[Lab3] Signorina
Posted: Sun Jul 17, 2022 9:33 am
Laboratorio: Show, don't tell.
Traccia: Mutamenti
La plastica, dura e di pessima qualità, mi massacra le natiche e il sapore dolce della brioche alla marmellata che ho appena finito di mangiare abbandona gradualmente il mio palato.
Giuseppe Rambaldi, sala visita otto. Rambaldi sala visita otto.
Poco più in là altre due sedie, uguali a quella su cui sono seduta, lanciano cigolii di disappunto mentre una coppia di anziani si alza. Lui segue lei che, cartelletta portadocumenti alla mano, brontola: «Giuseppe, sbrigati. In fondo al corridoio, a sinistra.»
Il brusio di conversazioni riprende, interrotto di quando in quando dagli annunci provenienti dall'altoparlante.
Adele Piancastelli, sala TAC, Piancastelli, sala TAC.
«È già la terza volta che la chiamano, questa. I s'ciamarà pu neca a nun!» papà ripiega il giornale in quattro parti uguali.
Giulia Bandinelli, sala visita tre. Bandinelli, sala visita tre.
«Prego...»
«Papà, va bene se stavolta entro solo io?»
«Sei sicura?»
«Sì. Tanto comunque sei qui fuori.»
Lui alza le spalle e si dirige verso una delle poltroncine del corridoio davanti all'ambulatorio.
Seguo l'infermiera in sala vista tre.
«Aspetta qui, che adesso arriva il medico.» smolla una cartella rosa, che ricade con un tonfo sulla scrivania.
«Intanto comincia a spogliarti.» dice mentre se ne va, chiudendo la porta alle sue spalle con un "clac".
La lana mi sfiora le orecchie, morbida, e la peluria delle braccia scatta sull'attenti. Poggio il maglione sul lettino e salgo sulla la scaletta. il rotolo di carta che ricopre il letto si increspa con un fruscio mentre mi ci siedo sopra, le gambe penzoloni. Questa stanza è sempre uguale, non cambia mai nulla. C'è il lettino per le visite, un mobile con guanti, copriscarpe e altri strumenti che non so a cosa servano, e un armadietto. Di fronte al lettino, una scrivania di formica con un computer e un portapenne.
Dietro la scrivania, la sedia da ufficio.
La sedia. Strano che sia lì.
Guardo la porta a scomparsa, ricavata nella parete che comunica con la sala visita due. Da lì mi aspetto che, da un momento all'altro, faccia la sua comparsa il dottor Cannizzaro.
Cannizzaro è un cinquantenne piccolo e tarchiato, dalla barba sempre mal rasata e i modi sgarbati. Di solito fa la spola tra i due ambulatori spingendosi su quella cazzo di sedia, che ha le ruote. Da quando lo conosco, non l'ho mai visto staccare il culo da lì e alzarsi in piedi. E se me ne sto qui a torso nudo, nonostante faccia un freddo porco, è perché so che se entra e mi vede ancora vestita si incazza.
Un uomo sulla sessantina alto e magro, in camice bianco, entra dalla porta che dà sul corridoio.
«Buongiorno…» la voce mi esce un po' insicura. Incrocio le braccia davanti al petto, la mano destra a toccare la spalla sinistra. E questo chi è?
«Allora, Giulia Bandinelli, giusto?» chiede buttando un occhio alle radiografie che tiene in mano.
«Sì».
Lo osservo meglio. Ha il viso un po' squadrato ma i lineamenti non sono spigolosi. Ha un sacco di capelli bianchi in testa, nonostante l'età, e mi guarda con un sorriso un po' titubante. L'impressione è quella di un uomo dai modi garbati ma un po' formali. Un medico di altri tempi. Anche il completo che indossa sotto il camice mi dà questa impressione.
Lascio ricadere le braccia sui fianchi e raddrizzo le spalle, inarcando un po' la schiena.
Mi sa che forse ci ho guadagnato, nel cambio con Cannizzaro. Questo qui sembra gentile, almeno.
Appende le lastre al tabellone luminoso appeso alla parete e le osserva, mentre io resto in silenzio. Poi spegne e le ricaccia nella busta.
«Quanti anni hai, Giulia?»
«Diciassette».
«Avrei detto meno, sembri più giovane. Il busto da quanto lo porti?»
