[MI169] Il proprio posto
Posted: Sun Jun 05, 2022 11:49 pm
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Traccia: "Gender"
IL PROPRIO POSTO
Ora può alzarsi. Camilla si gira sul fianco e appoggia la mano a terra, ma il polso le fa male. Lo guarda, è gonfio. Cadendo ha allungato indietro il braccio per attutire il colpo. Con l'altra mano prende il lembo della maglia e si asciuga il naso. Guarda il tavolino sopra di lei. Lo spigolo è vicino. È andata bene, questa volta.
“E' quella?” Camilla indica una casa a due piani appena ristrutturata.
“Sì” risponde Filippo.
Camilla scende dall'auto molto lentamente e prima di chiudere la portiera ha qualche secondo di esitazione, quasi a volersi lasciare aperta una possibilità di fuga. Ma poi apre i polmoni in un profondo respiro, stringe i pugni, socchiude gli occhi per alcuni attimi, e infine parte con passo deciso verso il vialetto che conduce alla porta d'ingresso.
Il giardino davanti alla casa ha la terra smossa a grandi zolle argillose tipico di un cantiere appena rimosso. Non c'è recinzione. Ai davanzali delle finestre del primo piano ci sono fioriere che sembrano uscite or ora da una rivista d'arredo per essere piazzate giusto lì per l'occasione. La facciata appena rifatta mostra ancora piccole sbavature di malta attorno ai lucidissimi serramenti. Ai lati della porta d'ingresso ci sono due grandi vetrate che lasciano intravvedere l'interno, dove si staglia protagonista un enorme lampadario, esagerato per l'ambiente in cui sta. La porta d'ingresso è in un modaiolo ferro acidato.
Camilla sta per dire a Filippo che tutto è esattamente come si aspettava, ma non c'è tempo, la porta si sta aprendo. Escono rumori di schiamazzi e una donna della stessa età di Camilla apre, mentre sta finendo di parlare ad alta voce a qualcuno all'interno. Ivana a questo punto si rivolge a loro e li accoglie melensa.
Ivana è l'ex moglie di Filippo.
La festa è in occasione dell'inaugurazione della nuova casa. Sono stati invitati amici e parenti dell'esuberante padrona di casa e di sua figlia. La psicologa pagata da Ivana per mettere ordine nella sua propria vita si allarga a dettare azioni a tutti coloro che ruotano attorno alla sua cliente pagante, fino a dare direttive alla compagna del suo ex marito. Che per il cosiddetto “equilibrio” dell'amatissima figlia di Filippo deve sottoporsi a questi incontri “familiari”.
Camilla entrando sorride imbarazzata; subito dopo si accorge con sollievo che tutti la ignorano e in effetti non ha niente di particolare che faccia attirare l'attenzione su di sé.
Non conosce nessuno tranne la madre di Filippo, a cui Camilla, dopo anni, da' ancora del Lei perché la vecchia signora non le ha mai offerto il Tu riservato alla prima nuora.
Camilla può così mettersi ad osservare indisturbata gli invitati. Si mimetizza ora avvicinandosi all'appariscente cucina, ora incuneandosi nella nicchia del caminetto, ora entrando ad esplorare i bagni.
Dall'angolo sicuro che ha trovato vede i bambini giocare a rincorrersi. Uno di loro è rosso in viso, ha gli occhi lucidi e si sforza di sorridere. Deve avere la febbre. Esce dall'ombra per andare a chiedergli come sta.
Ivana la scorge e corre a frapporsi tra il bimbo e Camilla. "Sono mamma, io, so come si fa". Prende il bambino per mano e gli tocca la fronte. "Ma scotta!" Esclama in modo teatrale.
Camilla allarga le sopracciglia. "Beh non ci voleva uno scienziato o una mamma per capirlo" pensa.
"Spazio! Spazio!" Ivana si fa strada tra gli invitati e porta il bambino a sdraiarsi sul divano. È frastornato, troppi occhi puntati su di lui.
" Sarà meglio portarlo su di sopra, qui si imbarazza..." Accenna Camilla.
Ivana e Filippo la guardano. "Lei non può capire" dice Filippo.
Che ne sa, Camilla. Mica ha figli.
L'estranea dedica il resto della permanenza mangiando. Fino a quando sente che gli schiamazzi iniziano a scemare perché la spinta propulsiva della festa si sta esaurendo ed è possibile scorgere la noia insinuarsi negli occhi degli invitati.
