padre a puttane apriva una marea di domande, panorami ignorati sulla vita dei suoi genitori. E sua mamma?
C’erano volute altre cinque volte prima che il suo piano prendesse forma, ma una volta deciso tutto gli era sembrato più facile. La telefonata con la voce camuffata, il ricatto, la prima busta con il denaro. Aveva deciso di chiedere poco, sapeva quanto guadagnava suo padre, sapeva quanta fatica faceva sua madre per arrivare alla fine del mese.
Per giustificare il denaro che gli girava per le mani, aveva millantato delle ripetizioni di latino. In fondo valeva la pena essere il più bravo della classe.
Finalmente anche lui riusciva ad andare in discoteca e passava anche 50 euro a sua mamma, facendo bella figura e mettendo a tacere la sua coscienza non soddisfatta dalla piega che aveva preso quello che voleva essere una vendetta.
Suo padre non lo aveva più visto.

Adesso toccava agli altri.
Erano soldi facili e gli facevano comodo
Si era già segnato un certo numero di targhe, da domani avrebbe iniziato con loro.

Mentre s’infilava a letto facendo bene attenzione che tutti e due i piedi fossero sotto alle coperte, pensò che il suo problema più grande sarebbe stata la fine del cantiere di piazza Mazzini.
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