«Da quando ne avevo tredici. Quattro anni».
«Quante ore al giorno?»
"Quattordici. Cioè… i primi tre anni lo portavo sedici ore, adesso quattordici".
«E quando sei diventata signorina?»
Alzo le sopracciglia. Non ho mica capito.
Rimango perplessa una frazione di secondo. Poi, per fortuna, il mio cervello riesce a tradurre l'eufemismo in termini comprensibili, e allora ci arrivo.
«Da pochi mesi.» rispondo, cercando di trattenere un risolino.
"Diventare signorina" che razza di espressione sarebbe? Va bene che questo tizio ha una certa età, ma è pur sempre un medico. Perché parla come la mia bisnonna? Il dottor Cannizzaro sa essere un gran maleducato, ma per lo meno quando mi fa questa domanda non ci gira tanto intorno.
L'ortopedico distoglie gli occhi da me, guardando per un attimo il pavimento. Poi torna a fissarmi con una ruga in più sulla fronte.
«Mi sa che c'è stato un qui-pro-quo. Non mi riferivo alle tue… esperienze».
La risata che poco prima avevo ricacciato giù nella pancia torna su, violenta e incontrollabile. Rido per un tempo che mi sembra troppo lungo, e non riesco a smettere, i muscoli attorno all'ombelico mi fanno male.
Poi agito le mani davanti alla faccia in segno di diniego e cerco di riprendere fiato.
«No, ho capito. Vuole sapere quando ho avuto il menarca. Glie l'ho detto: pochi mesi fa. Saranno tipo due mesi. Cioè, quasi tre. Dovrei avere il terzo ciclo tra qualche giorno».
Mi scappa ancora quasi da ridere. Questo qui, se usasse i termini adatti, eviterebbe di fare ste figure di merda.
«Com'è possibile?»
«Sono nata con la sindrome di Turner. Ho cominciato ad assumere gli estrogeni solo da settembre, prima ero ancora in terapia con l'ormone della crescita».
Alzo gli occhi dalle piastrelle e li porto alla mia cartella clinica, che sta prendendo polvere, inutilmente chiusa sulla scrivania.
«Vabbè…vieni qui».
Scendo dal lettino e mi avvicino al dottore.
Mi giro in modo da dargli le spalle.
«Togli anche il reggiseno, per favore».
Slaccio il reggiseno di cotone scuro che copre la mia modesta seconda. Lo stringo nel pugno e porto le braccia in avanti, perpendicolari al busto. Unisco le gambe e vado giù con la schiena.
La sua cravatta mi sfiora il viso, mentre fa scorrere il dito indice lungo la mia colonna vertebrale. Alle narici mi arriva un odore leggero di mentolo. Dopobarba, o acqua di colonia.
«Torna su».
«Posso rivestirmi?»
«Sì, abbiamo finito».
Il maglione mi riscalda in un abbraccio confortevole mentre lui va alla scrivania ad aggiungere un altro po' di scartoffie alla mia cartella.
«Senti Giulia, chi è che ti accompagna?»
«Mio padre, è seduto qui fuori."
"Va bene se lo faccio entrare?"
"Certo."
Lo sento dire: «Signor Bandinelli? Venga pure!», poi rientra, seguito da papà.
«Ma è vero quello che dice sua figlia, che ha avuto le mestruazioni solo da pochi mesi?»
«Sì, è seguita al Gozzadini per la sindrome di Turner. L'endocrinologa ha preferito aspettare qualche anno perché potesse crescere un po' di più in altezza, diciamo...»
Una gran manata mi cala sulla spalla con uno schiocco, facendomi sobbalzare. «Ma allora sei davvero giovanissima!»
«Sì…gli anni son sempre quelli, sa? Diciassette».
«Papà, cambia stazione radio, please. Ha rotto le palle sta pubblicità, tutti gli anni la stessa».
«Ohi, tra dieci giorni è Natale. A proposito, hai deciso che regalo vorresti quest'anno?»
«Una sega circolare, di quelle che tagliano anche le sbarre di acciaio».
«Ma va là! Cosa ci dovresti fare scusa?»
«Devo tagliare a pezzi il busto. Tanto l'ortopedico ha detto che non lo devo più portare, adesso che sono diventata signorina».