D'un tratto sorride sollevata, può finalmente uscire dal suo angolo. Così Camilla e Filippo raccolgono le loro cose e si accingono ad uscire.
Troppo sollevata per essere ancora imbarazzata, sorride piena di inopportuna vitalità in risposta ai saluti di persone ormai spente ed assonnate.
Liberata, esce dal varco della costosa porta d'ingresso e tira un sospiro di sollievo. “Ecco” dice.
Significa “Ecco. E' l'ultima volta che mi presto a queste torture. Al diavolo gli psicologi di parte, al diavolo le invadenti ex mogli altrui, al diavolo i padri apprensivi, al diavolo le vecchie signore bigotte che guardano alla facciata, al diavolo.”
Il parcheggio degli uffici comunali è pieno. Camilla fa due giri dell'isolato per trovare posto e alla fine inserisce l'auto nello spazio infimo tra un paletto e un bidone. Corre su per le scale, l'appuntamento è tra qualche minuto.
C'è un signore sulla sessantina seduto in sala d'attesa. Camilla si riassetta il vestito, si siede e scartabella in borsa alla ricerca del telefono.
"Anche lei qui per l'avvocato Fara?"
"Si" risponde Camilla e sorride all'ometto.
"Geometra?" Le chiede.
"Ingegnere."
"Mio figlio non trova lavoro."
"Anche lui ingegnere?"
"No."
"... Geometra?"
"No."
"??" Camilla si tira indietro i capelli, non sa cosa dire.
"Una volta mica c'erano questi problemi a trovare lavoro" riprende l'ometto.
"Eh, si, è un problema. Speriamo che con la riforma..."
"Una volta le donne non lavoravano e lavoro ce n'era per tutti."
Ormai Camilla ha capito dove vuole andare a parare, il soggetto.
"C'era per tutti gli uomini, intende." Annuendo col capo e sgranando gli occhi.
"Certamente. E le donne erano rilassate e gentili." E lo dice senza cattiveria, con ispirazione e nostalgia.
"Beh possiamo fare così: vietiamo di lavorare a tutti i biondi e ai rossi e ai neri - che così rimangono rilassati gentili a casa - così i castani non avranno problemi a trovare lavoro."
L'ometto si sistema sulla sedia che sembra scottare.
Camilla torna a casa, fa una doccia veloce e si mette preparare cena. Risotto agli asparagi.
Stasera c'è anche la figlia di Filippo, è andato a prenderla al maneggio e torneranno verso le 9.
Arrivano.
"Che fame!" La ragazza si siede a tavola e infila le dita nella ciotola del parmigiano.
"Ci si lava le mani, prima di mettersi a tavola, no? Dice Camilla scostando la ciotola.
Lei guarda Camilla come se volesse scorgere al di sotto delle sue sembianze un extraterrestre e si mette a piangere.
“Non sei sua madre” Filippo intima.
“Che c'entra? Sono semplici regole di buona creanza.”
“Non permetterti di dire qualcosa a mia figlia.” Si avvicina puntandole il muso contro, naso contro naso.
“Mica l'ho maltrattata...”
“Non permetterti.” Grugnisce Filippo
La sera dopo il silenzio è denso.
"Lavo, stiro, cucino per te e per tua figlia. Questo sì che ho il permesso di farlo, vero?" "Non nominare mia figlia!" Tuona Filippo.
Si alza di scatto facendo cadere la sua sedia e va a spintonare Camilla sulla sua, che vacilla. Al secondo strattone cade, lei si aggrappa alla tovaglia portandosi dietro tutta l'apparecchiatura. Le tira calci sulla pancia, sulle gambe, lei si ripara il viso. Poi sente le mani calde di Filippo stringerle il collo e l'alito di colui che dovrebbe amarla sul viso. Per qualche decimo di secondo Camilla vede tutto un intero film davanti ai suoi occhi.
"Un uomo ora gli darebbe un pugno.” Si dice. “Devo pensare di essere un uomo. VOGLIO essere un uomo." E afferra la caraffa caduta a terra e gliela sferza con tutta la forza dell'amore fatto odio in piena faccia.
Filippo sgrana gli occhi stupito, si tocca il naso, la sua mano si è riempita di sangue. Camilla guarda l'estraneo che aveva creduto di amare, prende la borsa e esce di casa.
"L'avevo sempre detto, io, che non sei una vera donna."
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Traccia: "Gender"
IL PROPRIO POSTO
Ora può alzarsi. Camilla si gira sul fianco e appoggia la mano a terra, ma il polso le fa male. Lo guarda, è gonfio. Cadendo ha allungato indietro il braccio per attutire il colpo. Con l'altra mano prende il lembo della maglia e si asciuga il naso. Guarda il tavolino sopra di lei. Lo spigolo è vicino. È andata bene, questa volta.
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“E' quella?” Camilla indica una casa a due piani appena ristrutturata.
“Sì” risponde Filippo.
Camilla scende dall'auto molto lentamente e prima di chiudere la portiera ha qualche secondo di esitazione, quasi a volersi lasciare aperta una possibilità di fuga. Ma poi apre i polmoni in un profondo respiro, stringe i pugni, socchiude gli occhi per alcuni attimi, e infine parte con passo deciso verso il vialetto che conduce alla porta d'ingresso.
Il giardino davanti alla casa ha la terra smossa a grandi zolle argillose tipico di un cantiere appena rimosso. Non c'è recinzione. Ai davanzali delle finestre del primo piano ci sono fioriere che sembrano uscite or ora da una rivista d'arredo per essere piazzate giusto lì per l'occasione. La facciata appena rifatta mostra ancora piccole sbavature di malta attorno ai lucidissimi serramenti. Ai lati della porta d'ingresso ci sono due grandi vetrate che lasciano intravvedere l'interno, dove si staglia protagonista un enorme lampadario, esagerato per l'ambiente in cui sta. La porta d'ingresso è in un modaiolo ferro acidato.
Camilla sta per dire a Filippo che tutto è esattamente come si aspettava, ma non c'è tempo, la porta si sta aprendo. Escono rumori di schiamazzi e una donna della stessa età di Camilla apre, mentre sta finendo di parlare ad alta voce a qualcuno all'interno. Ivana a questo punto si rivolge a loro e li accoglie melensa.
Ivana è l'ex moglie di Filippo.
La festa è in occasione dell'inaugurazione della nuova casa. Sono stati invitati amici e parenti dell'esuberante padrona di casa e di sua figlia. La psicologa pagata da Ivana per mettere ordine nella sua propria vita si allarga a dettare azioni a tutti coloro che ruotano attorno alla sua cliente pagante, fino a dare direttive alla compagna del suo ex marito. Che per il cosiddetto “equilibrio” dell'amatissima figlia di Filippo deve sottoporsi a questi incontri “familiari”.
Camilla entrando sorride imbarazzata; subito dopo si accorge con sollievo che tutti la ignorano e in effetti non ha niente di particolare che faccia attirare l'attenzione su di sé.
Non conosce nessuno tranne la madre di Filippo, a cui Camilla, dopo anni, da' ancora del Lei perché la vecchia signora non le ha mai offerto il Tu riservato alla prima nuora.
Camilla può così mettersi ad osservare indisturbata gli invitati. Si mimetizza ora avvicinandosi all'appariscente cucina, ora incuneandosi nella nicchia del caminetto, ora entrando ad esplorare i bagni.
Dall'angolo sicuro che ha trovato vede i bambini giocare a rincorrersi. Uno di loro è rosso in viso, ha gli occhi lucidi e si sforza di sorridere. Deve avere la febbre. Esce dall'ombra per andare a chiedergli come sta.
Ivana la scorge e corre a frapporsi tra il bimbo e Camilla. "Sono mamma, io, so come si fa". Prende il bambino per mano e gli tocca la fronte. "Ma scotta!" Esclama in modo teatrale.
Camilla allarga le sopracciglia. "Beh non ci voleva uno scienziato o una mamma per capirlo" pensa.
"Spazio! Spazio!" Ivana si fa strada tra gli invitati e porta il bambino a sdraiarsi sul divano. È frastornato, troppi occhi puntati su di lui.
" Sarà meglio portarlo su di sopra, qui si imbarazza..." Accenna Camilla.
Ivana e Filippo la guardano. "Lei non può capire" dice Filippo.
Che ne sa, Camilla. Mica ha figli.
L'estranea dedica il resto della permanenza mangiando. Fino a quando sente che gli schiamazzi iniziano a scemare perché la spinta propulsiva della festa si sta esaurendo ed è possibile scorgere la noia insinuarsi negli occhi degli invitati.