Traccia: Mutamenti
La plastica, dura e di pessima qualità, mi massacra le natiche e il sapore dolce della brioche alla marmellata che ho appena finito di mangiare abbandona gradualmente il mio palato.
Giuseppe Rambaldi, sala visita otto. Rambaldi sala visita otto.
Poco più in là altre due sedie, uguali a quella su cui sono seduta, lanciano cigolii di disappunto mentre una coppia di anziani si alza. Lui segue lei che, cartelletta portadocumenti alla mano, brontola: «Giuseppe, sbrigati. In fondo al corridoio, a sinistra.»
Il brusio di conversazioni riprende, interrotto di quando in quando dagli annunci provenienti dall'altoparlante.
Adele Piancastelli, sala TAC, Piancastelli, sala TAC.
«È già la terza volta che la chiamano, questa. I s'ciamarà pu neca a nun!» papà ripiega il giornale in quattro parti uguali.
Giulia Bandinelli, sala visita tre. Bandinelli, sala visita tre.
***
Le ciabatte dell'infermiera marcano ogni suo passo con il consueto "ciac-ciac" della plastica che sbatte contro il pavimento.«Prego...»
«Papà, va bene se stavolta entro solo io?»
«Sei sicura?»
«Sì. Tanto comunque sei qui fuori.»
Lui alza le spalle e si dirige verso una delle poltroncine del corridoio davanti all'ambulatorio.
Seguo l'infermiera in sala vista tre.
«Aspetta qui, che adesso arriva il medico.» smolla una cartella rosa, che ricade con un tonfo sulla scrivania.
«Intanto comincia a spogliarti.» dice mentre se ne va, chiudendo la porta alle sue spalle con un "clac".
La lana mi sfiora le orecchie, morbida, e la peluria delle braccia scatta sull'attenti. Poggio il maglione sul lettino e salgo sulla la scaletta. il rotolo di carta che ricopre il letto si increspa con un fruscio mentre mi ci siedo sopra, le gambe penzoloni. Questa stanza è sempre uguale, non cambia mai nulla. C'è il lettino per le visite, un mobile con guanti, copriscarpe e altri strumenti che non so a cosa servano, e un armadietto. Di fronte al lettino, una scrivania di formica con un computer e un portapenne.
Dietro la scrivania, la sedia da ufficio.
La sedia. Strano che sia lì.
Guardo la porta a scomparsa, ricavata nella parete che comunica con la sala visita due. Da lì mi aspetto che, da un momento all'altro, faccia la sua comparsa il dottor Cannizzaro.
Cannizzaro è un cinquantenne piccolo e tarchiato, dalla barba sempre mal rasata e i modi sgarbati. Di solito fa la spola tra i due ambulatori spingendosi su quella cazzo di sedia, che ha le ruote. Da quando lo conosco, non l'ho mai visto staccare il culo da lì e alzarsi in piedi. E se me ne sto qui a torso nudo, nonostante faccia un freddo porco, è perché so che se entra e mi vede ancora vestita si incazza.
***
«Buongiorno!»Un uomo sulla sessantina alto e magro, in camice bianco, entra dalla porta che dà sul corridoio.
«Buongiorno…» la voce mi esce un po' insicura. Incrocio le braccia davanti al petto, la mano destra a toccare la spalla sinistra. E questo chi è?
«Allora, Giulia Bandinelli, giusto?» chiede buttando un occhio alle radiografie che tiene in mano.
«Sì».
Lo osservo meglio. Ha il viso un po' squadrato ma i lineamenti non sono spigolosi. Ha un sacco di capelli bianchi in testa, nonostante l'età, e mi guarda con un sorriso un po' titubante. L'impressione è quella di un uomo dai modi garbati ma un po' formali. Un medico di altri tempi. Anche il completo che indossa sotto il camice mi dà questa impressione.
Lascio ricadere le braccia sui fianchi e raddrizzo le spalle, inarcando un po' la schiena.
Mi sa che forse ci ho guadagnato, nel cambio con Cannizzaro. Questo qui sembra gentile, almeno.
Appende le lastre al tabellone luminoso appeso alla parete e le osserva, mentre io resto in silenzio. Poi spegne e le ricaccia nella busta.
«Quanti anni hai, Giulia?»
«Diciassette».
«Avrei detto meno, sembri più giovane. Il busto da quanto lo porti?»