D'un tratto sorride sollevata, può finalmente uscire dal suo angolo. Così Camilla e Filippo raccolgono le loro cose e si accingono ad uscire.
Troppo sollevata per essere ancora imbarazzata, sorride piena di inopportuna vitalità in risposta ai saluti di persone ormai spente ed assonnate.
Liberata, esce dal varco della costosa porta d'ingresso e tira un sospiro di sollievo. “Ecco” dice.
Significa “Ecco. E' l'ultima volta che mi presto a queste torture. Al diavolo gli psicologi di parte, al diavolo le invadenti ex mogli altrui, al diavolo i padri apprensivi, al diavolo le vecchie signore bigotte che guardano alla facciata, al diavolo.”
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Il parcheggio degli uffici comunali è pieno. Camilla fa due giri dell'isolato per trovare posto e alla fine inserisce l'auto nello spazio infimo tra un paletto e un bidone. Corre su per le scale, l'appuntamento è tra qualche minuto.
C'è un signore sulla sessantina seduto in sala d'attesa. Camilla si riassetta il vestito, si siede e scartabella in borsa alla ricerca del telefono.
"Anche lei qui per l'avvocato Fara?"
"Si" risponde Camilla e sorride all'ometto.
"Geometra?" Le chiede.
"Ingegnere."
"Mio figlio non trova lavoro."
"Anche lui ingegnere?"
"No."
"... Geometra?"
"No."
"??" Camilla si tira indietro i capelli, non sa cosa dire.
"Una volta mica c'erano questi problemi a trovare lavoro" riprende l'ometto.
"Eh, si, è un problema. Speriamo che con la riforma..."
"Una volta le donne non lavoravano e lavoro ce n'era per tutti."
Ormai Camilla ha capito dove vuole andare a parare, il soggetto.
"C'era per tutti gli uomini, intende." Annuendo col capo e sgranando gli occhi.
"Certamente. E le donne erano rilassate e gentili." E lo dice senza cattiveria, con ispirazione e nostalgia.
"Beh possiamo fare così: vietiamo di lavorare a tutti i biondi e ai rossi e ai neri - che così rimangono rilassati gentili a casa - così i castani non avranno problemi a trovare lavoro."
L'ometto si sistema sulla sedia che sembra scottare.
Camilla torna a casa, fa una doccia veloce e si mette preparare cena. Risotto agli asparagi.
Stasera c'è anche la figlia di Filippo, è andato a prenderla al maneggio e torneranno verso le 9.
Arrivano.
"Che fame!" La ragazza si siede a tavola e infila le dita nella ciotola del parmigiano.
"Ci si lava le mani, prima di mettersi a tavola, no? Dice Camilla scostando la ciotola.
Lei guarda Camilla come se volesse scorgere al di sotto delle sue sembianze un extraterrestre e si mette a piangere.
“Non sei sua madre” Filippo intima.
“Che c'entra? Sono semplici regole di buona creanza.”
“Non permetterti di dire qualcosa a mia figlia.” Si avvicina puntandole il muso contro, naso contro naso.
“Mica l'ho maltrattata...”
“Non permetterti.” Grugnisce Filippo
La sera dopo il silenzio è denso.
"Lavo, stiro, cucino per te e per tua figlia. Questo sì che ho il permesso di farlo, vero?" "Non nominare mia figlia!" Tuona Filippo.
Si alza di scatto facendo cadere la sua sedia e va a spintonare Camilla sulla sua, che vacilla. Al secondo strattone cade, lei si aggrappa alla tovaglia portandosi dietro tutta l'apparecchiatura. Le tira calci sulla pancia, sulle gambe, lei si ripara il viso. Poi sente le mani calde di Filippo stringerle il collo e l'alito di colui che dovrebbe amarla sul viso. Per qualche decimo di secondo Camilla vede tutto un intero film davanti ai suoi occhi.
"Un uomo ora gli darebbe un pugno.” Si dice. “Devo pensare di essere un uomo. VOGLIO essere un uomo." E afferra la caraffa caduta a terra e gliela sferza con tutta la forza dell'amore fatto odio in piena faccia.
Filippo sgrana gli occhi stupito, si tocca il naso, la sua mano si è riempita di sangue. Camilla guarda l'estraneo che aveva creduto di amare, prende la borsa e esce di casa.
"L'avevo sempre detto, io, che non sei una vera donna."