«Da quando ne avevo tredici. Quattro anni».
«Quante ore al giorno?»
"Quattordici. Cioè… i primi tre anni lo portavo sedici ore, adesso quattordici".
«E quando sei diventata signorina?»
Alzo le sopracciglia. Non ho mica capito.
Rimango perplessa una frazione di secondo. Poi, per fortuna, il mio cervello riesce a tradurre l'eufemismo in termini comprensibili, e allora ci arrivo.
«Da pochi mesi.» rispondo, cercando di trattenere un risolino.
"Diventare signorina" che razza di espressione sarebbe? Va bene che questo tizio ha una certa età, ma è pur sempre un medico. Perché parla come la mia bisnonna? Il dottor Cannizzaro sa essere un gran maleducato, ma per lo meno quando mi fa questa domanda non ci gira tanto intorno.
L'ortopedico distoglie gli occhi da me, guardando per un attimo il pavimento. Poi torna a fissarmi con una ruga in più sulla fronte.
«Mi sa che c'è stato un qui-pro-quo. Non mi riferivo alle tue… esperienze».
La risata che poco prima avevo ricacciato giù nella pancia torna su, violenta e incontrollabile. Rido per un tempo che mi sembra troppo lungo, e non riesco a smettere, i muscoli attorno all'ombelico mi fanno male.
Poi agito le mani davanti alla faccia in segno di diniego e cerco di riprendere fiato.
«No, ho capito. Vuole sapere quando ho avuto il menarca. Glie l'ho detto: pochi mesi fa. Saranno tipo due mesi. Cioè, quasi tre. Dovrei avere il terzo ciclo tra qualche giorno».
Mi scappa ancora quasi da ridere. Questo qui, se usasse i termini adatti, eviterebbe di fare ste figure di merda.
«Com'è possibile?»
«Sono nata con la sindrome di Turner. Ho cominciato ad assumere gli estrogeni solo da settembre, prima ero ancora in terapia con l'ormone della crescita».
Alzo gli occhi dalle piastrelle e li porto alla mia cartella clinica, che sta prendendo polvere, inutilmente chiusa sulla scrivania.
«Vabbè…vieni qui».
Scendo dal lettino e mi avvicino al dottore.
Mi giro in modo da dargli le spalle.
«Togli anche il reggiseno, per favore».
Slaccio il reggiseno di cotone scuro che copre la mia modesta seconda. Lo stringo nel pugno e porto le braccia in avanti, perpendicolari al busto. Unisco le gambe e vado giù con la schiena.
La sua cravatta mi sfiora il viso, mentre fa scorrere il dito indice lungo la mia colonna vertebrale. Alle narici mi arriva un odore leggero di mentolo. Dopobarba, o acqua di colonia.
«Torna su».
«Posso rivestirmi?»
«Sì, abbiamo finito».
Il maglione mi riscalda in un abbraccio confortevole mentre lui va alla scrivania ad aggiungere un altro po' di scartoffie alla mia cartella.
«Senti Giulia, chi è che ti accompagna?»
«Mio padre, è seduto qui fuori."
"Va bene se lo faccio entrare?"
"Certo."
Lo sento dire: «Signor Bandinelli? Venga pure!», poi rientra, seguito da papà.
«Ma è vero quello che dice sua figlia, che ha avuto le mestruazioni solo da pochi mesi?»
«Sì, è seguita al Gozzadini per la sindrome di Turner. L'endocrinologa ha preferito aspettare qualche anno perché potesse crescere un po' di più in altezza, diciamo...»
Una gran manata mi cala sulla spalla con uno schiocco, facendomi sobbalzare. «Ma allora sei davvero giovanissima!»
«Sì…gli anni son sempre quelli, sa? Diciassette».
***
Buttati, che è morbido!«Papà, cambia stazione radio, please. Ha rotto le palle sta pubblicità, tutti gli anni la stessa».
«Ohi, tra dieci giorni è Natale. A proposito, hai deciso che regalo vorresti quest'anno?»
«Una sega circolare, di quelle che tagliano anche le sbarre di acciaio».
«Ma va là! Cosa ci dovresti fare scusa?»
«Devo tagliare a pezzi il busto. Tanto l'ortopedico ha detto che non lo devo più portare, adesso che sono diventata signorina».